Come i popoli di
lingua inglese
per imprevidenza,
noncuranza e gentilezza d'animo
permisero ai malvagi
di riarmarsi. (Winston Churchill)
Pensosi statisti: un politico torinese medita sulla nuova governance del Salone del Libro |
La Storia a volte si diverte a giocare
con le date. Alle 22,45 del 25 luglio del 1943, quindi esattamente 73
anni e due giorni fa, defenestrato il Capoccione, il suo ex compare
Pietro Badoglio su incarico di Sciaboletta annunciava a una Nazione
stremata: “La guerra continua”. Seguirono infiniti lutti, giorni convulsi
e una fuga ingloriosa. L'8 settembre l'Italia, “riconosciuta
l'impossibilità di continuare l'impari lotta”, si arrese e
precipitò nel caos.
Caratteristica della Storia è la
sua tendenza a ripetersi. Ma se la prima volta è tragedia, la
seconda è farsa.
Mentre scrivo non ho ancora letto le
dichiarazioni dei pubblici amministratori torinesi in risposta al
pronunciamento dell'Aie che si farà il suo “Salone” del libro a Milano, il prossimo maggio, in diretta e mortale concorrenza con ciò
che resterà di quello torinese.
Non le ho lette, e non le leggerò, le
dichiarazioni dei nostri amministratori. So che - magari in versione ammodernata, come quella facebucchistica di Wonder Chiara - saranno del tenore di quella di Pietro Badoglio, 73 anni e due giorni fa. Il Salone del Libro continua a Torino, e la trentesima edizione si farà il prossimo maggio, regolarmente.
Regolarmente sta bella ceppa, se un
numero significativo di editori, specie i più potenti, in quei
giorni avranno il loro “Salone” a Milano.
La responsabilità di quanto è
accaduto è della politica locale. Non lo dico per facile populismo.
Le cose stanno banalmente così. Quando si crea un vuoto di potere,
qualcuno andrà a riempire quel vuoto. Al Salone il vuoto di potere
dura dal 2014, e nessuno ha voluto o saputo sanare un male destinato
fatalmente a degenerare. Ciò che è successo oggi è soltanto la
logica conclusione di due anni di sanfasonnismo da strapazzo.
Due politici torinesi commentano la minaccia dell'Aie di fare il Salone a Milano |
Per conservare un minimo di speranza, e
almeno provare a giocarci l'estrema partita contro i milanesi
organizzando al Lingotto un Salone 2017 non ridicolo a fronte
dell'iniziativa meneghina, occorrono un piano e qualche cervello. Il
piano c'è, ma fumoso e imbastito in fretta e furia. I cervelli
mancano.
L'addensarsi della tempesta
Riassumo rapidamente per chi non ha
voglia di rileggersi la raccolta dei post che negli ultimi anni ho
dedicato all'argomento (ma se cliccate sull'etichetta “Salone del
Libro” vi viene fuori una bella telenovela).
Allora. Il mandato del presidente
Picchioni scadeva nel 2014. I nostri geniali
politici di Regione e Comune decidono di prorogarlo di un anno, per
consentire un passaggio di consegne soft: giusto il tempo di
scegliere il successore e affiancarlo all'uscente. Stesso discorso con il direttore Ferrero.
Due politici torinesi soddisfatti e appagati per la bella riuscita del Salone 2016 |
Morale: arriviamo al Salone 2015, e non
è successo nulla, se non un innalzamento della litigiosità nel CdA
della Fondazione con l'ingresso di Milella e Cogoli, rispettivamente
future presidente e direttrice (designazione in pectore, ma non dichiarata apertamente dai nostri riservatissimi politici). Così, anziché chiudere il Salone 2015 annunciando
serenamente la nuova governance, si apre una successione da
basso impero, con la defenestrazione – giudiziaria – di
Picchioni, il benservito a Ferrero e lo scoppio di una guerra
fratricida fra Milella e Cogoli, che si risolve con la fuga di
quest'ultima e l'inizio di una penosa pantomima che copre di ridicolo
il Salone. I nostri Bismark, consci delle minchiate commesse, tentano
di rabberciare la baracca, e intanto seminano il futuro scompiglio,
lasciando credere a tutti che Milella – nonostante l'evidente
inadeguatezza – resterà presidente fino al 2017. Ma non muovono un
dito per trovare un direttore che alla fine del Salone 2016 prenda il posto di Ernesto
Ferrero, richiamato d'urgenza a salvare la patria, e pure aggratis.
Così si arriva al Salone 2016 senza sapere chi sarà il nuovo direttore. E vacilla anche Giovanna Milella. I nostri Bismark tirano per le lunghe perché, dicono, “il nuovo sindaco deve contribuire alla scelta” e/o “dobbiamo fare il bando”. Mentre la banda del bando si balocca con le cazzate, Motta vede il vuoto di potere che s'è creato, ci si incunea come un coltello nel burro e, detto in termini tecnici, ce la scodella nel culo.
