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TFF, L'INAUGURAZIONE FLUIDA. UN POST DI CAZZEGGIO

Nota per i gentili lettori: attenzione, questo post non  contiene notizie importanti (neppure poco importanti) ma puro cazzeggio, dettato dalla mia voglia di divertirmi e dalla mia insonnia. Potete quindi evitarvi la pena di leggerlo, a meno che non siate pure voi in vena di cazzeggio.


Don't cry for me Argentina. Laura Milani
arringa la folla dalla balconata della Mole
Che dire? E' stata un'inaugurazione molto fluida. Nel senso del brillante eufemismo per "pezze al culo" coniato dalla presidente Milani. E anche della conseguente scomparsa del buffet: ieri sera alla Mole c'erano soltanto fluide bollicine, per i settecento e passa invitati alla festa d'apertura del Tff, ma non ho avvistato nulla da sgranocchiare. Può darsi che sia arrivato tardi, a buffet spazzolato; o che non abbia cercato bene; ma vagando per l'affollata sala del tempio non ho incontrato qualche abbuffone gonfio di tramezzini. Unici non fluidi generi di conforto pervenuti, i tre gianduiotti di Stratta distribuiti all'uscita a ciascun ospite. Che comunque moltiplicati per 700 fanno 2100 gianduiotti.
La cosa in sé personalmente non mi turba - detesto mangiare in piedi, lo trovo contrario ai più elementari principi di civiltà e per fortuna ho ancora una casa dove nutrirmi - però è dai particolari che si deduce l'insieme. E fin dall'inaugurazione, non me ne vorrà la presidente Milani, i particolari mi raccontano di un Festival al risparmio. Proprio come vi dicevo ieri.
Adesso, per prevenire le alzate d'ingegno del sentenzioso coglione che casualmente potrebbe capitare sul blog, mi tocca precisare ciò che per i normodotati è ovvio, e cioé che non è dal buffet che si giudica un festival e che "distitempiconlagentechehafame" e "perfortunachesonofinitiglisprechi". E per fortuna davvero: non ho mai capito per qual motivo per inaugurare un festival si debbano nutrire orde di sfaccendati. 
Peccato che risparmiare sul buffet non basti a salvare un festival dalla fluidità.
Red carpet de noantri: Emanuela Martini,la  direttrice del
Tff, si intrattiene con il presidente della Film Commission
Damilano. Fra di loro c'è il presidente di Lovers, Minerba
Il problema sta nel manico: i politici credono che la cultura sia come il Mercante di Venezia, che non sanguina se gli infliggi una ferita; per cui tagliano serafici, sicuri che tanto la cultura se la caverà. I danni, le ferite, invece si vedono benissimo. E non mi riferisco alla scomparsa dei buffet. 
Quanto alle inaugurazioni, a Torino gli invitati non aiutano. La rinuncia al Lingotto - dettata dalla fluidità del Festival - implicava il dimezzamento degli inviti: il che, secondo la consolidata tradizione torinese, ha scatenato la caccia agli inviti medesimi. L'ufficio stampa potrebbe raccontarne che voi umani neppure immaginate. Avete presente "Il gladiatore"? Al mio segnale, scatenate l'inferno. 
E lì quelli del Festival hanno peccato d'ingenuità: hanno calcolato tot invitati alla Mole, e altrettanti presenti alla successiva proiezione al Massimo. Sicché hanno pensato bene di usare tutte e le tre le sale del Massimo per farci entrare l'intero carico di invitati reduci dalla Mole. Con l'ovvio risultato di ritrovarsi le tre sale mezze vuote: spettacolo triste, al termine di una prima giornata di Festival con le sale piene. Ma l'invitato standard all'inaugurazione del Tff di default va al party a sfigheggiare e poi se la squaglia, perché del film non gli frega un belino. Morale: in extremis la direttrice Emanuela Martini ha chiuso le due sale piccole transumandone gli occupanti nella sala grande, che alla fine, faticosamente, si è quasi riempita. A me in certe occasioni viene in mente "300", quando Leonida butta nel pozzo l'ambasciatore di Serse urlando "questa è Sparta!". E questa è Torino.
L'inaugurazione in sé, intesa come discorsi e siparietti, dacché la direttrice è Emanuela Martini, non ha mai brillato: Emanuela è un'ottima direttrice, ma non è una showgirl. Quest'anno, forse per ovviare all'incombente fluidità, qualcuno - immagino l'assertiva presidente Milani - ha pensato bene di spettacolarizzare la cerimonia, affidandone la regia nientemeno che a Roberta Torre, che con "Tano da morire" si è meritata la mia imperitura gratitudine. E in effetti, come musical surreal-trash l'operazione funziona: Laura Milani che tiene il suo discorso dall'alto della scalinata mi ricorda Madonna-Evita che arringa la folla dal balcone della Casa Rosada. L'allocuzione presidenziale si riassume in poche parole: "Il momento è grave, le difficoltà tante, ma siate fiduciosi e vedrete, abbiamo un piano e il futuro sarà radioso". A questo punto io farei partire "Oh what a circus": she didn't say nothing, but she said it loud.
Momento alto anche con la sfilata dei "madrini" - Chris Bangle il designer, Ugo Alciati il cuoco, Max Casacci il musicista e Luca Bianchini lo scrittore - che entrano sulle note dei Frankie Goes To Hollywood. Il top di gamma è il discorso di Bangle, che parla come Oliver Hardy e dunque restiamo in piena citazione cinematografica.
Il resto della serata riserva scarse emozioni. All'ingresso della Mole hanno steso una passerella rossa per evocare il red carpet, e i fotografi scattano con dannati pure se in posa il convento passa soltanto il dinamic duo Milani-Leon. Figuratevi quando arriva la giurata Isabella Ragonese con delizioso abitino rosa. Ma non si va più in là di tanto. Anche il red carpet, a Torino, quest'anno è più fluido che mai.
E adesso vado a dormire. Mi attende un lungo sabato di Festival, inginocchiato sui ceci.

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