Come to the disco-party: il flyer della Fab Night al Mao e a Palazzo Madama |
Che farci? E' il nuovo corso di Patriziona Asproni, che vuole tanti visitatori, e pazienza se Marilyn e i Beatles c'entrano poco (almeno in apparenza) con le mission accademiche dei musei in questione.
Così, si leva alto il grido di dolore di quanti invocano maggiore "serietà". E alcuni si aspettano da me (notoriamente assai attento a ciò che avviene alla Fondazione Musei) una mia scandalizzata reprimenda ad hoc.
Spiacente. Non credo che mi scandalizzerò.
L'importanza di sentirsi pop
Ok, il ridicolo incombe, e probabilmente è bell'e che raggiunto con l'invito alla "Fab Night" inaugurale, più opening party che vernissage: sembra il flyer di una serata in discoteca.Però i temi delle due mostre sono "inappropriati" soltanto per chi ha della cultura un concetto novecentesco, se non ottocentesco. E comunque piuttosto (auto)punitivo.
Almeno, io l'ho pensata così non appena ne ho sentito parlare. E quando il mio amico Luca Beatrice, curatore di "Nothing is real. Quando i Beatles incontrarono l'Oriente", la mostra del Mao, mi ha chiesto la cortesia di scrivere per il catalogo un piccolo saggio sui rapporti fra la cultura musicale pop e l'India, ho accettato nonostante le mie risapute riserve sul Mao. La cosa non soltanto mi ha divertito, ma l'ho vissuta come una piccola rivincita. Non personale, ci mancherebbe. Vivevo benissimo anche prima. Bensì generazionale.
Per l'intera giovinezza, infatti, noi - nati quando la tivù aveva un solo canale in bianco e nero - abbiamo sopportato le baggianate dei vecchi tromboni che bollavano come "rumoraccio" l'intera rivoluzione musicale degli anni Sessanta-Settanta; gli stessi vecchi tromboni che non avrebbero mai aperto un libro di Kerouac o Ginsberg, limitandosi a detestarli senza conoscerli; gli stessi vecchi tromboni che disprezzavano "Easy Rider" perché vuoi mettere il neorealismo; gli stessi vecchi tromboni, insomma, che pretendevano che cultura fosse ciò che loro consideravano cultura e non si accorgevano che il mondo gli stava cambiando sotto il naso e Bob Dylan era meglio di Montale. O almeno, era un'altra cosa, ma era pur sempre poesia.
La rivincita: adesso tocca noi
Poi, com'è giusto e naturale, i vecchi tromboni sono passati a miglior vita, e ora i vecchi tromboni siamo noi. Ecchediamine, almeno adesso, prima di morire, ci spetta il diritto di proclamare forte e chiaro che la nostra è cultura (non "sottocultura giovanile" come la definivano i vecchi tromboni de cuius) e quindi i Beatles devono entrare nei musei - oltre che nelle rassegne di musica classica.E aggiungo, per non perdere di vista l'altro corno del problema, che Marilyn Monroe ha influenzato la civiltà occidentale del secondo Novecento molto più di Salvatore Quasimodo, che tra l'altro non ha mai avuto una storia con un presidente degli Stati Uniti.
Vedere le nostre icone giovanili nei musei è pure triste, lo ammetto: sancisce che anche noi siamo ormai arnesi da museo - ovvero vecchi tromboni. Ma è il destino di ogni generazione, e visto che ne abbiamo il diritto, prendiamocelo e facciamola finita una buona volta. Poi toglieremo pure noi il disturbo, e toccherà ai nostri figli, se gli garberà, il privilegio di affermare che Zerocalcare è il più grande narratore italiano del Ventunesimo secolo, senza che noi li stressiamo con Umberto Eco.
Prove pratiche di serendipity
Fatemi aggiungere un'ultima cialtronata.La cultura pop del secolo passato ci ha lasciato alcune importati eredità.
La prima è la forza rivoluzionaria dell'ironia. Rivoluzione purtroppo ancora incompiuta, per cui ci sarà qualche vecchio trombone contemporaneo che si indignerà leggendo questo post.
Un altro lascito prezioso è il concetto di serendipity, ovvero la fortuna di fare felici scoperte per puro caso. Ad esempio - tornando alla questione dei Beatles al Mao - se qualcuno di noi in vita sua ha aperto il "Mahabharata" lo deve ai Beatles, non ai vecchi tromboni dell'epoca sua.
Per cui spero vivamente che fra i tanti diversamente colti che entreranno a Palazzo Madama attirati unicamente dall'icona Marilyn ce ne sia almeno uno - uno solo, non chiedo di più - che, per curiosità, fortuna o divina ispirazione, volga poi i suoi passi verso le sale della collezione d'arte antica; e lì scopra la bellezza purissima e sconvolgente di Gandolfino da Roreto, Macrino d'Alba, Gaudenzio Ferrari, e ne sia segnato per sempre. Se ciò accadrà - anche a uno solo fra i tanti - beh, avrò un altro motivo per adorare Marilyn.
P.S. Tutto ciò non toglie che l'invito-flyer della "Fab Night" è di un kitsch senza pari.
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