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LA QUARTA TROMBA DELL'APOCALISSE: LA CULTURA IN CASSA INTEGRAZIONE

La ruota panoramica di Chernobyl. Anche Torino avrà la sua
Il quarto angelo suonò la tromba
e un terzo del sole, un terzo della luna
e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò:
 il giorno perse un terzo della sua luce
e la notte ugualmente (Ap. 8, 12)
Oggi, al Forum dell'Agis, la crisi del settore cultura ha mostrato il suo volto più drammatico. Da una parte operatori (lavoratori!) del settore, ormai alla rovina; dall'altro i politici (volonterosi e soprattutto autolesionisti, come vi dimostrerò più avanti) che vorrebbero dare risposte, ma non possono dire l'unica cosa che questa gente disperata vorrebbe sentire: che i soldi si troveranno. Perché i soldi non ci sono.
Adesso vi racconto che cosa è capitato.

La ruota panoramica

Partiamo da qualcosa che in apparenza non c'entra nulla: stamattina in Commissione al Comune è arrivato il via libera alla ruota panoramica di To Expo. Si farà con soldi privati. Si vede che c'è un mercato. A me della ruota panoramica non frega niente. Non ci salirò neanche sotto la minaccia delle armi. Però notate: i privati, all'intervento dei quali si fa sempre appello parlando di nuovi modelli di finanziamento della cultura, si fanno avanti quando il progetto sembra economicamente interessante. Il fatto che su altri fronti sembrino meno interessati dovrebbe indurre a qualche seria riflessione.

Parigi pensa agli ammortizzatori sociali

Ma la notizia di giornata è un'altra. Alla fine dell'incontro mi sono fermato a chiacchierare con una depressissima Antonella Parigi. E parlando è venuta fuori questa considerazione, che oggi come oggi mi sembra rivoluzionaria. Per i lavoratori della cultura è necessario creare ammortizzatori sociali. Come per tante altre categorie. Insomma, ne abbiamo parlato. E non per scherzo. Non c'è niente da scherzare. L'assessore Parigi ci sta riflettendo. Forse l'unica risposta possibile, date le condizioni, è creare qualcosa di simile alla cassa integrazione a sostegno di quei lavoratori della cultura che stanno letteralmente finendo in mezzo a una strada. Certo, adesso è soltanto di un pensiero triste a chiusura di una mattinata tristissima, però...
Ma andiamo con ordine.

In lacrime

Arrivo in ritardo al Reposi, dove si tiene il Forum, e sulle scale incrocio una signora che esce piangendo. "Ha sentito cos'ha detto l'assessore Parigi?", mi fa, e scappa via. Entro, e mi informo su cos'ha detto l'assessore Parigi di tanto terribile. Ha detto, purtroppo, ciò che onestamente non può non dire: che con la Regione sull'orlo della bancarotta, non può promettere denaro, perché non ha la minima idea di quanto ne avrà, l'anno prossimo. Di sicuro, ne avrà pochissimo.
Tornato a casa, trovo su Fb un messaggio della signora che piangeva. Ve lo trascrivo - ovviamente rispettando l'anonimato della scrivente. E' una testimonianza terribile e vera di come realmente siamo messi: "Dottor Ferraris, oggi l'ho incrociata al Forum dell'Agis, dicendole come fosse un peccato che avesse perso il discorso dell'assessore. Spero che al Forum si sia dibattuto sulle parole orrende uscite dalla bocca di chi dovrebbe sentirsi responsabile di fronte ai cittadini. Io sono uscita in lacrime, cosa che mi spiego semplicemente con la rabbia per aver avuto sott'occhio l'impossibilità di fare qualcosa per poter lavorare serenamente... rabbia e stress accumulati in un anno di stipendio arretrato, con un bimbo da crescere da sola. Direi che l'assessore stamattina ha fatto un po' come Maria Antonietta... non hanno il pane, mangino brioches... Lei che dovrebbe dare risposte in quanto dà i soldi, ha detto che bisogna cercare di ottenere le cose... Ci tenevo a dirle il mio pensiero, non avrei neanche attirato la sua attenzione se non fossi stata allo stremo...".
Pane o brioches? La regina Maria Antonietta

Non è questione di brioches

Capisco la rabbia e la paura di questa persona. Ma Antonella Parigi non è Maria Antonietta. Maria Antonietta avrebbe avuto i mezzi per dare il pane al popolo, se solo ci avesse pensato. Antonella Parigi non li ha. Non è più l'assessore alla Cultura "quello che dà isoldi". I soldi non ci sono. Volete capirlo, benedetta gente? Bamboli, non c'è un euro. Per questo motivo Antonella Parigi ha detto che può soltanto creare una struttura (nell'ambito di Piemonte dal Vivo) che dia servizi agli operatori: un affiancamento nel fundraising, nella ricerca di sponsor, nel project managing, nell'accesso ai fondi Ue. Ha anche annunciato - come esempio di ciò che è fattibile - che ci sarà un coordinamento per i festival musicali dell'Eporediese: un esperimento che potrebbe aiutare una serie di piccole e valide iniziative a fare sistema. Non è poco, per chi intenda confrontarsi con il mercato, e cercare nuove risorse. Ma è nulla per chi invece si ritrova pressato dai conti da pagare, dagli stipendi che non arrivano più, dai mutui insostenibili.

