Se c'è un rito cultural-giornalistico al quale non puoi mancare, a Torino, è la conferenza stampa del Tff. In verità non si capisce il perché. E' soltanto la replica, in tarda serata, di quella che si tiene a Roma a mezzogiorno; novità non ce ne sono mai; personaggi famosi neppure; è lunghissima e abbastanza noiosa.
Toffetti è un presidente cinefilo e non un direttore amministrativo con master in gestione aziendale ma, per non saper né leggere né scrivere, in attesa dell'esperto che prima o poi arriverà s'è premurato di contenere i costi senza impoverire ulteriormente l'offerta del Festival per il pubblico: il Tff già l'anno scorso s'è beccato una bella botta di risparmi da tempo di guerra con la rinuncia a ben tre sale, peraltro confermata anche anche per questa trentaseiesima edizione. E così, dovendo ancora tagliare qualcosa, stavolta tocca alle collaborazioni esterne, con una riduzione di 24.500 euro circa: all'incirca l'equivalente del minore gettito delle sponsorizzazioni. Una sforbiciata minima, su un bilancio di quasi due milioni. Ma che s'è fatta sentire assai, dato che colpisce persone in carne ed ossa. Ci ha rimesso pure la direttrice Emanuela Martini, il cui compenso lordo è sceso del 10 per cento, da 81 mila a 73 mila euro. La Martini non s'è lamentata. Ma è andata peggio a alcuni collaboratori a progetto, al giorno d'oggi vittime predestinate di qualsiasi "ottimizzazione" aziendale: quella voce di spesa è calata anch'essa del 10 per cento, da 62 mila a 55.800 euro, il che nella pratica significa che alcuni collaboratori restano a casa, o lavorano di meno; e la loro parte di lavoro ricade sui dipendenti fissi del Museo, che sono molti e dunque, ha pensato Toffetti, possono farsi carico di certi compiti che prima erano affidati ai collaboratori.
Ma non puoi mancare, perché il Tff è "il" Festival. E quella del Tff è "la" conferenza stampa. La messa cantata grande, con un suo rituale immutabile. La sala 2 del cinema Massimo, i posti a sedere tutti occupati, il tavolo dei relatori al quale, da sinistra, siedono nell'ordine i due assessori alla cultura, la direttrice del Tff Emanuela Martini, il direttore del Museo del Cinema che ha la responsabilità amministrativa del Festival e...
Beh, no. Aspetta. Il direttore del Museo del Cinema no. Per il secondo anno consecutivo, ieri alla conferenza stampa del Tff il direttore del Museo del Cinema non c'era, per il semplice e insieme stravagante motivo che dal dicembre del 2016 il Museo del Cinema non ha un direttore, nonostante due tentativi di darselo e due relativi bandi abortiti che sono costati al Museo un totale di 81 mila euro.
Toffetti: Il bando? Basta sprechi, ce lo facciamo da noi
Adesso però si sono fatti furbi. O meglio: il nuovo presidente del Museo, Sergio Toffetti, è uno che di farsi furbo non aveva bisogno, essendo da sempre dotato di un sabaudo buonsenso. Per cui ieri mi ha assicurato che stavolta, se potrà fare come vuole lui (e sono portato a credere che ci riuscirà) col cavolo che va a incaricare del bando per il direttore qualche pomposa agenzia di head hunters, che per il disturbo si imberta una paccata di euro. No, no: "Il bando ce lo facciamo da noi, senza tante storie", mi dice Toffetti. E in effetti non si vede perché accollarsi infiniti salti mortali e relative spese per poi non cavare un ragno dal buco. "Ma lo sai quante cose può fare il Museo con quei soldi?", aggiunge Toffetti. Oh yes, Ad esempio, digitalizzare l'intero archivio di videoclip e broadcasting di Videomusic, la più recente acquisizione della Mole.
Toffetti è un uomo di solido buonsenso. E anche se il Museo da due anni a questa parte non riesce a darsi quel direttore che dovrebbe tenere sotto controllo i conti, Toffetti i conti li tiene sotto controllo lo stesso, eccome. A costo di suscitare mugugni.
Il budget cresce. Di poco, ma cresce
Il bilancio della trentaseiesima edizione del Tff ne è plastica dimostrazione. In controcorrente rispetto al recente passato, il budget totale non è diminuito, anzi: è aumentato di 40 mila euro, salendo da 1.900.000 a 1.940.000 euro. Per la verità, nel bilancio previsionale 2018 del Museo approvato prima dell'estate erano previsti due milioni: passando dalle buone intenzioni thinking alla dura realtà si saranno accorti che centomila euro in più proprio non si poteva, e quarantamila è meglio di niente, e ancor meglio di un taglio.
Comunque il Museo ha fatto un dignitoso sforzo. Dovete sapere che la gestione economica del Tff funziona così. Il Festival ha le sue voci d'entrata: in primis il contributo del Mibact, tutt'altro che simbolico (704 mila euro nel 2017, confermati quest'anno); poi i contributi diretti di Compagnia di San Paolo (190 mila euro) e Fondazione Crt (81.500); i ricavi della biglietteria (185.388 euro nel 2017, che si prevedono stabili o in lieve crescita fino a 190 mila), le sponsorizzazioni (quest'anno 230 mila euro, in calo di 23 mila euro rispetto ai 253 mila dell'anno passato) e altri spiccioli vari per un totale che arriverà a circa un milione e mezzo di euro. I soldi che mancano per coprire le spese - quest'anno i 440 mila euro che servono per arrivare al totalone di 1.940.000 - li mette il Museo del Cinema, prendendoli dal finanziamento generale che riceve da Regione (2.450.000 euro), Comune (1,8 milioni), Compagnia di San Paolo (650 mila), Fondazione Crt (550.000) e Gtt (212.500).
Contenere i costi: e ci rimettono i collaboratori (e la direttrice)
Ne vedrete di tutti i colori. Toffetti e Martini presentato il Tff |
L'operazione è un classico di tutte le "ottimizzazioni" aziendali: fai lavorare di più quelli che comunque già paghi. Ciò dolorosamente danneggia i precari; e pone i garantiti di fronte alla prospettiva di lavorare di più. I conseguenti malumori sono nella logica della natura umana.
Vabbé, ridendo e scherzando s'è fatto tardi. Del Festival a quest'ora avrete letto su tutti i siti e i giornali. E io avrò, dal 23 novembre al 1° dicembre, un'infinità di occasioni per parlarne. Fino a farmelo uscire dagli occhi. Per adesso anche basta.
Vabbé, ridendo e scherzando s'è fatto tardi. Del Festival a quest'ora avrete letto su tutti i siti e i giornali. E io avrò, dal 23 novembre al 1° dicembre, un'infinità di occasioni per parlarne. Fino a farmelo uscire dagli occhi. Per adesso anche basta.
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