Uscito sul Corriere e non disponibile on line.
È andata come era previsto, e logico: Giuseppe Culicchia è il nuovo direttore del Circolo dei Lettori. Nomina scontata, se solo si considera il curriculum: scrittore affermato in Italia e pubblicato anche all'estero; solidi legami sia con la scena culturale cittadina, sia con l'editoria nazionale; esperienza nel mondo dei giornali; una lunga collaborazione con il Salone del Libro; apprezzato anche al Circolo, dove dirige un festival letterario, «Radici», di ottima qualità. Insomma, il perfetto kit del candidato naturale alla successione di Elena Loewenthal, anche a prescindere dall'endorsement – alquanto sfacciato – del fratello d'Italia Maurizio Marrone; endorsement che a Culicchia ha fatto più male che bene, facendone involontario oggetto di scontri di potere e appiccicandogli addosso un'etichetta «politica» che dubito gli appartenga e comunque non s'è avvertita nelle sue scelte alla direzione di «Radici», onestamente bipartisan.
Augurandomi di non essere smentito dai fatti, sono quindi propenso a escludere un avvenire in camicia nera per il Circolo dei Lettori. Prevedo invece qualche frisson nell'establishment politico-culturale torinese, dove Culicchia non è amatissimo per via di antiche ruggini – qualcuno ancora non gli ha perdonato l'impietoso pamphlet «Brucia la città» - e di un carattere schivo e non accondiscendente, da torinese troppo serio per essere simpatico a tutti. Sono, questi, handicap che a Torino contano, e forse hanno pesato negativamente sulle deluse ambizioni di Culicchia alla direzione del Salone del Libro. Ciò non significa che la nomina al Circolo dei Lettori sia una specie di premio di consolazione; piuttosto, la valorizzazione di una risorsa al momento giusto e al posto giusto. In via Bogino non serviva un flaneur da salotto, ma un intellettuale concreto, che conosca bene l'ambiente, con idee chiare e voglia di fare più che di apparire.
A questo punto, tuttavia, la domanda sorge spontanea: poiché Culicchia era un nome credibile e spendibile fin da subito, a che pro mettere in piedi l'intero ambaradan del bando, o «avviso di selezione» che dir si voglia? Non lo imponeva lo Statuto del Circolo, che demanda la nomina del direttore al Comitato di gestione, senza altre indicazioni. Il bando – obietterà qualcuno – amplia la partecipazione, sollecita l'innovazione e i contributi originali. Beh, non è che a 'sto giro tra i candidati pullulasse il nuovo che avanza. E meno male che c'era l'usato sicuro, altrimenti chissà come andavamo a finire. Diciamocelo: mi pare stravagante immaginare stuoli di intello-star pronti a sottoporsi a una selezione tipo «X Factor» per la gloria di dirigere il Circolo dei Lettori di Torino. A certi livelli, semmai, ci si aspetta la chiamata per chiara fama.
Ma soprattutto: se il bando si doveva fare, era proprio indispensabile inserirci il «requisito» della laurea - che poi requisito non era, come s'è visto alla prova dei fatti – per un ruolo che presuppone esperienze e competenze speciali a prescindere da qualunque «pezzo di carta»? Combinazione, Culicchia la laurea non ce l'ha, per cui un malizioso sospetterebbe una (peraltro vana) mossa «ad escludendum», per far dispetto a Marrone bloccandogli il candidato. Purtroppo il ragionamento è troppo raffinatamente machiavellico: qui siamo alla banalità della burocrazia, scommetto che la solfa della laurea ce l'hanno messa perché «si fa sempre così». Per un'assunzione al catasto, non dico di no. Per il Circolo, i requisiti veri sono altri.
Sicché l'unico risultato notevole di un bando sciatto quanto superfluo – l'unico risultato, intendo, non conseguibile con una banale chiamata diretta – sarà aprire la via all'inevitabile ricorso del trombato di turno, con conseguente ampio volo di stracci e perdite di tempo e denaro fra tribunali e pubbliche querimonie.
Augurandomi di non essere smentito dai fatti, sono quindi propenso a escludere un avvenire in camicia nera per il Circolo dei Lettori. Prevedo invece qualche frisson nell'establishment politico-culturale torinese, dove Culicchia non è amatissimo per via di antiche ruggini – qualcuno ancora non gli ha perdonato l'impietoso pamphlet «Brucia la città» - e di un carattere schivo e non accondiscendente, da torinese troppo serio per essere simpatico a tutti. Sono, questi, handicap che a Torino contano, e forse hanno pesato negativamente sulle deluse ambizioni di Culicchia alla direzione del Salone del Libro. Ciò non significa che la nomina al Circolo dei Lettori sia una specie di premio di consolazione; piuttosto, la valorizzazione di una risorsa al momento giusto e al posto giusto. In via Bogino non serviva un flaneur da salotto, ma un intellettuale concreto, che conosca bene l'ambiente, con idee chiare e voglia di fare più che di apparire.
A questo punto, tuttavia, la domanda sorge spontanea: poiché Culicchia era un nome credibile e spendibile fin da subito, a che pro mettere in piedi l'intero ambaradan del bando, o «avviso di selezione» che dir si voglia? Non lo imponeva lo Statuto del Circolo, che demanda la nomina del direttore al Comitato di gestione, senza altre indicazioni. Il bando – obietterà qualcuno – amplia la partecipazione, sollecita l'innovazione e i contributi originali. Beh, non è che a 'sto giro tra i candidati pullulasse il nuovo che avanza. E meno male che c'era l'usato sicuro, altrimenti chissà come andavamo a finire. Diciamocelo: mi pare stravagante immaginare stuoli di intello-star pronti a sottoporsi a una selezione tipo «X Factor» per la gloria di dirigere il Circolo dei Lettori di Torino. A certi livelli, semmai, ci si aspetta la chiamata per chiara fama.
Ma soprattutto: se il bando si doveva fare, era proprio indispensabile inserirci il «requisito» della laurea - che poi requisito non era, come s'è visto alla prova dei fatti – per un ruolo che presuppone esperienze e competenze speciali a prescindere da qualunque «pezzo di carta»? Combinazione, Culicchia la laurea non ce l'ha, per cui un malizioso sospetterebbe una (peraltro vana) mossa «ad escludendum», per far dispetto a Marrone bloccandogli il candidato. Purtroppo il ragionamento è troppo raffinatamente machiavellico: qui siamo alla banalità della burocrazia, scommetto che la solfa della laurea ce l'hanno messa perché «si fa sempre così». Per un'assunzione al catasto, non dico di no. Per il Circolo, i requisiti veri sono altri.
Sicché l'unico risultato notevole di un bando sciatto quanto superfluo – l'unico risultato, intendo, non conseguibile con una banale chiamata diretta – sarà aprire la via all'inevitabile ricorso del trombato di turno, con conseguente ampio volo di stracci e perdite di tempo e denaro fra tribunali e pubbliche querimonie.
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