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"DIVA E DONNA" O "CAHIERS DU CINÉMA"? IL FESTIVAL AL BIVIO (RELOADED)

Prima di scrivere dell'ormai incombente Tff diretto da Giulio Base ho atteso che si esaurissero i gridolini di gioia & stupore per l'innegabile vagonata di stelle nazionali e internazionali arruolate dal neodirettore, tali da esaudire l'annosa aspettativa di coloro che da tempo immemorabile auspicano un Festival più "da red carpet", più "glamour", più "attrattivo per la gggente". Presumo che stavolta i cacciatori di selfies saranno soddisfatti. I cinefili non so: finora i media hanno parlato assai delle star del quarantaduesimo Torino Film Festival, poco della qualità dei film che vedremo. Giulio Base confida che saranno buoni film. Lo spera il pubblico, che già nel primo weekend di prevendite ha fatto segnare un +58,9% di biglietti acquistati rispetto all’equivalente periodo dell’anno passato. E lo spera chiunque abbia a cuore la natura stessa, il Dna, del nostro Festival, che il padre Gianni Rondolino non immaginò certo come un'occasione per vanità da red carpet. Così l'altro giorno ho buttato giù qualche riflessione su cosa ci aspetta, e cosa ci aspettiamo dal Tff 2024: più "Diva e Donna" o più "Cahiers du Cinéma"? L'articolo è uscito ieri, lunedì 11, sul Corriere, e poiché non è reperibile on line oggi lo ripubblico qui sul blog:

Qualche giorno fa, a Roma, durante la presentazione alla stampa del prossimo Torino Film Festival è partito un caloroso applauso all'annuncio che quest'anno i film in programma saranno drasticamente ridotti dai soliti duecento circa a 120. La spontanea ovazione ha rafforzato nel neodirettore Giulio Base la convinzione di aver imboccato la giusta via verso un Tff più snello dove – per citare l'azzeccata definizione di una collega giornalista – sulla «polvere cinefila» prevalga la «polvere di stelle». Stelle cinematografiche generosamente sparse sui red carpet per la gioia dei cercatori di selfies, dei distributori di Stelle della Mole a pioggia, e dei media meglio se on line: questi ultimi - potendosi sbizzarrire fra Sharonstone e Ronhoward e Giancarligiannini e Ornellemuti e Emmanuellebéart e Claudiegerini e altri nomi acchiappaclic – garantiranno al Tff 2024 una copertura mediatica mai vista in passato. Proprio ciò che invocano da tempo i barbapapà della politica locale, i quali aspirano a una «maggiore visibilità per Torino» e, incidentalmente, pure per se stessi, non più paghi di farsi fotografare al fianco di qualche ignoto regista birmano.

L'astuto Base ha trovato la formuletta geniale per esaudire quelle aspettative senza sforare il budget, fermo a 2,2 milioni: meno film significano meno sale, quindi meno costi per affittarle e gestirle, e i conseguenti risparmi vanno a pagare la truppa di star in arrivo a Torino con logico codazzo di assistenti e reggicoda. Se poi - in virtù dell'amicizia personale con Base e con sua moglie Tiziana Rocca e del fascino del Festival e dell'eccellenza del progetto eccetera eccetera - le star in questione si accontentano del rimborso spese – seppur spese da star, mica scendono alla pensione Mariuccia – e non pretendono un cachet per il disturbo, siamo alla perfezione: il Tff non diventerà Venezia, né Cannes, e neppure Berlino o Locarno, ma insomma, i suoi begli spazi sui giornali e in tivù se li conquisterà, senza troppo scialare. Il rischio, diciamo, è ritrovarsi con una versione da poveri della Festa del Cinema di Roma, indiscussa baracconata che però di milioni ne può spendere otto anziché 2,2, quindi una baracconata molto più ricca.

La differenza fra la baracconata e un festival di qualità com'era e come vogliamo continui a essere il Tff la faranno ovviamente i film: dunque auguriamoci che i giovani (troppo giovani?) selezionatori abbiano azzeccato le loro scelte, anche perché un  brutto film fra centoventi salta di più all'occhio che fra duecento. Il direttore Base sembra fiducioso, ma figuratevi se l'oste dice che il suo vino non è buono. Qualche critico supercilioso ha già definito il programma «fané», qualsiasi cosa ciò significhi: ma si sa, certi critici sono incontentabili. Io non sono un critico, e neppure un modesto esperto di cinema, per cui mi guardo bene dall'azzardare giudizi a muzzo. Ma sono perplesso se ripenso all'ovazione romana di cui all'inizio dell'articolo. Certo, non se ne può più dei festival elefantiaci dove è umanamente impossibile vedere una ragionevole percentuale dei film in cartellone, neanche rinunciando a mangiare e dormire e andare al bagno. Ma una platea di giornalisti e critici cinematografici che esplode in un frenetico applauso all'annuncio che in un festival cinematografico ci saranno molti meno film, beh, non vi ricorda la scena di Fantozzi e la Corazzata Potemkin?

Già adesso, dopo la conferenza stampa a Roma, le gazzette molto hanno scritto sulle illustri star che verranno al Tff, sulla scintillante inaugurazione al Regio con «black tie optional» (black tie prima delle 18? Mah...), sulla celebre moglie dell'attore celebre; pochissimo sui film che vedremo. Più «Diva e Donna» che «Cahiers du Cinéma», insomma: quasi che al Tff i film fossero soltanto quella roba inutile che sta attorno allo star system.

La vera sfida che attende Giulio Base, a questo punto, è di saper imprimere un colpo di timone al suo Festival, che per ora pencola sul versante del gossip (quanti articoli dedicheranno i giornali a dove ha cenato passeggiato dormito cazzeggiato Sharon Stone quel certo giorno a Torino, e quanti ai film proiettati quello stesso giorno al Tff?), per riportarlo alla centralità del cinema, dello spettatore, della sala, che Base stesso garantisce di voler esaltare.

Buona fortuna, ne avrà bisogno.

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