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IL LABORATORIO DEI DIRETTORI (TERZA LETTERA DALLA SCOGLIERA)


Ieri sul Corriere è uscito questo articoletto che, non essendo reperibile on line, ripubblico anche qui su blog. 

Un tempo si diceva (o almeno ci dicevamo...) che Torino è una città laboratorio, che sperimenta e anticipa ed esplora vie nuove. Oggi il concetto – forse troppo complicato per la contemporaneità mediatica – è passato di moda, rimpiazzato dal più semplicistico «capitale di...» la qualunque, dal tramezzino all'aerospazio.

Eppure, sotto sotto, il laboratorio Torino continua a sperimentare. Un settore dove le sperimentazioni toccano vertici eccelsi è quello dei direttori. Intendo direttori di musei, festival, istituzioni assortite. Ai nostri apprendisti stregoni la banale formula «un'istituzione, un direttore» sembra ormai obsoleta, stantia; per cui si va alla ricerca di soluzioni nuove e più segnatamente creative. Ad esempio il «direttore ad interim lungo lungo» ai Musei Reali, e in passato al Museo del Cinema hanno pure testato – per quasi tre anni – la formula del «nessun direttore». Abbondano naturalmente i «direttori per caso», ma non sono un'esclusiva torinese, mentre davvero avveniristico è l'esperimento del Torino Film Festival con l'ardita offertissima «prendi uno, paghi due»: il direttore è uno, Giulio Base (stipendio 75 mila euro), però s'è scoperto che per fare il Festival come vogliono lorsignori serve pure sua moglie Tiziana Rocca (30 mila). Totalone: 105 mila euro a carico del Museo del Cinema, pioniere del «metodo Garibuja», il simpatico personaggio del folklore piemontese che, essendo assai furbo, nascondeva i suoi soldi nelle tasche degli altri. 

Un crogiuolo di inesauribile sperimentazione è poi l'impagabile (nel senso che sarebbe meglio non pagarlo) fotofestival Exposed. Le prime due edizioni si sono svolte all'insegna della formula, solo in apparenza conveniente, «paghi uno prendi due», ovvero due direttori che si dividevano i 70 mila euro del compenso previsto: purtroppo, a giudicare dai risultati la produttività non è stata doppia. Anzi. Quindi si cambia, chissenefrega dei direttori, badiamo al sodo e puntiamo al «chiavi in mano»: è scaduto l’altro ieri il termine per rispondere all'«Avviso pubblico di indagine di mercato per l’affidamento del servizio di ideazione, progettazione, produzione e gestione di Exposed Torino Foto Festival – anno 2026» con il quale la Fondazione per la Cultura «richiede agli operatori interessati di segnalare l’interesse a essere invitati a presentare offerta a successiva gara» con un progetto artistico che «dovrà essere originale, e mirare a perseguire quanto realizzato finora» («realizzato» è una lampante esagerazione, ma lasciamo che s'illudano, poverini... Ndr), «ossia a configurarsi come un appuntamento di rilievo nel panorama internazionale con proposte di qualità che sappiano dialogare con i progetti e con le realtà del settore operanti sul territorio di Torino e del Piemonte creando un cartellone di grande respiro, tale da creare valore culturale e ottenere al contempo ricadute e benefici economici e sociali». E nient'altro? Una fettina di vitel tonné è gradita? Magari un rosolio? Quanto ai soldi, il valore complessivo dell’affidamento è di 600 mila euro più Iva, ma «il servizio sarà aggiudicato esclusivamente secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Si profila all'orizzonte il mitico «massimo ribasso» degli appalti edilizi. Il laboratorio Torino non dorme mai.


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