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SPARARE ALLE MOSCHE COL BAZOOKA: SGARBI CONTRO GABO

Non scrivo del Salone del Libro qui sul blog perché già lo sto seguendo per il Corriere, e di fare il lavoro doppio davvero non ne posso più. In compenso, oggi a Salone mi è accaduta una cosa divertentissima. Ho scoperto, grazie a un amico che me l'ha segnalato, un video che Vittorio Sgarbi ha pubblicato un paio di mesi fa su Youtube con il titolo "Salone del Libro / L'inutile astio di Gabriele Ferraris". Il sottosegretario dedica un'intemerata di ben 6 minuti al sottoscritto per via di un articolo uscito sul Corriere dello scorso 17 marzo (ve lo copio anche in calce, per vostra comodità); articolo tramite il quale avrei nientepopodimeno che "interdetto la democrazia" a Torino. 

L'ha presa bene, insomma. Un rappresentante delle istituzioni che spreca il suo fiato per rampognare ad personam un cittadino-elettore-contribuente è uno spettacolo impagabile. Che poi, nessuno mi aveva mai definito "astioso": l'astio è un sentimento serio, implica un interesse umano, seppur negativo. Troppo impegnativo, non è per me. Mi sembra più appropriato, semmai, definirmi semplicemente "stronzo", come fanno gli altri.

Ci sono tuttavia, nel megapippone sgarbiano, tre punti che vanno chiariti.

Punto primo: l'onorevole sottosegretario, male informato, mi definisce "probabile candidato alla direzione del Salone del Libro". Mai e poi mai mi sono candidato, né mi candiderò, ad alcunché. Detesto sottomettermi a esami e valutazioni, non vorrei mai fare un mestiere che non è il mio, e soprattutto preferisco risparmiarmi le rotture di scatole. Per certi incarichi occorrono tanta abnegazione e un pizzico di masochismo, due qualità delle quali fortunatamente sono del tutto sprovvisto. Stia tranquillo, onorevole sottosegretario: non porto via il lavoro a nessuno, se c'è da cacciarsi nei casini.

Punto secondo: l'onorevole sottosegretario s'interroga - e m'interroga - se l'articolo mirerebbe a "intimidirlo" (bum!) per aver detto la sua sulla nomina del nuovo direttore del Salone del Libro. Non sono un brigante di strada che vive di prepotenze e intimidazioni; e comunque sarei un vero pirla a presumere che un articolo possa "intimidire" qualcuno. Ad essere sincero, ad ispirare il mio povero scritto ("patetico", lo definisce Lui) era stata la (lecita) esternazione pubblica del sottosegretario (cito La Stampa del 10 marzo 2023): "Per il Salone del Libro sarebbe perfetta mia sorella, ma non accetterà mai". Ora, sono anch'io convinto che Elisabetta Sgarbi non avrebbe mai accettato, ma allora perché tirarla in ballo? E proprio a quella dichiarazione in particolare mi riferivo parlando di "perle di saggezza e offertissime familistiche" profuse dall'onorevole sottosegretario. Suvvia, non sta mai bene candidare i parenti, tanto più se fai parte del governo. Non è elegante, pure se il parente ha le migliori qualità. Io capisco l'amor fraterno, la stima e tutto il resto. Anch'io ho un fratello molto più intelligente di me, ma non per questo gli cerco un posto di lavoro: sa benissimo cavarsela da solo. E pensi, onorevole sottosegretario, che io manco faccio parte di un governo.

Punto terzo: nell'articolo espongo le mie personali considerazioni su quella che ho la piena facoltà, garantita dal costituzionale diritto d'opinione, di considerare un'ingerenza di un membro del governo in una materia sulla quale a mio avviso non ha titolo giuridico per intervenire. Sgarbi ha il diritto di esternare le proprie opinioni all'universo mondo, come io ho il diritto di commentarle come meglio credo, nel rispetto delle leggi. Magari le mie opinioni sono solenni minchiate: e allora? Chi lo decide? Sgarbi? E poi, in questo paese hanno il diritto di sparare minchiate soltanto deputati, senatori, ministri e sottosegretari? Il comune cittadino, che agli sparaminchiate eletti paga lo stipendio, potrà ben spararle pure lui.

