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IL DISERTORE. UNA LETTERA SUL JAZZ FESTIVAL

La punizione. Il Toro si è rifiutato di gridare "Miles Lives!": sconterà 8 mesi di tromba

Le bandiere della rivoluzione
Oh sindaco mio caro, / poiché io sarò assente, / le scrivo la presente / che spero leggerà. / Io non ce l'ho con lei, / sia detto per inciso, / ma sento che ho deciso / e che diserterò. / Piuttosto ascolto Pupo, / Mengoni e forse Spagna, / ma giuro che in montagna / io non ascolterò / i dischi di Coltrane, / né Parker, Chet e Miles, / perché una blue note / non val la libertà. / E dica pure ai suoi, / se vengono a cercarmi, / che possono portarmi / un disco di Lou Reed. ("Il disertore" di Vian, Fossati, Gabo)
Annuncio ufficialmente che ho scelto la libertà. All'alba del 25 Aprile, festa di tutte le Liberazioni, lascerò Torino, e non ci tornerò finché il Jazz Festival non sarà finito. No, non per via delle mie vecchie polemiche sui costi monstre della manifestazione. E neppure perché gli artisti ingaggiati non meritino di essere ascoltati.
No.
Vado via perché sono stato in Iraq ai tempi di Saddam.
E non mi è piaciuto per niente.
Ai tempi di Saddam, tutta Baghdad (e credo tutto l'Iraq) era tappezzata di murales e cartelloni che inneggiavano a Saddam medesimo. Giganteschi ritratti di Saddam nei suoi più riusciti travestimenti: Saddam beduino, Saddam pilota, Saddam condottiero a cavallo, Saddam condottiero a piedi, Saddam tra i bambini, Saddam tra i lavoratori, Saddam con Nabuccodonosor, Saddam con il kalashnikov, Saddam con i RayBan...
E' stata un'esperienza piuttosto sgradevole. E dunque, provo un senso di claustrofobia ritrovandomi, ad ogni fine aprile, in una città che sembra caduta sotto il tallone di una fanatica rivoluzione jazzista.
Le parole d'ordine ogni volta che vai fuori...
Guardatevi attorno: dovunque sventolano le bandiere rosse del Jazz Festival; ad ogni incrocio totem incombenti ricordano ai torinesi il loro indefettibile dovere di swingare ed accorrere in massa alle adunate oceaniche in piazza Castello (ooops... piazza Louis Armstrong, si chiama piazza Louis Armstrong), per ascoltare e acclamare gli eroi della rivoluzione; addirittura la toponomastica cittadina viene stravolta per celebrare il Grande Fratello Jazz e i suoi profeti.
Ecco. A me tutto questo mette un filino d'ansia. Anche perché io amavo e ascoltavo il jazz quando gli attuali "guardiani della rivoluzione" andavano ancora in deliquio per Ricky Martin. Ma i totalitarismi suscitano in me un rigetto naturale e automatico. Li odio senza se e senza ma, e senza il beneficio del dubbio. Li odio, e detesto a priori tutto ciò che propongono, foss'anche la cura di una malattia o la ricetta dei peperoni con le acciughe.
Non perdete la giusta via!
