Orizzonti di gloria: sir John Falstaff (Orson Welles) alla guerra del libro |
Nel teatro elisabettiano era
convenzione inserire, anche nelle più cupe tragedie, intermezzi
comici, affidati a giullari e matti (fools) o a personaggi volgari:
stallieri, portinai, fantesche, soldatacci. Persino gli orrori del
“Macbeth” sono temperati dalle buffonesche disquisizioni di
alcuni servi sugli effetti indesiderati delle sbornie. Così
funzionava il teatro nei giorni della “Vergine Regina”: mentre i
potenti tramavano, uccidevano e meditavano sui misteri
dell'esistenza, gli scemi e le canaglie strappavano una risata al popolo pagante. Oggi però quei personaggi non funzionano più - quelli di Shakespeare, voglio dire: i nuovi, partoriti dalla politica, vanno alla grande. Ma a teatro soltanto Falstaff ha vinto la prova del tempo e del mutare dei gusti.
Il vecchio sir John brilla ancora di luce propria, e ancora si gode
le simpatie del pubblico e le attenzioni di registi e attori, tanto
da oscurare i suoi due nobili re – e chissà che fine farebbe il
povero Enrico V se Will non gli avesse regalato il monologo di san Crispino... Ma gli altri comici da
tragedia sono ormai figure stantie e fuori tempo, e talora le loro
scene vengono tagliate nei moderni allestimenti shakespeariani.
E' qui Azincourt? Ma no, è soltanto la Secchia Rapita
Non ci sono più i vilains di una volta: sopra, Federico Motta e, sotto, Jago-Kenneth Branagh in"Othello" |
Vabbé, nemmeno gli antagonisti sono un granché: vuoi mettere un orditore d'intrighi come Jago al confronto con un Federico Motta qualsiasi? Ok, non è certo il tipo d'uomo da cui comprerei un'enciclopedia: però, con tutto quel che si potrebbe dire sul personaggio, siamo lontanissimi dal Male shakespeariano. E imbastire una simile manfrina perché ti sentivi malcagato in Fondazione non ha nulla del titanismo che si richiede ai veri vilains. Semmai potrebbe interessare a Goldoni per una riscrittura delle Baruffe chiozzotte. Oppure un bravo regista potrebbe trasformarlo in un personaggio faceto, tipo quello che sputa per aria e se lo becca in testa: devo riconoscere che parlare di "grande progetto" e come primo risultato riuscire a spaccare l'associazione di cui sei presidente è un numero d'alta scuola.
Comunque i fools ce li abbiamo anche noi, nel nostro piccolo teatrino di provincia depressa; e di quando in quando si intrufolano sulla ribalta per pronunciare la battuta che gli riserva il copione, ansiosi del pur minimo applauso di un pubblico sempre più annoiato, che si rigira impaziente fra le mani i pomodori e i gatti morti che prima o poi comincerà a lanciare contro l'intera guittesca compagnia di scavalcamontagne.
Così ieri, mentre la prim'attrice esordiente recitava a mezzo Facebook il classicissimo monologo della sconfitta torinese - sapete, quello solito che riciccia “l’occasione per raccogliere una sfida, cioè portare il Salone del Libro a vedere una nuova luce” (naturalmente adattato ai tempi nuovi con l'irrinunciabile citazione di “rinnovamento, trasparenza e partecipazione” ma senza trascurare, per carità, l'appello alla storia e alla tradizione “che da sempre caratterizzano Torino”, e a questo punto entra un famiglio con il cabaret dei gianduiotti) - ieri, dico, mentre al centro del palcoscenico internettiano la nuova stella del teatro sabaudo cesellava il suo pezzo di bravura, da dietro le quinte sbucavano i caratteristi con le loro battute di routine, la cui comicità non sta tanto nella banalità del contenuto, quanto nell'effetto straniante dato dalla personalità di chi le pronuncia rivelando a sorpresa un bruciante quanto inedito interesse per il Salone, e per il libro in genere.
La politica in campo: fondamentali prese di posizione
Gary Oldman e Tim Roth sono Rosencrantz e Guildenstern per Tom Stoppard |
Ma lasciamo orsù il mio amato
teatro elisabettiano e caliamoci nell'avvincente cronaca di queste
ore.
