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SOLDI E CULTURA: LE LETTERE DI VALFRE' E ALFIERI

A proposito del mio articolo su TorinoSette di oggi dedicato alla vicenda di Maison Musique e più in generale alle questioni della gestione economica della cultura, ho ricevuto due lunghe mail con i commenti e le osservazioni di Davide Valfré (uno dei responsabili di Maison Musique e Folk Club) e di Fiorenzo Alfieri (ex assessore alla Cultura e presidente dell'Accademia Albertina). Sono entrambe molto interessanti, e le pubblico. Prima quella di Valfré, e a seguire quella di Alfieri

 

Valfré: non siamo parassiti

Davide Valfré
Caro Gabriele, ho letto il tuo fondo di stamattina su TorinoSette, se sono sostanzialmente d’accordo con te sul discorso generale, qualche precisazione sulla situazione specifica di Maison Musique la vorrei fare. Scrivi “nessun realistico piano economico” e mi pare ingeneroso. Un piano economico realistico si basa, appunto, sui dati della realtà, e la realtà del 2004 era una convenzione triennale con la Regione Piemonte, poi rinnovata per il triennio 2006-2008, e non più rinnovata nel 2009, quando l’Assessorato alla Cultura abolì tutte le convenzioni. E’ evidente quindi che il piano economico di allora si fondava, anche, sulla presenza di un certo contributo economico da parte della Regione. Inoltre gli investimenti iniziali non furono solo di Regione Piemonte e Comune di Rivoli, ma anche nostri: la straordinaria collezione di strumenti musicali da tutto il mondo di Franco Lucà (che costituisce il Musicarium e il museo degli strumenti), l’archivio del CREL (su cui tornerò più sotto), le nostre attrezzature, il nostro impegno, la nostra passione: tutto ciò ha riempito il guscio vuoto che era l’ex mattatoio di Rivoli prima del nostro arrivo. Una “corsa” che abbiamo intrapreso in tre, noi, la Regione e il Comune, di comune intesa e tenendoci per mano e che oggi abbiamo, per certi versi, l’impressione di essere rimasti da soli a fare, mentre gli altri due podisti si sono seduti a riposare all’ombra di un castagno. Conoscevi Franco Lucà quanto me e sai bene che aveva la vista lunga e acuta, ricordo bene che già allora, ai tempi dell’inaugurazione di Maison Musique nel 2004, la sua prospettiva era l’autosostenibilità di Maison Musique, l’idea cioè che le attività commerciali ospitate nell’area potessero sostenere economicamente quelle culturali. La storia e i fatti ci hanno mostrato come quell’idea fosse certamente profetica, vista la crisi che è poi sopravvenuta con conseguente taglio dei contributi pubblici per la cultura; ma anche utopica, dato che i conti di dieci anni di gestione di Maison Musique ci dicono chiaramente che mantenendone l’attuale impostazione rigorosamente culturale quell’obbiettivo non è realisticamente raggiungibile. E qui occorre entrare un po’ più nel dettaglio per spiegare perché quell’obbiettivo non è raggiungibile. I discorsi in generale sui soggetti culturali vanno benissimo per auspicare un certo ruolo per il nuovo Assessore e l’impostazione generale della sua politica culturale, e come ti ho scritto all’inizio sono sostanzialmente d’accordo sulla tua visione. Ma poi ogni soggetto culturale ha le sue specifiche caratteristiche e per capire le difficoltà di Maison Musique ad autosostenersi bisogna aver presente almeno due punti fondamentali: gli archivi e la struttura. Come sai Maison Musique ospita gli archivi del Centro Regionale Etnografico Linguistico, nato da una costola del FolkClub per volere di Franco Lucà, Michele Straniero ed Emilio Jona. E’ un tesoro di inestimabile valore: tutti gli archivi dei Cantacronache (manoscritti originali, appunti, registrazioni originali, fotografie, manifesti), migliaia di ore di registrazioni etnomusicologi che realizzate sul campo da alcuni tra i più importanti studiosi italiani (Jona, Liberovici, Straniero, Sancin, Castelli), le registrazioni originali dei canti antifranchisti che Jona e Liberovici fecero da clandestini in Spagna negli anni 50 e che fruttarono a loro e a Giulio Einaudi che li pubblicò una condanna penale; 15.000 LP (tra cui il vecchio archivio storico di Radio Flash che Franco Lucà rilevò ai tempi del fallimento); migliaia di ore di concerti in video e audio dei concerti del FolkClub, di Maison Musique e dei festival