E dunque i "guardiani della rivoluzione" hanno anche questo sulla coscienza: ogni anno, per una settimana, mi fanno odiare il jazz dal profondo dell'anima. Perché sotto il tallone del Jazz Festival, Torino si trasforma in una sorta di Berlino ai tempi di Honecker: le parole d'ordine della rivoluzione jazz urlate da tutti i muri, e strade e piazze intitolate agli eroi del regime bebop. E di conseguenza io provo nei confronti di John Coltrane lo stesso sentimento che provava un berlinese del 1980 nei confronti di Bertolt Brecht. Non è colpa di Coltrane, come non lo era di Brecht. Sono i "guardiani della rivoluzione" a farti odiare la rivoluzione. Con la differenza che questi qui, i nostri, non sono cattivi. Sono soltanto assurdi.
Io capisco la pubblicità. Come capisco la propaganda.
Ma dovrebbe esserci un limite.
Non ne faccio una questione di soldi - benché i 200 mila euro di denaro pubblico (e ripeto: pubblico) "investiti" dal Comune per propagandare il Torino Jazz Festival siano pari, o superiori, all'intero budget di altre nobili manifestazioni.
No, ne faccio una questione di senso del limite. E del ridicolo. Voglio dire: a Torino ci sono decine di manifestazioni importanti, e amate dai torinesi. Fors'anche più del Torino Jazz Festival. Ma durante il Torino Film Festival a nessuno viene in mente di ribattezzare via Bogino "via Humphrey Bogart", o piazza Vittorio "piazza Vittorio De Sica". O di invadere i portici di via Po con gli aforismi di Alfred Hitchcok e Quentin Tarantino.
Eh sì, per Fassino & Braccialarghe - i Marx & Engels dello swing - ci sono figli prediletti (il Torino Jazz Festival, giustappunto) e figliastri (quasi tutti gli altri). E poi ci sono i figli di nessuno, come il povero Traffic,
che ormai non viene neppure citato nei depliant che il regime jazzistico diffonde per promuovere i suoi fasti. In quel programma si citano (è il solito vecchio trucco del jazzismo dal volto umano...) anche altre manifestazioni che illustrano la cultura torinese, dal Salone del Libro al Festival delle Colline. Però non c'è Traffic. Neppure un cenno. Capitava lo stesso con i dirigenti del Pcus in disgrazia: scomparivano dalle foto della parata del Primo Maggio.
La toponomastica rivoluzionaria
In compenso nel depliant viene ricordato MiTo, secondo un'altra subdola tecnica del Soviet Jazzistico: depauperato per foraggiare il Torino Jazz Festival, il compagno MiTo è però beneficiato di formali onori (e una dacia sul Mar Nero, a condizione che non protesti).
Insomma, non credo di poter reggere questo clima da "swinga o muori". Da ogni edicola manifesti king size mi ricordano che devo ritirare il mio programma dalle mani del giornalaio (guai se la polizia di New Orleans vi sorprende senza, rischiate tre anni di confino alla Julliard School). Mi assale la stessa angoscia che provai durante il mio soggiorno a Baghdad, vent'anni fa. Mi sento in gabbia. Mi sento braccato. E scelgo la libertà.
Ci rivediamo il 30 aprile, per l'inaugurazione del Tglff (a proposito, avete visto dei manifesti in giro?).

