Questa è una dichiarazione di resa preventiva. Come quella di Troisi, ricordate? «Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere». Ecco: io sono uno, loro sono tante. Dove «loro» sono le «issime» e annessi e connessi: Artissima, Paratissima, Diffusissima, The Others, Flashback, Apart - ma c'è pure Spaghettissima - e poi le iniziative dei musei, Gam, Rivoli, Palazzo Madama, Pinacoteca Agnelli, Ogr, Camera, Gallerie d'Italia, Mao, Pav e le mostre delle singole gallerie, e la notte delle arti contemporanee, e le colazioni gli aperitivi le merende le notti da balera e aggiungici C2C, e piovono inviti mail whatsup sempre uguali ti aspettiamo all'inaugurazione vernissage anteprima non mancare, e tutti negli stessi quattro giorni e alle stesse ore. E giustamente se non ti fai vivo sembra uno sgarbo, e nessuno calcola che un essere umano deve pur dormire, farsi gli affari propri, mangiare un paio di pasti caldi, magari vedersi un film in tivù.
Troppa grazia, sant'Antonio. L'Art Week è bellissima, importantissima, fighissima, artweekissima, issimaissima, però non ce la posso fare, ci ho una certa età e non reggo i ritmi le sale gli oval le ex fabbriche i loft le camerette le stanze le gallerie le folle sciamanti i pigia pigia con relative afe da giungla vietnamita i commenti competenti i commenti incompetenti «ma questo lo faccio pure io» «l'artista ha voluto trasmettere il messaggio» e poi, diciamocelo, in fin dei conti al centro c'è la fiera-mercato, e sottolineo mercato, l'intero circo è lì per quell'assoluta minoranza di competenti collezionisti danarosi che comprano, è un mercato per chi può e vuole spendere e tutti noi non compratori siamo figuranti - figuranti paganti - di una sacra rappresentazione utile, anzi utilissima, per la città, per artisti galleristi taxisti ristoratori albergatori e finché gira il soldo il vantaggio è collettivo e Torino respira, sono d'accordo, viva Artissima e tutto l'issimo contorno. Ma io mi arrendo. Per non far torto a nessuno, non vedrò nessuna fiera. Ci vada chi ha il fisico, a scarpinare e sudare per la gloria dell'arte contemporanea con il non trascurabile rischio di manco capire quel che vede. Io (come si vede nella fotografia di Andrea Guermani) chiedo asilo alla stupefacente e visionaria mostra di William Blake alla Venaria: ambienti calmi e confortevoli e - dopo Constable e Turner - un'altra certezza che mi parla senza intermediari, senza «facilitatori culturali», senza nessuno che mi spiega cosa voleva dire l'artista e cosa devo pensarne io. Grazie ma non disturbatevi, gentili espertoni: Blake ed io ci intendiamo benissimo da soli.
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