Ripubblico qui l'articolo uscito ieri sul Corriere e non reperibile on line:
Stavo in pensiero: era da un po' che non saltava su qualche cavaliere dell'ideale a propugnare l'istituzione di un nuovo museo. Ma ecco, a rassicurarmi che non s'è esaurita la vena dell'inventiva museale subalpina, arriva – prossimamente in Consiglio comunale - una mozione che impegnerebbe «il sindaco e la giunta a istituire il Museo dell'Immigrazione quale luogo fisico per radicare la storia dell'immigrazione torinese».
Prima firmataria della mozione è la consigliera piddina Caterina Greco (foto), che spende due cartelle di testo per illustrare storia e gloria dell'immigrazione a Torino, i «valori dell'accoglienza», la «solida cornice storiografica» del futuro museo, il «patrimonio storico-artistico-culturale dell'immigrazione», le «installazioni immersive e le ricostruzioni attoriali», e patapìm e patapàm; ma non scrive da nessuna parte con quali fondi pagherebbe le «installazioni immersive e le ricostruzioni attoriali», né su quali bilanci, quali dotazioni patrimoniali, e magari anche quanti visitatori, si reggerebbe negli anni l'auspicato Museo dell'Immigrazione, con le relative bollette, fatture e stipendi.
Ma vi pare serio? Non mi sembra troppo pretendere che quei politici che si fanno belli con certe trovate le corredino non dico con un serio piano di fattibilità, ma almeno con uno straccio di ipotesi economica, tanto per sapere di qual morte dovremmo morire. Niente: la mozione grecale sorvola nobilmente sulle grette questioni di vil denaro.
Beh, è la norma, no? Torino pullula di musei che tirano a campare non potendo, per ristrettezze economiche, organizzare mostre d'alto livello né rinnovarsi sul piano tecnologico e della comunicazione, e faticano persino a svolgere le normali attività di studio e conservazione; musei, penso a quello regionale di Scienze naturali, «riaperti» alla boia d'un giuda in vista delle elezioni, ma che in realtà restano ancora un cantiere ad andamento lento; musei che per non cadere a pezzi necessitano di onerose ristrutturazioni; musei, infine, ignorati dal grande pubblico, o chiusi da decenni come quello, universitario, di Antropologia ed etnologia. E a proposito di quest'ultimo: nel 2021 l'allora rettore Geuna ne aveva annunciato la riapertura «entro il 2025»: beh, siamo nel 2025, abbiamo notizie?
Stentiamo a mantenere i musei esistenti, eppure a ogni più sospinto salta su chi ne vorrebbe uno nuovo. Molte idee ben confuse s'aggirano per Torino: come il povero attore del «Macbeth», s'agitano e si pavoneggiano per un'ora sul palcoscenico e dopo non se ne sa più nulla. Ma sì, continuiamo a dare aria ai denti. Ogni giusta causa troverà i suoi paladini, sembrerà meritevole di un museo; magari resterà soltanto un titolo sui giornali sùbito dimenticato, o chissà, forse sull'onda dell'entusiasmo nuovi musei nasceranno. E poi? Poi – e perdonate l'indegna semicitazione – la voglia svanisce e il museo rimane, e tanti ne uccide la fame.
Prima di parlare di un ipotetico museo dell'immigrazione, sarebbe meglio accontentare la Purchia che giustamente proponeva di tirare fuori le opere dai depositi della GAM ed esporle una volta per tutte (con un certo criterio ovviamente).
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