Commenti

  1. al solito per i politici la musica è la solita e dura una settimana poi si possono chiudere locali teatri e pure i murazzi tanto a loro non gliene frega niente

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Io , personalmente, sono molto contento che tu vada in montagna; anzi, già che ci sei restaci pure per un bel po'.
    Il TJF è una bella cosa per Torino, sebbene a molti torinesi e non non freghi nulla del jazz. Un po' come a me non frega niente, ma proprio niente del calcio, ma le due squadre cittadine le considero una ricchezza e non mi passerebbe mai di associare la omnipresente presenza del calcio stesso in uffici, manifestazioni e media, alla propaganda nazista.

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  4. Ogni anno si fa il festival ogni anno il ns caro Gabriele ci regala una sua perla di equilibrio...e lasciamo stare a Lou Reed, che il jazz lo amava a prescindere...io vorrei sapere però: "se la cultura diventa teatro di scontri (verbali per carita') anch'essa, cosa distingue questo fine giornalista da un ultra qualunque che si lamenta degli arbitri che fischiano rigori contro la sua squadra ???? ...Mhaa!!?!

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  5. poi tutto il resto dell'anno scarseggiano jam session e possibilità di ascoltare buona musica….

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  6. Da sempre penso che la piaga peggiore del Paese sia, insieme con la mancanza d'ironia, l'analfabetismo inteso come "incapacità di interpretare un semplice testo scritto". Certi commenti lo confermano. E non mi riferisco ai pur gravi problemi con la sintassi ("lasciamo stare A Lou Reed") e con l'ortografia ("oMnipresente"), bensì al fatto che i due scriventi non hanno neppure capito l'argomento del mio post, e si sono lanciati in una difesa a oltranza del jazz; musica rispettabilissima che io personalmente amo e ascolto. Non ho la vocazione del maestro elementare e dunque non tenterò di spiegare. Chi sa leggere ha capito. Mi limito a stupirmi perché, di solito, chi ascolta il jazz è decentemente alfabetizzato.

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  7. Purtroppo mi sembra un articolo piuttosto superficiale ed infantile, somiglia più ad un lamento verso coloro che hanno organizzato il festival con un accenno di gelosia per i fondi che sono stati spesi per il TJF anziché per altre manifestazioni.
    Lo scorso anno mi è capitato di leggere un altro articolo assurdo riguardo l'Umbria Jazz Winter che citava l'intervista al Ministro dei Beni Culturali il quale diceva che l'UJW non rispondeva ai criteri di qualità non tutelando l'"ITALIANITA'" parola piuttosto sconosciuta di questi tempi ma spesso usata a sproposito; il pensiero che mi è saltato alla mente durante queste due letture è il medesimo: "Perché diavolo sono state scritte queste cose? Perché la gente parla a sproposito?"
    La dichiarazione del ministro era palesemente dovuta all'ignoranza in materia, ma in questo caso ci tengo a sottolineare una cosa: il Jazz è parte della cultura italiana quanto lo sono le opere d'arte in Italia.
    Italiani, Creoli e Afroamericani sono i padri fondatori del Jazz (a grandi linee). Non dimentichiamo che però era di Nick La Rocca il primo disco di musica "Jazz" del mondo e da dove arrivava lui? Già, dall'Italia. Era il 1917.
    Si dice sempre di rendere giustizia all'arte Italiana, perché il Jazz non dovrebbe essere incluso in questo gruppo? E' stato per caso "disconosciuto" dagli italiani? Forse si, ma allora permettetemi di dire che io "disconosco" gli italiani che la pensano così e i gelosi delle manifestazioni che, per una volta, sono state fatte a regola d'arte.

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  8. Tel chi un altro genio. Ma sapete leggere? Ma che cosa c'entra il jazz! Fosse reggae, liscio o soul makossa, non cambia un beneamato. Vi volete mettere in testa che nel mio post prendo in giro le spese assurde per la PROMOZIONE del Festival? E il problema non è la musica, bensì il modo. Ma che sto a discutere. Salta su il Maestrino dalla Penna Rossa nato ieri che si fa il suo saggetto su Nick La Rocca. Parli tu di jazz? A che titolo? Perché hai una chitarra in mano? Vuoi che ti racconti di quando sono andato a recuperare Chet Baker che s'era perso per Torino? O di che cianciavamo a cena con Gillespie? O di Miles? Vuoi che te ne racconti qualcuna di Miles? Io ho dato voce al jazz in questa città quando tuo padre e tua madre ancora manco si conoscevano. Per favore, cercate di capire di che si sta parlando, prima di dare aria ai denti e la stura ai "disconoscimenti".

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  9. Leggendo questo articolo mi sono passate per la testa tante cose....
    Da amante e ascoltatore del Jazz quale sono non ho fatto che cercare di auto convincermi che fossero solo cazzate, ma non prendiamoci in giro, non è così.
    Mi infastidisce molto il fatto che tutti i musicisti che hanno commentato questo post si siano sentiti presi in causa, anche perché, come dice giustamente Gabriele, vengono condannate le spese per la promozione di questo Festival.
    Qui il Jazz Non c'entra nulla, e Gabriele questo lo ha capito....

    E comunque dai, questa iniziativa di ribattezzare le piazze e le vie è davvero di cattivo gusto, manco fosse la sagra dell'agnolotto di Bobbio Pellice.

