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DALLE PARATE DI STAR WARS ALLE PARATE DI STAR: UNA TRILOGIA A FUTURA MEMORIA

Nei giorni scorsi ho pubblicato sul Corriere tre articoli che, nel loro insieme, mi sembra offrano un riepilogo di quella che considero la "deriva ludica" del Museo del Cinema durante la direzione De Gaetano. Poiché gli articoli sono usciti soltanto sul giornale cartaceo e non sono reperibili on line, penso di fare cosa gradita ripubblicandoli qui (l'ultimo, di ieri, integrato con alcuni passaggi inediti dell'intervista), nella speranza che possano risultare un utile pro-memoria anche per il nuovo direttore Carlo Chatrian.

Dal Corriere di Torino del 15 settembre: Star Wars o Mastroianni?

"In occasione della mostra Movie Icons il Museo Nazionale del Cinema propone per domenica 15 settembre, a partire dalle 11, 'Star Wars Experience', un evento dedicato al pubblico e agli appassionati dove le legioni imperiali e ribelli di Star Wars arriveranno al Museo Nazionale del Cinema, sfilando per le vie del centro, accompagnati dalla classica ‘Marcia Imperiale’. Lo spettacolo, messo in scena dai membri della 501st Italica Garrison (imperiali) e della Rebel Legion Italian Base (ribelli), i due gruppi ufficiali LucasFilm, continuerà all’interno del Museo, con i figuranti a disposizione per foto e selfie o per discutere dell’universo Star Wars”.
Quello che avete appena letto è l'autentico comunicato del Museo Nazionale (e sottolineo “Nazionale”) del Cinema. Una delle nostre massime istituzioni culturali indice una festa di cosplayers, quasi un'anteprima della “Cosplayer Run” in programma al Valentino tra una settimana; e in fondo neppure così diversa dalle ruspanti “feste medievali” - con armigeri, arcieri e dame – che tanto piacciono nei paesini dell'Appennino dotati di relativo castello. Ma si intravede pure, nella proposta del Museo (e ri-sottolineo “Nazionale”) del Cinema, una ponderata virata-Disneyland - il selfie con Dart Vader vale quello con Pippo e Topolino – in unità d'intenti con l'incombente ruota panoramica che andrà a completare il lunapark diffuso torinese. Mancano solo i baracconi in piazza Vittorio.
Mi sia concessa un'osservazione seria su una faccenda che seria non è. Nessuno scandalo se il Museo Nazionale del Cinema organizza una sfilata di cosplayers per pubblicizzare una sua mostra: è una mossa di marketing, e un museo deve fare marketing per attrarre visitatori. Come in effetti li attrae il Museo Nazionale del Cinema. Ma un museo ha pure altre missioni istituzionali: la conservazione, la ricerca, i convegni di studi. E qui non ci siamo: alla Mole negli ultimi anni la corsa ai record in biglietteria ha prevalso ampiamente sugli impegni “scientifici”, meno glamour però indispensabili per l'autorevolezza dell'istituzione. Un Museo Nazionale del Cinema (anzi: “il” Museo Nazionale del Cinema) deve volare più alto dei cosplayers e delle spade laser. Per dire: quest'anno a Torino esponiamo i cimeli “iconici” dei film blockbuster, e ciò porta pubblico e manda in visibilio i nerd; ma ci limitiamo a ricordare il centenario di Mastroianni con le solite maxi-foto appese alla cancellata della Mole, o poco più. Logica avrebbe voluto che il Museo Nazionale (ripeto ancora: “Nazionale”) del Cinema celebrasse il più “iconico” attore cinematografico italiano dell'ultimo secolo con una vera grande mostra “nazionale”, curata da un grande critico, con immagini, testimonianze, approfondimenti, filmati della Cineteca Nazionale... E invece una mostra così si è fatta a Venezia, non a Torino. Ecco, questa è la stortura che rischia di declassare il nostro Museo a parco giochi. Porvi rimedio sarà il primo compito della prossima direzione.

Dal Corriere di Torino del 19 settembre: Quanto costa Scorsese?

