Orizzonti di gloria. Neri Marcorè indica al direttore Stefano Francia di Celle la via del successo |
Il momento surreale, all'ouverture del Tff, me lo regala il discorsetto di saluto del direttore del Museo del Cinema Mimmo De Gaetano: "E' bello - dice - ritrovarsi di nuovo insieme, in una sala piena...".
Mi guardo attorno: l'ampia sala 6 dell'Uci Cinema del Lingotto - 700 posti, mi dicono - è punteggiata di poltrone vuote. Nella mia fila ci siamo io, al numero 18, e vicino a me un giovanotto straniero che mi rivela orgoglioso di essere il regista di un film in concorso - "oh wonderful", dico io, "thank you" dice lui, e mi domanda se so il titolo del film che vanno a proiettare, "Sing 2" rispondo io, e lui non dà segno di saper di che si tratti e va a cercarlo sul programma on line e auguri nuovo amico straniero, che la decima musa t'assista nella ricerca e t'aiuti a capirci qualcosa... - comunque nella mia fila ci sono io sprofondato nella poltrona 18 con a fianco il giovane regista straniero, e poi il vuoto fino alla poltrona 26, due signore, e poi altri posti vuoti.
A sx. Manera e Borgia (Film Commission) A dx. Ghigo e De Gaetano (Museo Cinema) |
Il problema, mi dice il presidente del Museo Enzo Ghigo, è che il Regio è inagibile per via dei lavori. Ma dall'anno prossimo... Me lo dicono tutti, l'anno prossimo inaugurazione al Regio.
Red carpet. Alessandro Gassman fa amicizia con la signora Ghigo |
Mirabilmente, sono assenti gli assessori. La Poggio, si sa, ha un altro impegno. La Purchia già s'è capito che non ama le passerelle fighette: infatti si presenterà soltanto all'ultimo minuto, in sala, per il saluto istituzionale più conciso della storia del Tff.
In realtà l'intera cerimonia inaugurale risulta essere di balsamica sintesi: la parte più lunga è occupato dal monologo - invero godibile - della Brava Madrina Fanelli che ostenta con orgoglio un abitino lungo nero confezionato dalla sua mamma; Francia di Celle si limita a elencare i vari benefattori - istituzioni e sponsor, Ghigo afferma che è contento e spera che tutti siano contenti, di De Gaetano s'è detto, poi c'è la breve intervista di Francia e Fanelli al regista di "Sing 2" Garth Jennings che si rivela una vera sagometta spassosissima, e quindi buio in sala e vediamoci 'sto film. Che - mi perdonino i cinefili duri e puri sconcertati per la scelta eretica di un sequel commerciale come film d'apertura - è anche un bel film, uno di quei film d'animazione che piacciono agli adulti, un susseguirsi di numeri musicali d'alta qualità, e insomma, alla fine, quando il vecchio rocker Clay Calloway (chissà se il nome è ispirato al grande Cab...) canta, e la voce è quella di Bono, beh, valeva la pena di aspettare fino alla fine. E ringrazio il cielo d'aver visto il film in originale; nella versione italiana Clay Calloway è doppiato da Zucchero. A scanso di brutte sorprese, comunque, appena il film finisce scappo via perché Ghigo, non so se per allettarmi o spaventarmi, mi ha detto che alla fine della proiezione sarebbe arrivato Zucchero, e sarà pure uno scherzo tipo guarda che viene il babau, ma preferisco non correre rischi e me ne torno a casa a riascoltarmi "War".
Questo è quanto, sull'inaugurazione del trentanovesimo Torino Film Festival (che ieri sera Madrina Fanelli ha ribattezzato, in un empito di patriottismo linguistico, "Festival del Cinema di Torino"). Le voglie di mondanità bene o male ce le siamo levate, da oggi conta il cinema. Del Festival e dei suoi problemi ho già scritto, oltre che sul blog, anche sul Corriere. L'articolo non è reperibile on line, quindi lo riproduco qui:
Quattro anni fa, il 17 novembre del 2017, si era alla vigilia del trentacinquesimo Torino Film Festival e io, sul primo numero del Corriere di Torino, lamentavo il progressivo impoverimento di quella manifestazione. Ignorando, stolto, che avrei rimpianto quei giorni.
Allora deploravo che il budget totale del Tff fosse sceso, per quell'edizione 2017, a due milioni e cinquantamila euro, dai due milioni e trecentomila del 2016. Sono trascorsi quattro anni e il budget del Tff 2021 è ridotto a un milione e settecentocinquantamila euro.
C'est l'argent qui fait la guerre, e i soldi fanno pure i festival: le nozze con i fichi secchi non risolvono, al limite tamponano. Però i soldi, se pure ci fossero, non basterebbero in assenza di un progetto chiaro, lungimirante e originale. Un progetto che stento a intravvedere nell'attuale gestione dei tre festival – Tff, Lovers e CinemAmbiente – affidati al Museo del Cinema. Un osservatore esterno ha semmai l'impressione che, al di là delle dichiarazioni formali, i vertici del Museo – e in particolare il Comitato di gestione - non abbiano una strategia di largo respiro per le tre manifestazioni; e anzi le considerino un fardello scomodo e indesiderato, un costo da alleggerire. Ripeto, non è solo questione di soldi: è innanzi tutto un problema di coesione interna, di fiducia reciproca, di spirito di squadra. La scollatura fra “quelli del Museo” e “quelli dei festival” è una sensazione diffusa. Di certo non aiutano a distendere il clima le ricorrenti voci di un progetto per “accorpare” Lovers, e magari CinemAmbiente, al Tff. Voci, mi auguro, prive di qualsiasi fondamento: ma che alimentano malumori, inquietudini, rivalità intestine.