Come gli operai dell'Alcoa

Bisogna aggiungere che il settore della cultura è, se vogliamo parlarne in termini industriali, un settore decotto. Antiquato. Stamattina al Forum dell'Agis tirava un'aria novecentesca. L'idea stessa del lavoro culturale, per i presenti, resta legata a schemi del secolo scorso. Non a caso non c'era nessuno dei nuovi players della cultura contemporanea, che si sviluppa in altri territori, con altri strumenti. Penso ai festival dell'elettronica, al cinema digitale, alla creatività globale, ai ragazzi che girano video con quattro soldi e raccolgono visualizzazioni su You Tube e riescono pure a monetizzarle. Se andate a parlare a questi ragazzi di assessorati e contributi, vi ridono in faccia. 
Vi dico solo questo, per darvi l'idea di come siamo messi: oggi al Forum ho sentito qualcuno citare Leo De Berardinis come esempio di "sperimentazione teatrale". Come dire che il Commodore è l'ultima novità nel campo dei videogiochi. Ma è ovvio che vada così. Al Reposi, oggi, c'erano le "aziende in crisi": seri professionisti che da decenni perseguono una dignitosissima idea di spettacolo dal vivo. Un'idea che però oggi è forse superata, o non sostenibile. Fanno ottimi prodotti, ma non competitivi. E talora fuori mercato. Così, mentre ascoltavo le doglianze, ho pensato ai tanti operai  che lottano per salvare il posto di lavoro. Devono essere aiutati, non abbandonati. Ma il loro posto di lavoro non esiste più, non risponde alle nuove esigenze. E mentre gli operai - mettiamo, quelli dell'Alcoa, per i quali ho un particolare affetto - offrono invano abilità senza più acquirenti, ci sono imprenditori che non riescono a trovare le figure professionali di cui avrebbero un dannato bisogno. Né si può pretendere che un lavoratore di una certa età si reinventi una professionalità completamente diversa. E' difficile nel settore dell'industria pesante (come fa un  tornitore a diventare esperto informatico?), figurarsi nell'ambito specialissimo della cultura. A questo punto, l'idea della cassa integrazione comincia ad avere un senso.

L'indifferenza dei politici

Poi c'è la politica. Che se ne frega, per dirselo chiaro e tondo. Stamattina al Reposi c'erano la Parigi, i presidenti della Commissioni cultura di Regione e Comune (Valle e Cassiani), l'assessore regionale Pentenero, e l'irriducibile Leo che pur bocciato dalle urne continua a credere nella cultura. Mancavano l'assessore Braccialarghe (avrà avuto qualche albero di Natale da inaugurare), e soprattutto mancavano tutti quei politici che affollarono il cinema Massimo in analoga occasione, ma pre-elettorale.
E qui occorre essere sinceri e spietati.
1) I soldi - non mi stanco di ripeterlo - non ci sono. E' la famosa "operazione verità". La Regione lo ha ammesso, ha ricordato oggi la Parigi. Il Comune dovrà ammetterlo, ha affermato Cassiani. E, aggiungo io by the way, il Comune dovrà anche smettere di buttar via i pochi spiccioli che gli restano in monate tipo - vi cito l'ultimissima - Paolo Belli in piazza per Capodanno
Cassiani, va detto, ha portato anche una buona notizia: quest'anno il Comune non ritenterà la gherminella di "pagare" le istituzioni culturali con i mattoni (evvai!), e inoltre sono saltati fuori 860 mila euro (veri) da destinare al Sistema Teatro. Tramite lo Stabile andranno direttamente alle piccole compagnie che aspettano ancora i contributi promessi per il 2013. Una goccia nel mare, d'accordo: ma anche una boccata d'ossigeno per chi sta affondando sotto i debiti.
Ciò però non cambia la sostanza delle cose. I soldi grossi non ci sono, per mille motivi. E se gli operatori culturali non vogliono prenderne atto, mi spiace per loro, ma negare la realtà non la cambia. Anche le Fondazioni bancarie l'anno prossimo saranno spolpate dalle nuove norme governative: e gridare (come ho sentito oggi) "hanno incassato tanto in passato" è uno sfogo comprensibile per chi vede profilarsi lo specchio della miseria. Ma sul piano politico, economico e logico è una minchiata. O un'invettiva da bar, che poi è lo stesso.
2) Il politico che difende la cultura è solo. I suoi colleghi lo considerano una zecca fastidiosa, o un coglione. Anche perché tutti i politici che si occupano di cultura vengono trombati alle elezioni. Da Leo a Oliva, a Coppola, è una regola senza appello. Quindi, perché rischiare?
3) L'operatore culturale è un masochista. Quando arrivano le elezioni il settore non fa lobby (i fini intellettuali odiano la parola "lobby") e non crea consenso attorno ai candidati che hanno dimostrato di avere a cuore gli interessi della cultura. I fini intellettuali, è noto, adorano martellarsi i testicoli, si beano di sottili distinguo ideologici e si impiccano con la propria scheda. Salvo, subito dopo, correre a piangere miseria dal nuovo assessore, che non hanno contribuito ad eleggere; e che sa benissimo che, dando retta a quella massa piangente, si scaverà la propria fossa politica. Sicché a battersi per la cultura, nei consessi elettivi, restano nel migliore dei casi i volonterosi e gli illusi; i non eletti (tipo la Parigi) senza ulteriori ambizioni; oppure quelli (come Cassiani) che hanno già deciso di non ricandidarsi. Ma il politico desideroso di non mollare il cadreghino si prenderà ben guardia dal dare udienza agli infidi postulanti che lo tradiranno nel segreto dell'urna.

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