Sebastian Schwarz conta le grane che deve affrontare |
Schwarzy con piglio garbatamente teutonico taglia corto sulla storia di una sua possibile fuga a Lione. La spiegazione è quella che già s'intuiva: sì, lui si è candidato alla direzione dell'Opèra de Lyon a maggio, quand'era ancora senza un teatro; e ha aderito pure al bando del Regio, com'è logico per chi cerca un lavoro. Poi, per una volta, Torino è stata più lesta dei cuginastri franciosi. Bravi noi, quindi. Chi non ha cervello abbia almeno gambe.
Schwarzy aveva ovviamente avvertito quelli di Lione, e la non notizia del suo possibile passaggio a quel teatro, lanciata da un sito specializzato francese, è soltanto il frutto di un'indiscrezione giornalistica superata dai fatti. Capita.
Semmai Schwarzy è cordialmente incazzato per il disagio e l'allarme che quell'indiscrezione infondata ha creato nei dipendenti del Regio. In effetti, qualcuno che s'è preso la briga e certo anche il gusto di diffonderla c'è stato: i giornalisti torinesi mica passano le loro giornate a leggere sceneweb.fr.
Ma i corvi, tutto sommato, non preoccupano il cibernetico sovrintendente. Quello che lo manda ai matti sono i criteri cervellotici ("da cambiare assolutamente", precisa l'illuso) adottati nel nostro paese per distribuire i contributi statali del Fus. Per il secondo anno consecutivo il Regio ne è uscito con le ossa rotte: dopo il taglio di 1,7 milioni nel 2018, adesso ci hanno tolto altri 924 mila euro. L'anno passato avevano punito la scarsa produttività: Graziosi ha aumentato gli spettacoli et voilà, stavolta hano giudicato troppo bassa la qualità artistica. Infatti stavolta il Regio ottiene dal Fus per i risultati del 2018 oltre 200 mila euro in più per la produttività, quasi 700 mila in più per la capacità di reperire risorse, ma perde 1,8 milioni appunto per la qualità artistica. Perdita complessiva, quindi, 900 mila euro, che abbassano la somma totale stanziata da Fus all'incirca da 12,1 milioni a 11,2. Per fortuna esistono anche altri fondi statali che il Regio è invece riuscito a incrementare di circa 700 mila euro, per cui la scoppola finale è più contenuta: duecentotrentamila euro in meno di finanziamento dallo Stato. Ma intanto non si hanno notizie degli 8,5 milioni promessi da Bonisoli per i non più rinviabili lavori di manutenzione straordinaria della macchina teatrale del Regio: il nuovo inquilino del MiBAC, il solito Franceschini, non dà segni di vita.
A Schwarzy, tra l'altro, già girano perché si becca le conseguenze del giudizio negativo del Fus su una stagione, il 2018, che non ha organizzato lui; e così sarà nel 2020, quando il Fus deciderà in base alle valutazioni su ciò che il Regio ha fatto nel 2019. Solo nel 2021 verrà preso in considerazione il lavoro di Schwarz nel 2020, il primo anno in cui potrà almeno impostare l'autunno; e toccherà arrivare al 2022 perché il Fus esamini l'anno 2021, che sarà tutto farina del sacco schwarziano. Ammesso che prima di allora Schwarz non si stracchi di tutti 'sti casini. Per esempio, vorrebbe capire come pretendono che un teatro migliori se da un anno all'altro lo castigano a botte di una milionata per volta: senza un orizzonte temporale ragionevole, non si possono programmare investimenti. All'estero i sostegni finanziari dello Stato ai teatri d'opera sono sempre su base triennale: e Schwarzy si domanda le ragioni di questa anomalia italiana. Willkommen in Italien, sovrintendente.
A 'sto punto mi corre l'obbligo di chiedergli chi glielo fa fare, e se non è pentito di aver detto no a Lione, dove guadagnerebbe di più e avrebbe meno frangimenti di coglioni. Lui dice che preferisce Torino, perché ama la città e ama le sfide.
Qualcuno spieghi a Schwarzy la differenza che c'è, in italiano, fra "sfida" e "sfiga".
Ad ogni modo: il sovrintendente approfitta della pur spiacevole circostanza per lanciare un nobile appello che qui volentieri pubblico:
«La notizia pubblicata da alcuni giornali francesi secondo la quale sarei atteso a Lione mi lusinga ma non corrisponde al vero. Ho scelto il Regio, un teatro con una storia importante, fulcro culturale di una città bellissima che mi ha accolto a braccia aperte. Un teatro fatto di persone piene di entusiasmo, di passione per il proprio lavoro con le quali voglio condividere la sfida di migliorare sempre più la qualità artistica. All’estero il Regio è considerato uno dei teatri di riferimento del panorama internazionale. Certo vorrei che la stessa considerazione la ottenesse anche in Italia.
Probabilmente in Francia avrei vita più semplice, i finanziamenti pubblici sono superiori e soprattutto vengono fatti stanziamenti pluriennali. In Italia il Mibact ha definito solo ai primi di ottobre la suddivisione del Fondo Unico per lo spettacolo per il 2019. Ogni anno, mi dicono, è una sorta di lotteria, chi sale e chi scende, un gioco crudele tra chi riesce a interpretare meglio gli algoritmi attraverso i quali vengono distribuiti i fondi. Avere un’assegnazione basata su un triennio non deve essere un lusso destinato solo alle due Fondazioni speciali: la Scala e Santa Cecilia, anzi, dovrebbe essere una regola valida per tutti. Altrimenti è una corsa nella quale alcuni partono svantaggiati, è come se avessimo un sacco pieno di pietre sulle spalle e ci venisse chiesto di fare una corsa a ostacoli.
Io adoro e ammiro l’Italia ma vorrei che ci fosse più lungimiranza, vorrei che la politica fosse un interlocutore che appoggia la cultura, non un’entità che premia o punisce. A questo proposito rivolgo un appello al Ministro Dario Franceschini affinché approvi e si faccia promotore di quello stanziamento di 8.500.000 euro promesso nel marzo di quest’anno dal ministro Alberto Bonisoli per rimettere in funzione il nostro palcoscenico. Questo investimento ci permetterebbe di tornare a essere un teatro tecnologicamente avanzato e non solo un bellissimo reperto degli anni ’70.
Da quando sono a Torino sono molte le persone che mi fermano per strada per raccontarmi del loro amore per il Regio, molti sono abbonati da anni, altri semplicemente pensano che il Regio sia un orgoglio cittadino, un sentimento che io considero in modo molto positivo. Noi faremo il possibile per rendervi sempre più orgogliosi del vostro teatro ma serve che tutti pensino che intervenire in favore del Regio sia un investimento: dagli imprenditori ai manager, dalle Amministrazioni pubbliche ai semplici cittadini. Avere un grande teatro d’opera in città non è un privilegio, è un’opportunità.
Io, su questa opportunità, ci scommetto. Spero siano in molti a seguirmi».
Se ho ben capito, Schwarzy spera che i torinesi si mettano una mano sul cuore e una sul portafogli, per sostenere il loro Teatro. Che meraviglioso sognatore, non trovate?
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