Va detto che il direttore Stefano Francia non rinuncia all'ottimismo, almeno sul versante finanziario: il nuovo assessore Rosanna Purchia ha stretti e calorosi rapporti con Franceschini, ed è lecito augurarsi che convinca in un ragionevolmente prossimo futuro il ministro a mettersi una mano sul cuore e una sul portafogli, per rimpannucciare il Tff, magari tramite il Fus.
Di sicuro Francia e la sua squadra hanno le qualità e la volontà per fare meglio e di più: ma oggi li mandiamo a sfidare i grandi festival europei con un budget risicato e nessun piano preciso, come i nostri alpini in Russia con le scarpe di cartone. Il team del Festival risponde alle ristrettezze con la creatività: per dire, l'omaggio a Joana Hadjithomas e Khalil Joreige è senz'altro accurato, inedito e interessante. Ma volete mettere le grandi retrospettive del passato – la Nouvelle Vague, il New Cinema inglese, Chabrol... - che producevano pubblicazioni ancora oggi fondamentali per qualsiasi studioso di cinema?
Stretto fra le risorse limitate e le aspettative della politica ossessionata dalla visibilità e dalle "ricadute sul territorio", il Tff oggi resta impantanato fra due modelli difficilmente conciliabili: quello originario, che fu di Cinema Giovani, del festival ricerca e innovazione, e quello più pop e scintillante di divi & dive. Nell'inane tentativo di accontentare tutti, e tutti scontentando.
E' mia sommessa opinione che nel “sistema cinema” torinese si siano creati alcuni nodi che è urgente sciogliere, e questo è il compito di una politica che rinunci una buona volta ai giochetti di potere e intervenga con scienza e coscienza per ristabilire un'armonia, non soltanto finanziaria, che le ultime convulse stagioni della Mole hanno incrinato. Se fra i pubblici amministratori c'è qualche cervello che ben pensa, batta un colpo prima che sia troppo tardi.
Quattro anni fa, il 17 novembre del 2017, si era alla vigilia del trentacinquesimo Torino Film Festival e io, sul primo numero del Corriere di Torino, lamentavo il progressivo impoverimento di quella manifestazione. Ignorando, stolto, che avrei rimpianto quei giorni.
Allora deploravo che il budget totale del Tff fosse sceso, per quell'edizione 2017, a due milioni e cinquantamila euro, dai due milioni e trecentomila del 2016. Sono trascorsi quattro anni e il budget del Tff 2021 è ridotto a un milione e settecentocinquantamila euro.
C'est l'argent qui fait la guerre, e i soldi fanno pure i festival: le nozze con i fichi secchi non risolvono, al limite tamponano. Però i soldi, se pure ci fossero, non basterebbero in assenza di un progetto chiaro, lungimirante e originale. Un progetto che stento a intravvedere nell'attuale gestione dei tre festival – Tff, Lovers e CinemAmbiente – affidati al Museo del Cinema. Un osservatore esterno ha semmai l'impressione che, al di là delle dichiarazioni formali, i vertici del Museo – e in particolare il Comitato di gestione - non abbiano una strategia di largo respiro per le tre manifestazioni; e anzi le considerino un fardello scomodo e indesiderato, un costo da alleggerire. Ripeto, non è solo questione di soldi: è innanzi tutto un problema di coesione interna, di fiducia reciproca, di spirito di squadra. La scollatura fra “quelli del Museo” e “quelli dei festival” è una sensazione diffusa. Di certo non aiutano a distendere il clima le ricorrenti voci di un progetto per “accorpare” Lovers, e magari CinemAmbiente, al Tff. Voci, mi auguro, prive di qualsiasi fondamento: ma che alimentano malumori, inquietudini, rivalità intestine.
Va detto che il direttore Stefano Francia non rinuncia all'ottimismo, almeno sul versante finanziario: il nuovo assessore Rosanna Purchia ha stretti e calorosi rapporti con Franceschini, ed è lecito augurarsi che convinca in un ragionevolmente prossimo futuro il ministro a mettersi una mano sul cuore e una sul portafogli, per rimpannucciare il Tff, magari tramite il Fus.
Di sicuro Francia e la sua squadra hanno le qualità e la volontà per fare meglio e di più: ma oggi li mandiamo a sfidare i grandi festival europei con un budget risicato e nessun piano preciso, come i nostri alpini in Russia con le scarpe di cartone. Il team del Festival risponde alle ristrettezze con la creatività: per dire, l'omaggio a Joana Hadjithomas e Khalil Joreige è senz'altro accurato, inedito e interessante. Ma volete mettere le grandi retrospettive del passato – la Nouvelle Vague, il New Cinema inglese, Chabrol... - che producevano pubblicazioni ancora oggi fondamentali per qualsiasi studioso di cinema?
Stretto fra le risorse limitate e le aspettative della politica ossessionata dalla visibilità e dalle "ricadute sul territorio", il Tff oggi resta impantanato fra due modelli difficilmente conciliabili: quello originario, che fu di Cinema Giovani, del festival ricerca e innovazione, e quello più pop e scintillante di divi & dive. Nell'inane tentativo di accontentare tutti, e tutti scontentando.
E' mia sommessa opinione che nel “sistema cinema” torinese si siano creati alcuni nodi che è urgente sciogliere, e questo è il compito di una politica che rinunci una buona volta ai giochetti di potere e intervenga con scienza e coscienza per ristabilire un'armonia, non soltanto finanziaria, che le ultime convulse stagioni della Mole hanno incrinato. Se fra i pubblici amministratori c'è qualche cervello che ben pensa, batta un colpo prima che sia troppo tardi.
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