Ma oggi è cominciato il Salone, e m'ero preso con il Corriere l'impegno d'onore di occuparmene. Sicché sono andato al Lingotto. Ed è successo qualcosa di stravagante: l'estasi del grottesco ha sovrastato in me il disgusto che suscitano in qualsiasi gentiluomo i miserandi spettacoli da poveracci che si replicano sempre più stancamente sulle assi dell'avanspettacolo cittadino.
Quindi sono partito a scrivere compulsivamente: e la produzione è andata ben oltre la civile richiesta del Corriere di un articolo giornaliero. A fine giornata al Corriere ho dato un pezzo che racconta un'ennesima visione del Chiampa sul Salone del futuro, praticamente un sequel di quello uscito sul Corriere di ieri; parla della possibile fusione fra Circolo dei Lettori e Fondazione Cultura, e lo potete leggere a questo link. Altri due articoli mi sono rimasti nel pc: e poiché detesto lo spreco, specie se si tratta di cose mie, ho deciso di pubblicarli qui sul blog. Tanto per riavviare il motore. Eccoli.
No, signora mia. Non è un bel Salone. Non può essere bello un Salone costruito sul peccato che grida vendetta al cospetto di Dio: non pagare la giusta mercede agli operai.
Dodici dipendenti dell'ex Fondazione per il Libro sono senza stipendio da settanta giorni. E ci sono i fornitori non pagati, aziende che rischiano il fallimento e tremano per il futuro.
Ieri ho saputo che almeno per i dipendenti la soluzione sarebbe vicina. "Li pagheremo già lunedì, a fine Salone", mi è stato assicurato da chi può assicurarmelo. E Bray ha garantito che entro lunedì anche i fornitori otterranno quantomeno risposte, se non danari. Io prendo nota, e aspetto. Prima vedere moneta, poi cantare vittoria.
Certo, nessuno ha voluto questa situazione. E' una conseguenza della liquidazione; a sua volta conseguenza di tanti errori, remoti e recenti, commessi da tanti, in buona o cattiva fede.
Ma intanto lorsignori sfilano a passo di marcia, e promettono, e distribuiscono complimenti, perché i complimenti non costano niente, ma neanche valgono niente e non puoi andare dal macellaio e dirgli vede quanti complimenti mi fanno il signor presidente della Camera e la signora presidentessa del Senato e la signora sindaco e il signor governatore e i signori ministri e la signora maestra e gli assessori e i direttori e gli ispettori; e adesso me le incarta due fettine di sanato, che gliele pago con i complimenti?
Quindi sono partito a scrivere compulsivamente: e la produzione è andata ben oltre la civile richiesta del Corriere di un articolo giornaliero. A fine giornata al Corriere ho dato un pezzo che racconta un'ennesima visione del Chiampa sul Salone del futuro, praticamente un sequel di quello uscito sul Corriere di ieri; parla della possibile fusione fra Circolo dei Lettori e Fondazione Cultura, e lo potete leggere a questo link. Altri due articoli mi sono rimasti nel pc: e poiché detesto lo spreco, specie se si tratta di cose mie, ho deciso di pubblicarli qui sul blog. Tanto per riavviare il motore. Eccoli.
1) Il Salone del Puffo
Ho assistito alla snervante pantomima dell'inaugurazione; discorsi e discorsetti; baci e abbracci; e visita a passo di marcia tipo il professor Tersilli e il codazzo dei suoi assistenti della clinica Villa Serena. I pomposi palloni in testa e dietro assistenti al soglio, guardaspalle, consigliori, reggicoda, portaborse, coboldi e altri domestici. E tutti a congratularsi, a ripetersi l'un l'altro ma quanto siamo bravi, ma che bel Salone signora mia, e sapesse quanti strapazzi, non le dico...No, signora mia. Non è un bel Salone. Non può essere bello un Salone costruito sul peccato che grida vendetta al cospetto di Dio: non pagare la giusta mercede agli operai.
Dodici dipendenti dell'ex Fondazione per il Libro sono senza stipendio da settanta giorni. E ci sono i fornitori non pagati, aziende che rischiano il fallimento e tremano per il futuro.
Ieri ho saputo che almeno per i dipendenti la soluzione sarebbe vicina. "Li pagheremo già lunedì, a fine Salone", mi è stato assicurato da chi può assicurarmelo. E Bray ha garantito che entro lunedì anche i fornitori otterranno quantomeno risposte, se non danari. Io prendo nota, e aspetto. Prima vedere moneta, poi cantare vittoria.
Certo, nessuno ha voluto questa situazione. E' una conseguenza della liquidazione; a sua volta conseguenza di tanti errori, remoti e recenti, commessi da tanti, in buona o cattiva fede.
Ma intanto lorsignori sfilano a passo di marcia, e promettono, e distribuiscono complimenti, perché i complimenti non costano niente, ma neanche valgono niente e non puoi andare dal macellaio e dirgli vede quanti complimenti mi fanno il signor presidente della Camera e la signora presidentessa del Senato e la signora sindaco e il signor governatore e i signori ministri e la signora maestra e gli assessori e i direttori e gli ispettori; e adesso me le incarta due fettine di sanato, che gliele pago con i complimenti?
