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SALONE DEL LIBRO: MARCHIO ALL'ASTA, MA QUANTO VALE DAVVERO?

Quanto paghereste per questo marchio? Fate un po' voi: le valutazioni oscillano da 1,9 milioni a 108 mila euro. Più volatili del bitcoin
Ci siamo. L'asta della liquidazione dell'ex Fondazione per il Libro sarà bandita entro pochi giorni. Dovrebbe essere pronto (benché non mi risulti ancora firmato) il decreto ministeriale che pone sotto tutela l'archivio e il marchio del Salone. La tutela prevederebbe anche il "radicamento territoriale": chi acquisterà il marchio non potrà portare la manifestazione in un'altra città. Speriamo.
La base d'asta per il marchio sarà 500 mila euro, con rilanci di 30 mila. La cifra fissata mi riaccende in cuore l'eterno interrogativo: ma quanto minchia vale davvero il marchio del Salone del Libro?

Voi sapete che quando un bene viene venduto a un'asta fallimentare (la messa in liquidazione, detto da ignoranti, per le fondazioni equivale al fallimento di un'azienda) di solito si parte da una somma sensibilmente inferiore al valore reale. Dunque, se il prezzo base è 500 mila euro ciò significa che in realtà il marchio vale almeno un milioncino. Più o meno ciò che dovrebbe essere oggi in base alla perizia asseverata del 2009, tenuto conto degli anni d'ammortamento. Di certo è molto più della valutazione "fra i 108 e i 215 mila euro" fissata - in base a criteri differenti - dalla nuova perizia del 2016. Perizia che, peraltro, non ho mai avuto il bene di leggere direttamente.
Come qualcuno ricorderà, il marchio del Salone fu a suo tempo inserito nel bilancio della Fondazione per il Libro con il valore di 1.890.000 euro indicato nel 2009 da una perizia asseverata che venne commissionata da Fondazione e Camera di Commercio. La bella sommetta, inserita a bilancio a partire dal 2010, fu provvidenziale per i conti che già allora traballavano. La cifra, in ragione dell'ammortamento, calava di anno in anno: comunque a fine 2014 era ancora di un milione e 383 mila euro.
Alla fine del 2017, quando al Salone il marasma è già grande, arriva la nuova perizia affidata allo studio Jacobacci, che come ho detto stima il marchio "fra i 108 e i 215 mila euro". Ciò di fatto manda in vacca i conti della Fondazione per il Libro - che dall'oggi al domani vede sparire dall'attivo un milione di euro - e apre la strada alla liquidazione dell'ente. Però nella relazione di accompagnamento del documento di bilancio 2016 i Revisori dei conti, prendendo atto della nuova valutazione, scrivono nero su bianco che essa è "basata su criteri non comparabili" rispetto a quelli adottati nel 2009, quando si soppesarono anche voci quali l'avviamento, il giro d'affari e le ricadute economiche della manifestazione. Nel 2017 lo studio Jacobacci non considerò quei fattori, in ossequio evidentemente alle indicazioni ricevute da un "qualcuno" che, per legge, poteva essere soltanto il Committente, ovvero la Fondazione stessa. O uno dei soci: all'epoca Regione, Comune, Intesa-Sanpaolo e i ministeri Mibact e Miur.
Va detto che erano giorni strani. Fin dall'inizio del 2016 i giornali descrivevano con entusiasmo l'inchiesta giudiziaria destinata a "fare luce su decine di migliaia di euro di spese che non sarebbero sufficientemente giustificate: ristoranti, alberghi, regali”; e con squilli di trombe annunciavano che la “due diligence”(l'esame certificato sui conti del Salone affidato nel 2015 alla società Dbo) “non è ancora stata resa pubblica ma avrebbe confermato le gravi criticità”.
A distanza di quasi tre anni l'inchiesta giudiziaria che tenta di appurare, tra l'altro, se nel 2009 il marchio fu sovrastimato si avvia alla conclusione nel massimo riserbo, com'è giusto. Ma non si hanno più notizie neppure della famosa "due diligence": a me piacerebbe leggerla, per capire in che cosa consistessero "le gravi criticità". Così, al buio, viene da sospettare che l'esame della Dbo più che straordinari magna magna certificasse i costi del personale, ma soprattutto i danni economici e gli indebitamenti con le banche causati al Salone dal ritardo abissale con cui gli enti locali versavano (e versano tutt'ora) i finanziamenti promessi agli enti culturali.
Aggiungete che già all'epoca i fornitori non pagati reclamavano (e continuano a reclamare) le loro spettanze, sicchè incombeva l'angosciosa prospettiva di doverli pagare, prima o poi. In tal senso la liquidazione è una mano santa: ci si sgrava dei dipendenti, si vendono i beni, si incassa quel che si riesce a incassare, alla fine si spartisce il ricavato fra i creditori e bon, tanti saluti, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.
Com'e e come non è, fatto sta che nel dicembre 2017 la Fondazione per il Libro viene messa in liquidazione e si affida l'organizzazione del Salone 2018 al Circolo dei Lettori e alla Fondazione Cultura. Però con una stravagante successione temporale. In genere prima si muore, e poi qualcuno eredita. Invece stavolta succede il contrario: il 12 dicembre i nostri zuavi firmano il protocollo per affidare il Salone a Circolo e Fondazione Cultura; e soltanto due settimane dopo, il 28 dicembre,certificano il decesso della Fondazione per il Libro davanti al notaio Giulio Biino. Lo stesso notaio che adesso - ironia della sorte - con la carica di presidente del Circolo dei Lettori gestirà il Salone 2019. Se tutto va bene. Se l'asta fila via liscia. Se il marchio non finisce nelle mani sbagliate. Se le istituzioni non si scannano. Se i soldi ci sono. Se non saltano fuori nuovi disastri. Se non arrivano le cavallette.


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