La nomina di Carlo Chatrian alla direzione del Museo del Cinema chiude l'era di Domenico De Gaetano. Il direttore uscente si era da tempo allestito un «gran finale» che forse, nelle sue segrete speranze, gli avrebbe dovuto spianare la strada per la riconferma, e che almeno gli consentirà un'uscita di scena extralusso, il 5 ottobre, proprio alla vigilia della fine del mandato, con Martin Scorsese al Museo per tenere una masterclass e, manco a dirlo, ricevere l'inflazionatissima «Stella della Mole». Stessa passerella toccherà, nell'ordine, il 23 e 24 settembre a Peter Greenaway, il 27 settembre a Ruben Östlund, il 1° ottobre a Jane Campion.
Per dirla tutta, Östlund al Museo presenterà pure uno dei multipli dell’opera «The Square» (dal titolo del suo film più noto) «consistente in una installazione delle dimensioni di 3 x 3 m realizzata in quadrati di porfido tra i quali è posizionato un quadrato costituito da barre al led»: opera d'arte acquistata dal Museo stesso alla modica cifra di 38 mila euro, comprensiva dell'ospitalità all'artista.
A proposito di soldi: si sa che invitare una star del cinema costa assai, figurarsi quattro. Se poi la star delle star si chiama Martin Scorsese, e non hai con lui un rapporto personale, il conto può salire di molto. Così l'altro giorno chiamo il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo, nel tentativo di capire quanto spenderà per la più scintillante delle quattro stelle che sfileranno alla Mole.
Ghigo rimane sul vago: «Scorsese è una star internazionale e di conseguenza sottostà ai parametri che tutte le manifestazioni devono accollarsi per quanto concerne l'ospitalità... D'altro canto un regista che ha 82 anni, che è forse il più grande regista del mondo...».
Interrompo la laudatio di Scorsese: «Chiedevo semplicemente quanto costa...». Ghigo la prende larga: «È ovvio che è nel novero di quello che costa far venire una star di quel livello, che si muove con gli aerei, da New York, adesso la cifra precisa non la so ancora, ma i soldi non li chiediamo a nessuno, li abbiamo, il bilancio è positivo...».
«Perfetto – osservo io - però se ci sono i soldi per far venire Scorsese, non potevate invitarlo al Tff, che ne avrebbe ricavato quella maggiore visibilità mediatica che va cercando da anni?».
«È vero – concorda Ghigo, - difatti Giulio Base l'ha invitato, ma in quel periodo non poteva: adesso viene in Italia, credo a trovare il Papa, e di conseguenza noi abbiamo avuto questo slot e l'abbiamo preso. D'altronde, potevamo non prenderlo?».
«Certo che no – mento io - ma se lui viene in Italia a trovare il Papa, il viaggio glielo paghiamo noi?».
«No, difatti pagheremo solo una parte delle spese», precisa Ghigo.
«Ok – insisto - ma posso avere un ordine di grandezza? Più o meno di 50 mila euro?».
«Siamo sicuramente sopra i 50 mila. Tu dici che sono mal spesi?» mi domanda Ghigo, impensierito.
Io non ho il cuore di dirgli che un amico esperto in materia di grandi festival internazionali considera tale cifra largamente eccessiva. Quindi eludo la domanda: «Cosa dico io non ha importanza. Tuttavia... Beh, a essere maliziosi, portare al Museo quattro star internazionali nel giro di due settimane sembra tanto una specie di spot elettorale del direttore uscente, proprio nei giorni in cui si decide se confermarlo o meno».
Tenete conto che al momento della telefonata ancora non si sapeva della nomina di Chatrian, e quindi Ghigo ha buon gioco a fare il profeta misterioso: «Beh, aspetta di vedere se serve... - mi dice infatti l'arcano presidente. - A me interessa che Scorsese venga al Museo, che poi ci sia un direttore piuttosto che un altro, beh, questi sono contratti a termine, chi li accetta sa che può essere confermato o no». Adesso la risposta ghighesca mi risulta più chiara.
Mi resta da soddisfare un'ultima curiosità: «Chi ha contattato Scorsese: voglio dire, chi è l'artefice vero di questa ospitata?». Ghigo risponde prontamente: «Il nostro consulente Marco Fallanca che in questi anni ha portato tante star al Museo. Lui fa per noi proprio questo lavoro».
Ah però: e io che ero convinto che «questo lavoro» spettasse al direttore. Magari diciamolo a Chatrian.


