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INCHIESTA SULLA BIBLIOTECA. E SULL'ARENA ROCK NO?


Il plastico della mancata biblioteca Bellini: un giocattolo da 16,5 milioni
Una precisazione è d’obbligo. Non sono un giudice, né un questurino. Neppure un avvocato o un pm, e men che meno un esperto di architettura. Lo preciso perché vorrei dire due cose sul progetto da 16,5milioni della famigerata biblioteca Bellini che non si è fatta; mentre il conto dell'architetto ci è rimasto sul groppone. Non conoscendo – a differenza della legione di esperti che sdottoreggiano on line – gli aspetti tecnici e giuridici della vicenda, né i tariffari degli architetti, non mi permetto di intervenire sul merito dell'inchiesta. Mi interessa altro: riportare la vicenda nel suo contesto storico.
La domanda è infatti una sola: come è possibile che Torino abbia anche solo immaginato di spendere una simile barcata di soldi per una nuova biblioteca?

Quando avevamo i soldi

Già. Oggi sembra incredibile. Ma oggi è oggi, e oggi Torino è molto diversa da vent’anni fa.
A quel tempo - dagli Anni Novanta fino alle Olimpiadi, direi – Torino (come il resto d’Italia) aveva i soldi. O almeno credeva di averli. Ma soprattutto credeva che li avrebbe avuti per sempre. A una condizione, però: la città doveva affrontare la fine dell’industria (ricordate? La Fiat era sull’orlo del tracollo) e inventarsi un nuovo destino. Quel nuovo destino fu identificato nella vocazione culturale.
Beh, sapete che c’è? Funzionò, fino a un certo punto. Furono spese montagne di soldi, è vero. Ma c’era un progetto. Voglio dire: oggi chiunque proponesse di fumarsi 15 milioni per mettere in scena “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Ronconi finirebbe diritto alla neuro. Anche allora a molti parve una follia. Ma in quella follia c’era un metodo. Grandi investimenti per un grande risultato. Se tu investi 10 per ottenere cento, può essere un ottimo affare. A condizione di averceli, quei 10: perché se arrivi a spenderne 9 e poi finisci i fondi, non raggiungi l’obiettivo, e perdi pure l’investimento. E’ andata così con il progetto di Torino capitale della cultura: quando quasi ce l’avevamo fatta abbiamo esaurito il valsente. Adesso siamo qui a leccarci le ferite. Però qualcosa di importante quella stagione ci ha lasciato: il difficile è mantenerlo. Aggiungo: alla fine della festa, quando ci siamo ritrovati con le pezze al culo, in fondo si sono scoperte poche magagne: il caso Soria, per dire, fa scalpore, ma in genere rubarono in pochi. Relativamente agli standard italiani, beninteso.

Le condizioni cambiano

Questo mi viene da dire sulla biblioteca Bellini: era una visione. Megalomane, ma possibile. E pure logica, se tutto fosse andato secondo i piani. Voglio dire: le trasformazioni urbanistiche, le intuizioni che cambiano il volto di una città, non sono gratis. Il Beaubourg a Parigi non è costato come una villetta a schiera a Scurzolengo. In quei dieci-quindici anni Torino cambiava pelle. Era a una svolta che poteva essere epocale. Si immaginava un grande destino. E sognare in grande sembrava possibile, persino necessario. Ma troppo presto è arrivato il brusco risveglio: la crisi economica e il collasso delle casse pubbliche.
Il progetto di Torino capitale della cultura era ambizioso, però possibile in certe condizioni. E l’operazione aveva il suo perché: peccato che nel frattempo le condizioni siano cambiate e il paziente sia morto.

Signor giudice, ha presente l'Arena Rock?

Adesso vedremo come finirà l’inchiesta sulla biblioteca. Poi spero vivamente che i giudici si occupino anche della mitica Arena Rock, voluta nel 2007 dal geniale assessore Montabone: cinque milioni  di euro - cinque! - per tirar su un muro da capomastro ubriaco che recintava il nulla. Un nulla dove, dicevano gli Esperti Comunali di Rock, avrebbero suonato le megarockstar mondiali. Non ci ha mai suonato una benamata minchia di nessuno. Ma quei soldi pubblici sono stati spesi, non ci hanno fruttato manco un bel plastico come quello della mancata biblioteca Bellini, nessuno dei geni che hanno preteso di spenderli s'è preso la briga di restituirceli. E in quella follia no, non c'era un metodo. E neppure una visione. Soltanto la sicumera proterva di chi pretendeva di sapere tutto, e non capiva una ceppa.

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