Tattoo al Mao. I curatori della mostra, Alessandra Castellani e Luca Beatrice, posano con il maiale tatuato di Wim Delvoye |
Ho così assistito al passaggio del testimone fra il direttore uscente e il suo successore Marco Guglielminotti Trivel. In realtà Biscione si muoveva ancora con il piglio di direttore in carica, mentre Guglielminotti Trivel se ne stava piuttosto schiscio e defilato: non conoscendolo, ieri non ho certo avuto modo di farmi un'idea sul suo conto.
Il lungo addio
Direttore che viene, direttore che va: Guglieminotti Trivel (a sx) e Biscione |
Biscione e Asproni, va da sé, hanno sempre respinto le accuse; ancora pochi giorni fa Biscione mi ha raccontato la sua versione della vicenda, che descrive come una manovra denigratoria costruita ad arte per invidie e rivalità accademiche, e sfruttata a fini politici.
In questi casi, diceva mia nonna, ti verrebbe da prendere uno per battere l'altro. Per come la vedo io, di angeli in 'sta storiaccia ce ne sono pochini.
Ad ogni modo: a Biscione va senz'altro riconosciuto il merito di aver preso un Mao che nel 2013 agonizzava a 35 mila visitatori in un anno, portandolo fino ai 109 mila del 2016: salvo poi ricadere sotto la soglia dei centomila (93 mila nel 2017) come logica conseguenza delle convulsioni e delle ristrettezze finanziarie che hanno colpito i Musei civici negli ultimi due anni.
La formula Beatrice: arte e pop
La mostra "Tattoo. L'arte sulla pelle" inaugurata ieri è ancora farina del sacco di Biscione, e dimostra la sua volontà di risalire la china: mostra dichiaratamente "pop" e affidata allo specialista assoluto di mostre pop, Luca Beatrice.Beatrice al Mao aveva già presentato nel 2016 la mostra sui Beatles e l'India: manco a dirlo aveva attirato il pubblico. Così come sta macinando presenze alla Reggia di Venaria "Easy Rider", l'altra sua mostra poppissima sul mito della motocicletta che sarà prorogata fino a maggio.
La formula è sempre quella: affiancare a icone della cultura pop una scelta di opere d'arte contemporanea ispirate allo stesso tema. Nel caso di "Tattoo" la co-curatrice è un'antropologa, Alessandra Castellani, studiosa del fenomeno del tatuaggio: ha raccolto una straordinaria galleria di testimonianze, dalle opere degli antichi maestri tatuatori giapponesi e delle "tattoo-star" contemporanee ai reperti lombrosiani sui tatuati criminali, fino agli strumenti per il tatuaggio dei maori e dei daiachi (parola che suscita lo scontato entusiasmo di noi piccoli salgariani).
Altrettanto sorprendenti le opere d'arte che si confrontano con la parte antropologica. Di sicuro farà scalpore il "Maiale tatuato" (e imbalsamato) del fiammingo Wim Delvoye. A scanso di equivoci animalisti sottolineo che il grosso porco non ha subito maltrattamenti, anzi, è stato nutrito e amorosamente accudito fino a una serena morte per vecchiaia: destino invero privilegiato, e non soltanto per un suino.
Beatrice, che ho rivisto per la prima volta dopo le dimissioni dal Circolo dei Lettori, mi è sembrato molto pimpante e pieno di progetti: per l'anno prossimo trama una mostra sugli "89" (il 1989 della caduta del Muro ma anche il 1789 della Rivoluzione francese), un'altra sui cinquant'anni dell'uomo sulla Luna - l'idea sarebbe di portarla ai Musei Reali - e un progetto sul "Romanticismo pop" che rilegga i romantici ottocenteschi come belli e dannati molto rock: magari da fare alla Gam, per movimentare un po' quelle sale meste dove i maestri dell'Ottocento languiscono ingiustamente dimenticati dal grande pubblico.
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