"E questo è un li-bro...". Una componente dello staff illustra alle istituzioni le meraviglie del Salone. Alle sue spalle l'attentissima Francesca Leon segue le spiegazioni con evidente ammirazione |
Capisco che ci sono le leggi e i regolamenti da rispettare, e le pastoie legali e la burocrazia: ma dov'erano, le vostre leggi e i vostri regolamenti - e pure le vostre precarie dignità - quando si trattava di beneficiare il sodale di turno con ricche prebende a fronte di incerti servigi?
L'aspetto curioso dell'intera vicenda, per altri versi tristemente banale nell'Italia del lungo scontento, è che i dipendenti non pagati continuano a lavorare. E tanti fornitori non pagati continuano a fornire. E aspettano i danari con pazienza degna di miglior causa. Dicono che lo fanno per amore del Salone. Se così è, fanno malissimo: gli amori non ricambiati ammazzano, bisogna fuggirli altrimenti nel migliore dei casi passi per cretino, nel peggiore ci perdi l'anima e la salute.
E scusate quindi se non condivido appieno la letizia del Salone più bello che mai.
No, cari i miei. Quello che avete inaugurato facendovi tanti complimenti e tante moine sarà bello e grande e piacerà al mondo intero, ma non chiamatelo Salone del Libro. E' il Salone del Puffo.
2) Un discorso da ministro
Massimo Bray nel suo discorso inaugurale (che potete scaricare dal sito del Salone) s'impegna a tutelare le aspettative dei dipendenti e dei fornitori del Salone, "anche se non ho titolo ufficiale". Frase sibillina: un titolo ufficiale, seppur largamente ornamentale, ce l'ha, il Massimo Bray presidente della "cabina di regia" che nessuno ha ben capito a che serva, se non a tutelare l'ego sospettoso dei politici e dei cacicchi che si sorvegliano l'un l'altro mentre pastrocchiano sul Salone.Forse però Bray alludaìe al fatto che, finito questo Salone, la struttura cambierà, scomparirà la cabina di regia, e anche lui dovrebbe uscire di scena.
Sia come sia, quello è l'unico passaggio oscuro del discorso di Massimo Bray in apertura del Salone. Un discorso da ministro.
Lui, l'ex ministro della Cultura del governo Letta, li sa scrivere, i discorsi da ministro. Cita Moro e Berlinguer, auspica e delinea, si rivolge agli insegnanti e agli studenti, agli artisti e ai librai, ai politici e ai cittadini, indica obiettivi per il riscatto dell'arte trascurata e delle periferie degradate, per tutti ha una buona parola e un segno di speranza, racconta un paese ideale che non c'è e mai c'è stato, però è possibile, perbacco, ci mancherebbe, ci arriveremo senz'altro con il prossimo governo, quale che sia. E sciorina le frasi che emozionano il popolo - "La via di uscita dalla crisi della comunità europea non è chiudersi nei propri interessi". "La cultura sarà al centro del mondo che stiamo costruendo". "Il mondo appartiene a chi ha il coraggio di prendersene cura".
C'è visione, in questo parlare da ministro. Difatti in tanti pensano che Bray ci provi, a questo giro. I suoi rapporti con i cinquestelle sono ottimi, è pure andato alla convention di Ivrea, e nessuno, ormai, fa caso ad antiche vicinanze piddine. Quando gli faccio notare che il suo è stato un discorso da ministro, più che da presidente di una strampalata cabina di regia, lui mi risponde con una smorfia strana. Come per reprimere un sorriso. O magari anche no. Nessuno che voglia diventare ministro ammette di voler diventare ministro. Ma questo Salone non sarà l'ultimo di Massimo Bray. Tornerà. Magari da ministro, però tornerà.
Lui, l'ex ministro della Cultura del governo Letta, li sa scrivere, i discorsi da ministro. Cita Moro e Berlinguer, auspica e delinea, si rivolge agli insegnanti e agli studenti, agli artisti e ai librai, ai politici e ai cittadini, indica obiettivi per il riscatto dell'arte trascurata e delle periferie degradate, per tutti ha una buona parola e un segno di speranza, racconta un paese ideale che non c'è e mai c'è stato, però è possibile, perbacco, ci mancherebbe, ci arriveremo senz'altro con il prossimo governo, quale che sia. E sciorina le frasi che emozionano il popolo - "La via di uscita dalla crisi della comunità europea non è chiudersi nei propri interessi". "La cultura sarà al centro del mondo che stiamo costruendo". "Il mondo appartiene a chi ha il coraggio di prendersene cura".
C'è visione, in questo parlare da ministro. Difatti in tanti pensano che Bray ci provi, a questo giro. I suoi rapporti con i cinquestelle sono ottimi, è pure andato alla convention di Ivrea, e nessuno, ormai, fa caso ad antiche vicinanze piddine. Quando gli faccio notare che il suo è stato un discorso da ministro, più che da presidente di una strampalata cabina di regia, lui mi risponde con una smorfia strana. Come per reprimere un sorriso. O magari anche no. Nessuno che voglia diventare ministro ammette di voler diventare ministro. Ma questo Salone non sarà l'ultimo di Massimo Bray. Tornerà. Magari da ministro, però tornerà.
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