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  10. Ok, questo è anonimo, e io detesto gli anonimi. Ma la pubblicazione la dovevo ai musicisti e degli appassionati di jazz, che amo assai e che nella quasi totalità sono perfettamente in grado di leggere e capire ciò che leggono. Poi ci sono gli irrecuperabili, come in ogni categoria umana e professionale. Come il tizio, un autentico fuoriclasse, che - firmandosi! - mi spiega (lui a me) come dovrei scrivere per riuscire comprensibile "alla gente", secondo la sua personalissima idea della "gente". Mi spiace, non posso adeguarmi. Questo blog non è il sillabario di Peppa Pig. E in ogni caso io non vado a spiegare a lui come deve suonare. Offelee, fa'l to mesté. E con questo chiudiamo il dibattito. Vado in vacanza. Buona Liberazione a tutti, e buona musica - qualsiasi essa sia.

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  11. per quanto le varie piazza coltrane o via miles davis siano delle cagate mostruose, e le spese siano spropositate, questo articolo e tutta la polemica su facebook mi paiono di una pochezza impressionante. in questo momento sono a miami, giro più che posso per il mondo per alimentare tasche e anima, confesso mi piacerebbe poterlo fare a torino, ma non si può, e queste polemiche fanno parte del motivo per cui siamo totalmente insignificanti. sono torinese e a modo mio amo la città, anche se è un piccolo paesino con un corpo da piccola città e con un ego da capitale. suonicchio da tempo, gran parte dei miei amici suonano jazz e sono in programma al fringe. siamo una piccola comunità notturna e piena di vizi, fra cui quello di studiare musica e fare ricerca per poi suonare in giro per 2 soldi, spesso c'è più gente sul palco che nel pubblico. io diserto torino e le sue dinamiche insignificanti di cui questo articolo e la sua polemica mi sembrano un buon esempio. ma sono contento che musicisti che studiano e fanno roba buona abbiano la possibilità di divertirsi per una settimana. se tu che scrivi fossi stato mandato come inviato in una città qualsiasi con un festival del genere, questo articolo sarebbe stato tipo "oh, che festival pazzesco, ce ne fossero in italia, jazz dappertutto, un sacco di gente, mica come da noi" etc..

    non so. consiglio a tutti di investire in umiltà e viaggi. è difficile da credere ma c'è un mondo grande fuori da piazza vittorio

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  12. Eccheppalle! Scrivo un pezzo in cui, per il puro piacere dell'ironia, prendo per il culo l'enfasi - e il costo - della promozione del Festival, e scoppia un delirio di geremiadi sulla Patria ingrata. In questo caso specifico - a parte il bando delle maiuscole, che non capisco cos'abbiano fatto di male allo scrivente - mi colpisce la contentezza "che musicisti che studiano e fanno roba buona abbiano la possibilità di divertirsi per una settimana": direi che come parco giochi il Festival mi sembra un po' costoso, e spero che la finalità di tante spese non sia trastullare i genii incompresi di Torino e dintorni. Anche perché, lo ripeto per l'ultima volta, io genii incompresi non ne ho mai conosciuti: in compenso, ho conosciuto legioni di mezze calzette che si sentivano genii incompresi. Chi davvero ha talento, riesce: e non è un caso che gente come Flavio Boltro (uno che ha cominciato suonando nelle birrerie a Torino) oggi non lanci da Parigi proclami sdegnati contro il "natio borgo selvaggio". Uno va dove c'è il lavoro; non è detto che una città, pur allevando talenti, debba poi mantenere tutti gli artisti bisognosi in loco, per non strapparli all'affetto delle loro mamme. Sennò dovremmo garantire pari opportunità a tutti: attori, danzatori, registi, giocolieri, mangiatori di fuoco e puranco allevatori di buoi tibetani. Si dà il caso che a Torino non ci sia molta richiesta di buoi tibetani. Giusto il consiglio: investite in umiltà e viaggi. Soprattutto in umiltà. E risparmiatemi l'anatema retorico del "patria ingrata non avrai le mie ossa". Questo è un blog, non la discarica delle illusioni perdute.

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