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FESTIVAL, QUANTO MI COSTI?

Ripubblico qui l'articolo uscito ieri sul Corriere e non disponibile on line:

Il ventisettesimo CinemAmbiente, il primo senza il padre fondatore Gaetano Capizzi scomparso prematuramente lo scorso ottobre, potrebbe essere l'ultimo, almeno per come lo abbiamo conosciuto. Lia Furxhi (foto), che di Capizzi è stata la più stretta collaboratrice, si è valorosamente fatta carico di questa edizione. Ma il futuro è incerto. Nei mesi scorsi il Museo del Cinema, dal 2020 proprietario e organizzatore di CinemAmbiente, accarezzava l'ipotesi di accorparlo a ColtivaTo
, “festival internazionale dell'agricoltura” che si tiene da un paio d'anni a Torino. Ne ha discusso il Comitato di gestione per “valutarne la fattibilità”. Stravagante, associare un festival ambientale a una manifestazione, ColtivaTo, il cui main sponsor, la multinazionale Bayer, risulterebbe urticante per gli attivisti green. Adesso il progetto sembra più nebuloso, ma ancora l'idea di “accorpare” CinemAmbiente a qualcos'altro riaffiora nelle svagate risposte dei mogul della Mole, se appena appena un po' li si sfrucuglia.
In sostanza CinemAmbiente viene vissuto da certuni come un costo in perdita, manco si trattasse del ramo secco di un'azienda privata. Si dà il caso però che il Museo non sia un'azienda privata: tra le mission di un'istituzione culturale pubblica rientrano anche le iniziative necessarie che non producono profitti.
Chissà, magari CinemAmbiente è disturbante, qualcuno lo preferirebbe "pluralista", tipo che vabbè, c'è il riscaldamento globale, ma anche no, ecchessaramai... Però qui voglio parlare di fatti concreti, senza ripetere le considerazioni usuali sulla necessità di un festival che dal 1998 ci informa sullo stato del pianeta e sul nostro comune e incerto futuro. CinemAmbiente costa, dicono. Accorpare significa risparmiare, dicono. Ok, ma risparmiare cosa? Quanto? Beh, leggiamo i bilanci: quelli non possono mentire, pena la galera.
Il bilancio consuntivo 2023 del Museo del Cinema attesta per CinemAmbiente un costo totale di 289 mila euro, di cui 17.400 alla voce “affitto sale cinematografiche”. Ma le sale sono quelle del Massimo, cioé del Museo del Cinema, per cui si tratta di una partita di giro, i soldi restano in famiglia. Quindi i costi da 289 mila euro calano a 272 mila. Poi bisogna sottrarre da quella cifra i ricavi, in tutto 194 mila euro: il festival è a ingresso gratuito, ma ci sono 88 mila euro dalle fondazioni bancarie e dallo Stato, tremila di proventi vari e 103 mila dagli sponsor privati, a conferma dell'attrattiva che un festival ambientale esercita sulle aziende green. Resta un passivo reale per il Museo di 78 mila euro. E quest'anno? Il direttore del Museo ha parlato di un budget totale aumentato a 330 se non 360 mila euro. Per la verità, lo scarno preventivo 2024 ipotizza per CinemAmbiente un costo operativo di 250 mila euro (compreso l'affitto delle sale...) e 27 mila euro di tasse, a fronte di contributi e sponsor per un totale di 180 mila: costo effettivo finale per il Museo 97 mila euro.
Ma bilanci preventivi sono per loro natura previsioni. Restiamo per il momento al concreto e certificato consuntivo del 2023 dal quale si evince che qui stanno a strologarsi se mettere a repentaglio l'identità di CinemAmbiente - un patrimonio torinese, un'eccellenza internazionale, un festival necessario, un'iniziativa capace di attrarre robuste sponsorizzazioni - per far "risparmiare" al Museo del Cinema quei 78 o 97 mila euro che siano. Noccioline comunque, per un ente che quest'anno gestisce un bilancio di oltre 16 milioni e nel 2023 ha speso 109 mila euro in “consulenze per uno studio di prefattibilità” del restyling del Museo stesso.
Non commento. I numeri parlano da sé.

Commenti

  1. Infatti. Tralaltro mi pare che Cinemambiente potrebbe anche entrare di più nell'ambito della istruzione e anche lì si possono sicuramente reperire fondi per attività di grande interesse per ragazzi e bambini

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  2. È tristemente così, legare la cultura a perdite e ricavi è la deformazione di una società che pensa solo ai consumi.

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