In un paese normale, in un tempo normale, non sarebbe neppure necessario scriverlo: ma, non vivendo in un paese normale né in un tempo normale, ho ritenuto utile far notare per tempo che al Polo del 900 si è concluso il mandato triennale del presidente Alberto Sinigaglia; che toccherà alla Regione indicare il successore; e che non si tratta di assegnare una normale poltrona di sottogoverno a un qualche famiglio di provata fiducia.
Il Polo del 900 è la casa del Museo della Resistenza e di ben 26 istituzioni che tramandano e coltivano la grande eredità storica e di pensiero della Torino del secolo scorso, da Piero Gobetti a Primo Levi, da Antonio Gramsci a Carlo Donat Cattin, da Pier Giorgio Frassati a Franco Antonicelli, Nuto Revelli, Giovanni Goria. Non un covo di sovversivi e stalinisti, ma il punto d'incontro di idee politiche, filosofiche e sociali anche molto diverse, ma accomunate da radici condivise e dal rigetto dell'ideologia fascista. Com'è d'altronde naturale nella città culla dell'azionismo e medaglia d'oro della Resistenza.
Sembra ovvio che, per tali ragioni, stonerebbe alla presidenza del Polo un presidente di quelli che "però ha fatto anche cose buone", magari con sulla scrivania il busto del Capoccione. Così come d'altronde stonerebbe un nostalgico di Baffone, semmai ne fosse rimasto qualcuno in circolazione. Il Polo è oggi un'alchimia preziosa e fragile, che necessita di una presidenza felpata e attenta alle aspettative di tutte le componenti.
Ok, sono concetti talmente logici da apparire banali. E lo sarebbero, non fosse che ultimamente qui a Torino se ne sono viste di ogni, al punto che per Cirio & Co oggi come oggi l'impresa eccezionale sarebbe scegliere per il Polo un presidente normale. Per questo - a scopo preventivo e perché poi non tirino fuori il solito "ma bastava dirlo prima!" - ho scritto l'articolo uscito stamattina sul Corriere e che potete leggere anche a questo link.
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