da noi organizzati in questi ultimi 30 anni. Questo immenso patrimonio culturale necessita di una cura continua, i materiali vanno digitalizzati, catalogati, archiviati, possibilmente messi in rete (quest’ultima parte è quella che ahimé ci manca), ci sono nuove acquisizioni che devono seguire lo stesso iter; e poi vengono gli studiosi (numerosi volumi in questi anni sono stati realizzati partendo dai nostri archivi), i tesisti, i semplici appassionati a consultare gli archivi, vanno seguiti, indirizzati, aiutati. Tutto questo, come puoi immaginare, ha un costo considerevole e non ha nessuna possibilità di “pagarsi” senza interventi “disinteressati” (leggasi contributi di enti pubblici o fondazioni). Un minimo introito lo porta la pubblicazione di libri; alcuni progetti con l’università hanno rappresentato una piccola voce di entrata in questi anni, ma infima, rispetto ai costi che tutto ciò comporta per essere mantenuto. Un conto sono i concerti, e qui affermiamo con orgoglio che negli ultimi 5 anni, dall’arrivo della crisi in poi, gli introiti di biglietteria hanno sempre di gran lunga superato i costi di cachet e ospitalità degli artisti; un conto sono gli archivi. C’è poi il discorso sulla struttura. In un’ottica puramente imprenditoriale l’ex macello di Rivoli è una struttura totalmente inadatta a farci ciò che ci facciamo. Inadatta perché troppo costosa: è un edificio liberty di pregio che deve essere mantenuto in uno stato di decoro (costi di manutenzione); ha soffitti altissimi e una enorme dispersione termica dovuta anche all’insostituibilità degli infissi storici tutelati (ingenti costi di riscaldamento); ha un’ampia area esterna che non può certamente essere lasciata al buio durante gli spettacoli all’interno dell’auditorium (enormi costi di energia elettrica); è in posizione decentrata sia rispetto a Torino, che rispetto alla stessa Rivoli, e questo rende faticosissime le attività di bar e ristorante, specialmente nella stagione fredda. Se quindi ragionassimo in un’ottica puramente imprenditoriale, concluderemmo che è semplicemente sbagliato che Maison Musique sia all’ex macello di Rivoli. Ma c’è un altro punto di vista oltre a quello puramente imprenditoriale. L’ex macello è un tesoro della Città di Rivoli, dieci anni fa l’amministrazione comunale ha deciso di farlo diventare un centro culturale anche per preservarlo, per mantenerlo vivo, per metterlo a disposizione del pubblico. Allora qui, in totale serenità, bisogna farsi la domanda fondamentale: ci interessa che l’ex macello rimanga un centro culturale vitale? Se la risposta è sì bisogna considerare che è una risposta che comporta dei costi per la collettività, perché il mulo che è stato legato alla macina e gira intorno da 4 anni, dopo aver mostrato segni di stanchezza, ora rischia di stramazzare al suolo. Per concludere, Gabriele, non ci piace passare per parassiti inani, attaccati alla mammella dell’ente pubblico, come un lettore superficiale avrebbe potuto fraintendere dalla lettura del tuo fondo, perché non lo siamo mai stati. Quando il contributo regionale era al suo massimo, rappresentava circa un terzo del budget complessivo di Maison Musique; ora che è ai suoi minimi ne rappresenta circa un quinto. E se alcune attività culturali come i concerti hanno la concreta possibilità di “pagarsi da sé” con una gestione attenta e oculata;altre, come gli archivi, sono semplicemente impensabili senza un aiuto esterno (e potrò sbagliarmi, ma sinceramente l’azienda privata interessata a sponsorizzare gli archivi dei Cantacronache non me la riesco a immaginare). Mentre sullo sfondo rimane sempre, incombente, l’ombra dei costi di gestione di una struttura che è un tesoro architettonico storico, non un capannone di lamiera. Le prese di posizione, recentissime, dell’Assessore Parigi non possono che farci piacere e molto presto la incontreremo e con lei il Sindaco di Rivoli. La ricerca di partner commerciali non ci spaventa (abbiamo addirittura la presunzione di riuscire a spiegare a un eventuale sponsor che fare i Massive Attack sia meglio che fare Max Pezzali, anche da un punto di vista commerciale e di immagine). Peraltro è un cammino che stiamo percorrendo da tempo e qualcosa all’orizzonte c’è, anche se come tutte le cose richiede tempo e pazienza
Davide Valfré

