Le boccaccesche disavventure di Genny Sangiuliano gettano un'ombra insieme sinistra e ridicola sull'avvenire del Museo Egizio così come ce lo stava architettando l'uomo sceltissimo e immenso che non sa scegliere né le amanti né i consiglieri. Avrete ben presente lo stravagante progetto ministeriale di levarsi dai piedi in un sol colpo la presidente Christillin e - ricaduta ineluttabile - il direttore Christian Greco, designando al vertice dell'Egizio (come gli consentirebbe di fare l'articolo 6 dello Statuto della Fondazione) l'esuberante Zahi Hawass.
Tale alzata d'ingegno sembrava ai più una sublime bischerata prima ancora che la farsaccia pompeiana certificasse agli occhi dell'universo mondo il pessimo intuito del Sangiu in materia di nomine. Oggi però la pratica Hawass è da considerarsi chiusa: è lampante che se un tizio piace a Sangiuliano probabilmente non va bene per nessun altro. Non so se dipenda dalla sfiga, da un innato cattivo gusto ministeriale, oppure (come suggeriva Natangelo in una svignetta sul "Fatto") da un errore primigenio del Sangiu nella scelta del suo consulente per le nomine.
Sia come sia, è prevedibile che nei prossimi mesi Genny avrà altre gatte da pelare - in casa e in società - anziché venirci a devastare il nostro museo più amato. Ad ogni buon conto, come scrivo sul Corriere di oggi, la storiaccia serva di lezione ai nostri amministratori locali, e li incoraggi a tirar fuori le palle quando da Roma tentano di mettere le manacce sulle nostre eccellenze culturali. Sangiuliano è finito, ma altri ne verranno dopo di lui, e forse peggiori di lui, perché in questo paese non c'è limite al peggio: però la sua decadenza e miserevole caduta ci insegnano che i ministrucci di passaggio sono tigri di carta, nient'altro che chiacchiere e auto blu: e non c'è nulla di male, né di pericoloso, a mandarli a stendere se pretendono di venire da noi a pisciar fuori dal vaso. Non più di due settimane fa, raccontando i lodevoli tentativi delle nostre istituzioni di far slittare almeno di un anno le tavanate ministeriali ai danni dell'Egizio, dicevo che "in un anno possono cambiare tante cose". Sbagliavo: sono bastati quindici giorni.
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