Ripubblico sul blog l'articolo uscito ieri sul Corriere e non disponibile on line:L'altro giorno non ero invitato all'incontro dei vertici del Museo del Cinema con i giornalisti. Ma leggo – e non ho motivo di dubitare - che il neodirettore Carlo Chatrian (foto) ha manifestato l'intenzione di «investire sul cinema Massimo», e ciò mi pare buono e giusto, «perché il cinema è un'esperienza collettiva». Tuttavia, avrebbe aggiunto Chatrian, «finora la sala è stata usata come spazio pubblico, ma andate a vedere se la Cineteca di Parigi ospita il festival sul lavoro o sui giovani». Hanno domandato a Chatrian se si riferisse ai due festival - Sottodiciotto, in corso in questi giorni, e il Job Film Days - che il Massimo «ospita» abitualmente («ospita» per modo di dire: a me risulta che il Museo si faccia pagare profumatamente l'affitto delle sale), ma Chartian ha rifiutato di fare nomi perché, dice, è «in fase di riflessione».
Ecco, bravo. Rifletta. Rifletta soprattutto sulle funzioni di un museo in generale, e del Museo del Cinema nello specifico. Per dire: gli intellò de noantri stanno a piangere sulla scomparsa dello spettatore, sulla disaffezione dei giovani per la sala, e poi lodano la Cinémathèque perché i furbi franciosi non ospitano un festival sui giovani, o sul lavoro. Ma si mettessero d'accordo con se stessi: c'è un festival, Sottodiciotto, che si rivolge proprio ai giovani, porta nella tua sala – «tua» del Museo - centinaia di ragazzi delle scuole, propone a quei ragazzi film belli e importanti che parlano della loro vita, dei loro sogni, dei loro problemi; contribuisce, Sottodiciotto, a costruire il pubblico di domani facendogli scoprire il fascino della sala; mentre il Job Film affronta il tema più lancinante in una Torino già capitale del lavoro e oggi capitale della cassa integrazione; e insomma svolgono, Sottodiciotto e Job Film, quella funzione «sociale» ed educativa alla quale ha ormai abdicato il Tff immemore di essere nato come Cinema Giovani, e ubriaco di red carpet e star americane a muzzo.
Quei due festival si tengono nella sala del Massimo, la sala del Museo del Cinema; e il Museo del Cinema dovrebbe sentirsi onorato di ospitarli, altro che guardare che cosa fanno i franciosi à Paris.
Voglio dubitare che Chatrian, persona intelligente, abbia davvero voluto esprimere i pensieri che sembrano emergere dalle sue parole come le hanno riportate i giornalisti. In bocca a una persona intelligente la frase «finora la sala è stata usata come spazio pubblico» non può che essere una orgogliosa rivendicazione della funzione di un museo, di qualsiasi museo, sempre e per sempre spazio pubblico per eccellenza, luogo d'incontro e confronto, incubatore di idee, risposta ai bisogni e alle aspettative della comunità. Altro che prendere esempio dalle manchevolezze d'oltralpe. Pensassero semmai, i nostri eroi del Museo del Cinema, a sostenerli, quei festival, e sostenerli concretamente. Magari rinunciando a esigere il prezzo per l'affitto della sala del Massimo. Sarebbe un piccolo gesto di buona volontà, e il riconoscimento dell'indispensabile ruolo che quei festival interpretano degnamente, con risorse risicatissime e ammirevole consapevolezza.
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