Così si arriva al Salone 2016 senza sapere chi sarà il nuovo direttore. E vacilla anche Giovanna Milella. I nostri Bismark tirano per le lunghe perché, dicono, “il nuovo sindaco deve contribuire alla scelta” e/o “dobbiamo fare il bando”. Mentre la banda del bando si balocca con le cazzate, Motta vede il vuoto di potere che s'è creato, ci si incunea come un coltello nel burro e, detto in termini tecnici, ce la scodella nel culo.
Come scrive oggi un'amica mia, si è creata la classica situazione per cui Fassino avrebbe sentenziato: "Se ci tengono tanto ad avere il Salone a Milano, quelli dell'Aie si mettano d'accordo e provino un po' a farselo loro".
Appunto.
Le erronee convinzioni della banda del bando
La reazione di due politici torinesi alla notizia che l'Aie si farà il suo Salone a Milano |
Ora io vi dico: se alla cerimonia di
chiusura del Salone 2016, poco più di due mesi fa, anziché trillare
di gioia per il bel Salone che avevano portato a casa “nonostante
tutto” (no: nonostante voi); se non avessero perseverato
nell'erronea convinzione di essere una scelta congrega di genii; se
la banda del bando avesse annunciato quello stesso giorno un piano
serio che coinvolgesse di più gli editori, e soprattutto un nuovo
presidente e un nuovo direttore davvero credibili (scelti pure con un
bando, se proprio dovevano: ma farlo, e non limitarsi a parlarne);
beh, se se se e se, allora Motta e l'Aie manco ci avrebbero provato.
E oggi io sarei a spiaggia anziché stare a scrivere queste righe; e
ciò che più conta, il Salone del Libro di Torino sarebbe ancora
l'unico e il solo. A Torino.
Insomma: parafrasando Churchill, i
politici torinesi per imprevidenza, noncuranza e stupidità
permisero ai malvagi di fregarci anche il Salone.
La nave affonda? Apriamo il dibattito per scegliere il capitano
Ma questo è il passato, e il passato
non cambia a botte di “se”. Quanto al futuro, non promette bene.
Pensate un po': sono gli stessi comici responsabili della catastrofe
a dovervi porre rimedio. E' vero, uno dei commedianti è cambiato: ma
il copione resta quello. Eppure servono decisioni rapide ed efficaci,
per consentire al Salone del Libro di sopravvivere almeno finché
coloro che sono stati troppo inetti non saranno abbastanza pronti.
Due politici torinesi offrono a un malcapitato la presidenza del Salone |
Invece siamo con le braghe calate. La
Fondazione non ha un presidente. Dubito che a questo punto Massimo
Bray accetti, e se accettasse dubito che abbia il polso per salvare
la baracca: è un'ottima persona, ma non conosce la città, non
conosce il Salone, e in quanto editore (è direttore della Treccani)
non è neppure super partes. Circolano altri nomi, ma chi avrà il
coraggio di sedersi sulla poltrona più scottante del West? E' una
situazione da commissariamento. In effetti a vigilare sulla
Fondazione c'è un Alto Comitato di cui fanno parte i vertici di
Regione, Comune e Città Metropolitana; se nessun "padre nobile" vorrà prestarsi alla bisogna, il presidente di turno del fatomatico Alto Comitato –
credo che tocchi ad Appendino - si prenda il peso di fungere da
“presidente straordinario” della Fondazione finché non si
saranno chiariti le idee. Mentre la nave affonda non si apre un
democratico e approfondito dibattito per decidere chi è il capitano.
Poi manca il direttore. Siamo in piena
emergenza, e questi si baloccano con i loro bandi. Massì, fate il
bando, ma subito. Per non avere un direttore a Natale e scoprire il 6
gennaio che il bando era taroccato. E per favore, prima di portarci in casa un altro milanese, chiediamoci se a Torino sono davvero diventati tutti cretini, da non trovarne uno di casa all'altezza del compito.
Due politici torinesi meditano sugli errori nella gestione dell'affaire-Salone |
Ma soprattutto, fate in fretta (e bene, se per una volta vi riesce). Il Salone del Libro 2016 è nato in
emergenza, ma l'emergenza (ben meno grave di quella attuale) si
risolse già in settembre con il richiamo alle armi di Ferrero. Più
in là di settembre non è possibile andare. Non resterebbe il tempo per imbastire
un'edizione 2017 all'onor del mondo.
Serve al Salone una governance
decorosa, per tentare l'impresa di sopravvivere. E serve adesso. Servono, qui e ora, un presidente e un
direttore credibili e forti, e per individuarli ci vogliono fantasia,
visione, intelligenza da parte della politica.
Di conseguenza oggi più che mai temo
che il Salone del Libro di Torino sia morto e sepolto.
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