Dal Corriere di Torino del 20 settembre: L'uomo delle stelle

Marco Fallanca
(nella foto con Johnny Depp) è il consulente del Museo del Cinema che in meno di tre anni ha portato alla Mole un variegato bouquet di star internazionali, da Tim Roth a Tim Burton, a Kevin Spacey. E pure Martin Scorsese, in arrivo il 5 ottobre.
Marco Fallanca è anche un tipo mattiniero. Ieri alle 8 e mezza mi telefona. Ha letto l'articolo sul Corriere Torino in cui affrontavo la questione del costo dell'operazione-Scorsese (costo non specificato ma, parole del presidente Ghigo, «sopra ai 50 mila euro») e mi vuole informare che «chi le ha detto che 50 mila euro per Scorsese è troppo le ha detto una cazzata».
Prendo atto, e ascolto attento Fallanca che mi spiega nei dettagli l'operazione: «Ci è capitata l'occasione: Scorsese ha impegni in Italia, andrà anche dal Papa, e voleva fare un evento pubblico nel nostro paese. Viaggia con il suo staff, una quindicina di persone, in jet privato da New York. Noi ci accolleremo solo l'ospitalità a Torino, e una parte ragionevole delle spese del volo. Non è previsto un cachet. E a chi dice che Scorsese costa meno di 50 mila euro, rispondo che un aereo privato da New York e ritorno costa ben più di 150 mila euro, e se il Museo ne paga una parte non è un cachet, non è una marchetta: sono le regole d'ingaggio».
Bene. E allora si può sapere quanto costa esattamente la visita di Scorsese?, domando. Risposta da manuale: «Questi sono dettagli che il Museo ha concordato con Scorsese. Non sta a me renderli pubblici». Però Fallanca ci tiene a precisare che «se ho fatto queste operazioni con qualche decina di migliaia di euro ritengo di essere stato nella media. Tutti gli ospiti sono venuti senza cachet: il Museo ha sempre pagato soltanto ospitalità e viaggi. Poi c'è chi vuole la suite, chi viaggia in First, chi in Business, Paul Schrader invece siamo andati a prenderlo a Cannes con l'auto. Cogliamo le opportunità. E credo di aver sempre garantito presenze prestigiose. Come consulente del Museo curo insieme con la struttura ogni aspetto operativo degli eventi, gli inviti, la programmazione, la direzione artistica, la logistica. Sono le attività che il Museo mi chiede e penso che questo lavoro a qualcosa sia servito. Non parlo solo del successo di pubblico, della visibilità, ma anche del fatto che tre anni fa Scorsese a Torino non ci veniva, e oggi non dico che Tim Burton e Scorsese sono quasi di casa, ma non mi stupirei se l'anno prossimo qualcuno invitasse Meryl Streep e Meryl Streep venisse. Quando ho proposto a Scorsese di fare l'evento a Torino lui ha accettato con entusiasmo, la sua risposta testuale è stata “are you kidding me?”, ma stai scherzando?, certo che vengo. E di questo do merito alla direzione di De Gaetano: non un merito individuale, ma alla direzione nel suo insieme. Adesso a Torino passano i mostri sacri del cinema internazionale, e non perché li paghiamo più degli altri. Li paghiamo alla voce di costo, e sono cifre che non vanno né nelle mie, né nelle loro tasche: vanno nelle tasche delle compagnie aeree e degli alberghi e ristoranti torinesi».
Avrei molto da obiettare sul fatto che prima di tre anni fa a Torino proprio non venisse nessuno. Mentre mi resta oscuro il «merito» che andrebbe alla direzione, però non individualmente al direttore.
Ma è arduo interrompere l'eloquio di Fallanca, che dopo aver rivendicato con orgoglio che «noi non compriamo gli ospiti a peso, non passiamo da intermediari e io non sono un procacciatore di ospitate», mi illustra il programma torinese di Scorsese. «Farà un'ora e mezza di masterclass, che sta preparando personalmente, e una serie di eventi alla Mole, invitando anche alcuni amici. E quando ha saputo del red carpet di Tim Burton mi ha detto “voglio farlo anch'io!”».
A proposito: non era meglio se Scorsese veniva al Tff, che ha tanto bisogno di visibilità mediatica?
«A differenza dei festival che hanno il vincolo delle date, i musei possono ospitare questo tipo di personaggi in base alle loro disponibilità, in qualsiasi periodo dell'anno. Scorsese era nei desiderata del direttore del Tff Giulio Base, ma in quel periodo inizia la preproduzione del nuovo film e non tornerà in Italia prima del 2026. Piuttosto mi stupisce che nel tempo il Tff non abbia fidelizzato alcuni di quei registi, oggi celebri, che ha ospitato da esordienti o quasi: penso a Larraìn, che vinse con “Tony Manero”, Chazelle, la stessa Campion... E invece devo invitarli io».
Ma, domando a Fallanca, curare «ogni aspetto operativo degli eventi, gli inviti, la programmazione, la direzione artistica, la logistica» non sarebbe il lavoro di un direttore?
«Non voglio rispondere su materie che non mi competono. Come personale opinione, penso che il ruolo di direttore del Museo Nazionale del Cinema abbia due anime: quella di un manager e quella di un direttore artistico. È un grosso impegno. Un direttore che cura gli eventi e la programmazione, organizza le mostre, gestisce gli ospiti, si occupa del personale, parla con i sindacati, sarebbe una specie di superuomo. Se il direttore ha delle competenze, una rete di contatti, tanto meglio: ma le assicuro che anche i direttori più titolati ricorrono a fior di consulenti».
Beh, penso fra me e me, con un'ottantina di dipendenti non è che al Museo del Cinema il direttore sia proprio solo soletto... Intanto Fallanca prosegue e conclude: «Il mio è un contratto annuale, e non ho ancora parlato con il nuovo direttore Chatrian. Potrebbe benissimo decidere di non aver più bisogno di me, sia per la rete di contatti, sia per l'aspetto operativo. Ci sta. Io sono a disposizione del Museo».

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