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PARTE IL TFF: ZITTO ZITTO PIANO PIANO, SENZA STREPITO E RUMORE...

Chi l'ha visto? Il manifesto del Tff
Domani comincia il trentanovesimo Torino Film Festival. Voi ve ne siete accorti?
Ho fatto un giretto in centro, alla ricerca di segnali che lasciassero intuire al viandante l'imminenza del lieto evento. Che so io, le locandine nei negozi, i manifesti per strada... Niente. Sarò sfortunato io, non discuto. Ma una volta persino io, benché sfortunato, li vedevo, i manifesti e le locandine nei negozi e per strada.
Di sicuro, neppure a me sfortunato sfuggiva il logone del Festival che troneggiava in piazza: le tre mega-lettere rosse TFF non passavano inosservate. Quest'anno niente: scomparse, scacciate dall'enigmatico "brand della città" con la T e il segno dell'infinito che, ci spiegano, sta a significare che a Torino c'è so much of everything: ma nel caso specifico trattasi di so much of nothing, e il mood generale vira verso il so much of sfaigas. Quanto alle consuete - e abusate - proiezioni di richiami agli eventi cittadini sulla cupola della Mole, confesso che non passo le mie notti a scrutare la cupola della Mole, ma chi abita nei dintorni mi assicura che in questo periodo ci hanno proiettato di tutto, dalle ATP a Diabolik e Eva Kant, ma finora non s'è visto il simbolo del Tff. Stasera tocca a "Torino dice no alla violenza sulle donne", chissà se almeno domani, per l'inaugurazione...
Il Torino Film Festival è da sempre una festa della città, una ricorrenza attesa e amata, come Natale o San Giovanni; qualcosa, insomma, che i torinesi sentono propria. Tutti i torinesi, che siano cinefili o anche cinofili. Per Torino il Tff non è "un" festival: è "il" Festival. O almeno, così era.
Invece questa trentanovesima edizione, la prima in presenza per il direttore Francia di Celle, mi pare che nasca in sordina, più subìta che voluta, votata al "tono minore". Il Museo del Cinema, per dire, quest'anno ha rinunciato - suppongo per economizzare - alla "doppia presentazione" che in passato si teneva, a distanza di poche ore, a Roma oltre che a Torino: un rito senz'altro obsoleto, nell'era delle conferenze in streaming, e che però simboleggiava in qualche modo la "volontà di presenza" del Festival sulla scena nazionale e internazionale.
Il mio non è un giudizio sui contenuti del Tff di quest'anno, che anzi mi paiono più che validi; bensì sul clima generale che lo accompagna, frutto - mi auguro - da una parte dell'anomalia del 2020, di quell'edizione on line che ha fatalmente ha abbassato la percezione del Festival tra il suo pubblico tradizionale; e dall'altro dell'effetto "giocattolo nuovo" prodotto dalle Atp Finals. Se così fosse, pazienza: si tratterebbe di una distrazione contingente, temporaneo obnubliamento, momentary lapse of reason. Passerà, insomma. Ciò che invece mi allarma seriamente sono altri segnali di crisi: il progressivo impoverimento del Tff - nonché degli altri due festival del Museo del Cinema, Lovers e CinemAmbiente - il cui budget cala lentamente ma inesorabilmente anno dopo anno; e la distrazione, se non l'insofferenza, con cui lo stesso Museo sembra guardare ai suoi festival. Ma di questo parlo nell'articolo che è uscito oggi sul Corriere. Se vi interessa, leggetelo. E ditemi se sono soltanto mie senili ubbìe.

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