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RAGAZZI, CHE SCAZZI AL TEATRO RAGAZZI!

Alberto Vanelli
Pensavo che fosse Shakespeare, e invece era Pirandello. E se era Shakespeare, era "Molto rumore per nulla", non "Riccardo III".
Insomma, ieri arriva nelle redazioni il volantino sindacale dei lavoratori della Fondazione Casa Teatro Ragazzi e Giovani (per gli amici Trg, da non confondere con la Tgr della Rai) che denunciano "le insane e miopi politiche di regresso che stanno aggredendo i fondamenti di questa realtà culturale che è patrimonio della Città, della Regione e riconosciuta a livello europeo come circuito culturale di primaria importanza".
Ellalà, pensa uno. Qui sta capitando un pandemonio. Più che un comunicato sindacale, sembra la cronaca di una catastrofe: "Siamo venuti a conoscenza - c'è scritto - di operazioni che si delineano come una pericolosa sofisticazione delle finalità intrinseche della Fondazione stessa, alterandone la natura senza una visione coerente con le finalità sociali che la fondano, così come previsto nell'articolo 2 dello Statuto. Mentre siamo in attesa di comprendere meglio come sarà conciliata la lodevole iniziativa di un progetto di accoglienza di ragazzi in difficoltà, con il progetto di ristorazione commerciale sostenuto con cospicui investimenti definiti nei volumi, ma non ancora negli investitori, siamo allarmati per quello che sta accadendo".
Ecco, il punto sta lì, nella "attesa di comprendere meglio". 
Personalmente, per non attendere troppo, io ho preferito attrezzarmi subito per tentare di vederci chiaro.
Allora: da quel che ho capit, il dramma shakespeariano c'è tutto, nel senso dello scalfarismo - dal nome del fondatore di Repubblica che ancor oggi si duole perché il "suo" giornale, passato di mano, non è più "il suo giornale". Fatto normale (se vendo casa mia poi non posso dolermi se il nuovo proprietario la dipinge di violetto) ma sempre difficile da metabolizzare per chi l'ha messa al mondo, la creatura. 
Graziano Melano
La Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani nacque nel 2004 dalla confluenza di varie esperienze dell'epoca, con undici "padri fondatori" - perlopiù attori e registi - ciascuno dei quali versò mille euro per creare il fondo di dotazione. Dalla consistenza di tale fondo si evince perché dopo qualche anno la Fondazione fu costretta a riparare sotto le ali materne (ma anche padronali) degli enti pubblici (e relative casse). Così accanto ai padri fondatori, denominati in linguaggio notarile "fondatori promotori", arrivarono i "fondatori istituzionali", cioè Regione e Comune: in pratica, quelli che mettono i soldi. E di conseguenza fanno a modo loro. Triste, ma va così.
La convivenza bene o male ha retto finché i padri fondatori hanno mantenuto un ruolo apicale, con Graziano Melano direttore artistico apparentemente a vita. Apparentemente, perché alla lunga i "fondatori istituzionali" hanno deciso che era ora di cambiare, hanno modificato lo Statuto e nel 2018 hanno costretto Melano a lasciare. Ma certi addii possono essere molto, molto lunghi. Melano al Trg è ancora immanente, figuratevi che nel sito della Fondazione c'è una pagina in cui lui racconta la sua vita di teatrante; e in genere i sei "fondatori promotori" rimasti nella Fondazione non condividevano certe "innovazioni" apportate dal presidente Alberto Vanelli.
Scusate la prolissità (tanto ci siete abituati, no?) ma altrimenti non si spiega l'odierna tempesta - secondo me in un bicchier d'acqua.
Da una parte c'è un fatto: la decisione dei "fondatori promotori" di recedere dalla Fondazione rinunciando al loro rappresentante (nella persona di Laura Emanuelli) nell’Assemblea dei fondatori: perché, dicono, "il ciclo si è esaurito", e insomma non hanno più influenza nella Fondazione che va per la sua strada. E fin qui ci sta.
Poi c'è la "preoccupazione" dei sindacati, manifestata con il documento che denuncia la "pericolosa sofisticazione delle finalità". Tale "sofisticazione", leggendo il testo, sembra consistere principalmente nel progetto di aprire un ristorante, o una caffetteria, in una palazzina di pertinenza della Casa del Teatro di corso Galfer. Progetto che in effetti esiste, e da tempo, con la benedizione del Comune che ha pure messo a disposizione una qualche centomilata di euro. Se i sindacati erano all'oscuro, c'è stato senz'altro un grave errore nelle relazioni interne.
Ma il ristorante  rientra nel più ampio ambito del riutilizzo complessivo della palazzina in questione, che al primo piano diventerà una casa d'accoglienza per minori in difficoltà in attesa di una famiglia affidataria; mentre al pianterreno, oltre al ristorante, ci sono i locali dove troverebbe una degna collocazione il prezioso fondo archivistico di Gian Renzo Morteo, così da renderlo accessibile a studiosi e cittadini.
Ora, visti così non sembrano progetti luciferini: mi pare complicato sostenere che l'assistenza ai minori in difficoltà e la conservazione e lo studio dell'archivio di un grande del teatro torinese e italiano esulino dalle finalità di una Fondazione chiamata Casa del Teatro Ragazzi e Giovani. E anche dotarsi di un servizio di ristorazione, da dare in gestione e dal quale trarre un onesto guadagno, è ormai una pratica diffusa nei teatri e nei musei del mondo intero.
Fin qua lo Shakespeare di "Molto rumore per nulla". Ma adesso arriva Pirandello. Quanto ho riportato sopra è ciò il presidente Vanelli ha spiegato oggi ai sindacalisti imbufaliti. I quali sindacalisti, tuttavia, in precedenza avevano parlato con alcuni dei "fondatori promotori" in uscita dalla Fondazione, ricevendone una versione dei fatti ben più apocalittica. Stasera gli stessi sindacalisti incontreranno gli assessori (o chi per esse) di Regione e Comune, e scommetto che sentiranno un'altra storia ancora.
Totalone. Se posso dire la mia, ho l'impressione che, agli occhi di qualche padre fondatore, "le insane e miopi politiche di regresso" non s'annidino tanto nei ristoranti, negli archivi e nell'assistenza ai minori, quanto nelle scelte artistiche e alla direzione che Vanelli e il direttore Bronzino vogliono imprimere al Trg, con un allargamento sia delle espressioni artistiche, sia del pubblico di riferimento, così da raggiungere una platea di giovani più ampia, fino agli universitari. Insomma, il problema sarebbe che questi "fanno diverso da come si faceva prima".
Se così stanno le cose, siamo alle prese con il classico "effetto Barbapapà", giustappunto come Scalfari che già mugugnava quando Repubblica la dirigeva Ezio Mauro e continua a mugugnare adesso che la dirige Molinari. Nessun predecessore considera il suo successore degno della sua preziosa eredità.

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