Alfieri: questione di standard

Fiorenzo Alfieri
Caro Gabriele, nel tuo pezzo che ho appena letto su TorinoSette, manca una componente del ragionamento sulla quale ho più volte insistito quando è arrivata la grande crisi, e che è anche contenuta nella parte conclusiva del mio libro sulla "città che non c'era". Si tratta degli standard, dei requisiti minimi che un'area urbana come quella di Torino e una regione come il Piemonte dovrebbero garantire. E' molto facile definire questi parametri perché basta attingere agli studi comparativi che sono stati fatti a livello europeo. Prima di parlare di razionalizzare, di chiudere, di passare dagli assessori grandi elemosinieri agli assessori grandi timonieri, bisogna sapere di che cosa parliamo. Date le popolazioni in questione, il pil che le caratterizza, il livello di istruzione dei cittadini ecc. quanti teatri, quanti luoghi per la musica, quante biblioteche, quanti musei ci dovrebbero essere? Se non si parte da lì l'unico parametro che resta è la valutazione degli assessori al bilancio e/o degli sponsor su quanto concedere (sic!) alla cultura. Non è assolutamente detto, ovviamente, che i parametri possano corrispondere a ciò che si può fare in concreto; ma sono fondamentali per sapere a che cosa si deve tendere se si vuole una città e una regione almeno minimamente confrontabili con analoghe realtà di quella famosa Europa della quale ci riempiamo la bocca senza avere la minima idea di che cosa vogliano dire per certi paesi europei il welfare e le politiche culturali. Si potrebbe cominciare, per farsi un'idea, informandosi per esempio su quanti teatri lirico-sinfonici ci sono in un paese come la Germania; ma questo è solo un esempio tra i mille possibili. Per non parlare delle grandi biblioteche; se uno conoscesse anche solo per grandi linee che cosa si è fatto in Europa per mettere a disposizione degli abitanti delle cosiddette città della conoscenza biblioteche multimediali che per 14 ore al giorno sono prese d'assalto da migliaia di giovani e di cittadini di ogni tipo, forse avrebbe qualche remora a considerare una megalomania assessorile la biblioteca Bellini (merito peraltro di Perone, non mio); sarebbe aiutato, se non altro, a considerare la scelta di non realizzarla come una sconfitta, non come una conquista. Guai se gli assessori alla cultura, prima di agire, non sanno di che cosa parlano. La conoscenza dei dati, dei parametri, della base scientifica dalla quale partire per orientarsi nelle materie di cui si occupano, mi parrebbe una cosa da ricordare sempre quando si fanno discorsi sugli sprechi del passato e sulle auspicabili managerialità del fututo. Invece questa parte della tematica viene sempre saltata a piè pari in Italia e quindi hanno tutti ragione: sia gli spreconi sia i soi-disant manager.
Fiorenzo Alfieri

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