Mi giungono due fondamentali
dichiarazioni dei rappresentanti di un partito da sempre in prima
linea nella difesa degli alti valori della cultura; e le riporto
senza por tempo in mezzo. “La decisione di alcuni editori di
aprirsi un Salone del Libro tutto milanese è la dimostrazione che
tutte le parole dette dal Sindaco Appendino in questi giorni sono
fuffa. Se è vero che la trentesima edizione rimarrà ufficialmente a
Torino è anche vero che chi Torino la governa non ha nessuna
capacità di mediazione e dialogo con gli editori per dargli un valido
motivo per restare. La debolezza del M5S esce finalmente allo
scoperto, e siamo convinti che un vero sindaco sarebbe andato a
battere immediatamente i pugni sul tavolo del Ministro Franceschini
per non subire l’ennesimo scippo da Milano al posto di fare video
dove spiega che ognuno può mangiare ciò che vuole. Se il buongiorno
si vede dal mattino ho paura di scoprire che altro ci faremo portare
via da sotto il naso”, dichiara Fabrizio Ricca, consigliere
comunale della Lega Nord ed esperto di video(giochi).
Dal consiglio
regionale gli fa eco il collega di partito Benvenuto: “Alla luce
delle ultime notizie, chiediamo al presidente Chiamparino di venire a
riferire in aula la situazione legata al Salone del libro. In questo
momento non serve campare in aria progetti fantasiosi, ma affrontare
la realtà dei fatti. Il Salone deve restare a Torino. Se così
davvero non sarà, considereremo il furto come una sconfitta di Pd e
5 Stelle".
Spero soltanto che qualcuno riesca a spiegare a
Benvenuto che tecnicamente non c'è stato nessun furto, il “Salone
del Libro” ce lo teniamo perché è nostro (è un marchio
registrato), e in realtà i milanesi se ne fanno uno tutto loro, che
chiameranno con un altro nome mettendocela comunque nel fracco. No,
solo per la precisione, giusto per non chiamare "ladro" il
prossimo, se non lo è. Non sono ladri loro, siamo noi che siamo garula.
Pistola e il suo re: un apocrifo shakesperiano
Enrico V e Pistola sul campo di battaglia di Azincourt |
Adesso la tragicommedia proseguirà sui
consunti binari del teatro boulevardier, e nessuna gag ci verrà
risparmiata. Ma voglio fingerle una grandezza che non ha, e per
anticiparne la prossima scena preferisco tornare al Bardo,
richiamando in servizio uno dei suoi più classici e noti caratteri
comici, Pistola, il compagno di deboscia di Falstaff. Il ruolo
del potente va, per forza di cose, al re Enrico V, che in questa
piccola vergogna teatrale incarnerà i nostri pubblici
amministratori, con evidente detrimento di Enrico V.
Enrico V: Ah, giorno di dolore e
disfatta! La più bella gemma della nostra corona ci è rapita, e a
Calendimaggio i lurchi longobardi celebreranno i loro novelli fasti
libreschi, a perenne onta nostra e del nostro regno.
Pistola: Maestà, perché
disperare? Ancora nelle vostre sacre mani tenete ben saldo il nobile
nome del Salone del Libro; e potrete a Calendimaggio celebrarlo come
ogni anno voi lo celebraste, e prima di voi i re vostri antenati.
Enrico V: Pistola, il tuo nome
t'è testimone! Non comprendi che le strapotenti forze dei longobardi
oscureranno noi e il manipolo di fratelli che con noi vorrà
combattere in quel giorno? I baroni infedeli ci abbandoneranno, se a
Calendimaggio il malvagio principe Motta li convocherà alla sua
corte. E l'attenzione degli scribi sarà rapita da quel fastoso
consesso, a scapito e scorno del nostro modesto convito.
Pistola: Maestà, il vostro
scaltro sgherro ha qui il balsamo che lenirà le vostre ambasce.
Enrico V: Che dici? Che vaneggi?
Vuoi tu prolungare l'angoscia del tuo re? Parla dunque!
Pistola: Se a Calendimaggio
terrà corte bandita il malvagio Motta, vostra maestà potrà
astutamente spostare il suo Salone a più fausta data, così da
non patire la concorrenza longobarda.
Enrico V (spazientito, abbandona il linguaggio aulico): Vedi, tu sei Pistola di nome e di fatto: solo un pistola come te non capisce che le grosse uscite editoriali in Italia sono a maggio e a Natale: a Natale il mercato tira da solo, mentre a maggio il Salone è un volano irrinunciabile. Ecco perché quelli dell'Aie lo fanno a maggio, il loro barnum. E noi zitti e buoni ci spostiamo in un altro periodo eh? Ad agosto, magari? Ma sei tutto scemo, oltreché Pistola? E poi la conosco 'sta storia, ci hanno già costretti a spostare il Torino Film Festival lasciando il periodo migliore a quei cafoni della Festa del Cinema di Roma. Ogni volta che qualche malaminchiato ci copia un'iniziativa, noi ci facciamo da parte, per non disturbare. Siamo proprio un regno di coglioni, non c'è che dire. Ma voglio subito porvi rimedio. (Rivolto ai soldati) Prendete questo pistola, e impiccatelo al primo albero. E poi via, verso nuove sconfitte!
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