Tanto dovevo all'onorevole sottosegretario. Il resto è nei fatti, e ciascuno - sempre che non abbia di meglio da fare - può leggere l'articolo, vedere il video e farsi un'idea sua. Io non ho nulla da aggiungere, se non rassicurare l'onorevole sottosegretario su due quisquilie che sembra gli stiano a cuore:

1) non tema, io non pubblico libri, mai, né con sua sorella né con altri: i libri preferisco leggerli, scritti dagli scrittori veri.

2) e no, non mi domandi se sono leghista: il voto è segreto. Comunque i leghisti sono suoi alleati, se anche lo fossi che problema ci sarebbe?

E qui mi congedo dall'onorevole sottosegretario con i versi di una vecchia canzone:
Non cerchiamone una ragione, una ragione non c'è.
Tu non mi piaci nemmeno un poco
e grazie al cielo io non piaccio a te.

Bonus track: l'articolo che ha fatto incazzare Sgarbi

 Ci risiamo. Il chiacchiericcio attorno al Salone del Libro s’era miracolosamente chetàto dopo il patetico fallimento della ricerca d’un direttore e l’annuncio del demiurgico Lo Russo di avocare la fatidica scelta — trascorso un periodo di decantazione e non prima di giugno — a un triumvirato di Illuminati: il felpato Cirio, l’assertivo Viale e, ovviamente, lui stesso Lo Russo di pirsona pirsonalmente. 

Di colpo la buriana era cessata: così percossa e attonita stava Torino al lorussiano annunzio che si sarebbe replicata, per la successione di Lagioia, la magica modalità applicata per il sovrintendente al Regio, dove si era arrivati alla nomina di Mathieu Jouvin senza che mai, neppure per errore, quel nome facesse capolino dal guazzabuglio di ipotesi, congetture ed endorsement dei rituali totonomine. Ma le buriane fanno giri neanche tanto lunghi, e poi ritornano. E così ben presto ha ricominciato a circolare la voce che forse, chissà, i tre Illuminati non avrebbero atteso i calori di giugno per sciogliere il nodo gordiano e dare al Salone un nuovo direttore: e di voce in voce la fucina delle gole profonde ha ripreso a sfornare mazzi di direttori certi, certissimi, anzi probabili; direttori nuovi, direttori perfetti, più assai di questo passato, più più di quello di là. Ma vi pare una cosa seria? La macelleria social dei candidati da bruciare ha fallito, e questo è fattuale.

Adesso i tre Illuminati si sono fatti carico della decisione. In genere non ho nessuna simpatia e nessuna fiducia negli Illuminati, quali che siano: ma il fondo l’abbiamo toccato e, prima di cominciare a scavare, tanto varrebbe provare anche questa. Se non altro, avremo tre tapini da incolpare, qualora finisse malissimo. E invece no: stiamo ripercorrendo, passo dopo passo, l’identico sentiero del fallimento già sperimentato nel primo atto della grottesca pantomima. I sussurri e grida, le nomination alla boia d’un giuda, le (auto)candidature: ci mancava soltanto il caporione ministeriale con le «gentili richieste», ma a colmare il vuoto è arrivato manco a dirlo il prezzemolino Sgarbi distribuendo a piene mani perle di saggezza e offertissime familistiche. 

Ma soprattutto il sottosegretario col ciuffo ha largito alla città e al paese un mirabile modello d’ingerenza della politica, con una dichiarazione che merita di passare agli annali: «Mi ero dimenticato della questione Salone del Libro, stasera me ne occupo. Chiamerò Cirio e Lo Russo, devono dire ai privati che comandano loro. Sono tutti diplomatici e l’unico che si arrabbia è Giordano». La lectio magistralis sgarbiana necessita tuttavia di tre chiose: 1) di grazia, onorevole, continui a dimenticarci, stiamo meglio così; 2) voi, sventurati Cirio e Lo Russo, se quello chiama non rispondete, sarete mica cretini, immagino e spero che sappiate da soli cosa dire a chi; 3) e no, non è Giordano l’unico che s’arrabbia, siamo tutti diplomatici ma, se qualcuno viene a fare il padrone a casa nostra, nel nostro piccolo ci incazziamo pure noi.


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