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UN QUARTO DI SECOLO CON LA SANDRETTO

Come eravamo. E' il 2002, Patrizia Sandretto inaugura la sede torinese della Fondazione in via Modane, affiancata da Enzo Ghigo, oggi presidente del Museo del Cinema e all'epoca presidente della Regione, e dal Chiampa, allora sindaco di Torino. Alle loro spalle riconosco Vittorio Sgarbi, il marito di Patrizia Agostino Re Rebaudengo, e l'allora vicario vescovile ed ex direttore della "Voce del Popolo" monsignor Franco Peradotto, oggi scomparso
Oggi la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo compie venticinque anni. Nel tempo normale, il tempo di prima che abbiamo perduto, sarebbe l'occasione delle celebrazioni di rito, del "sembra ieri", e di quant'altro si conviene a ricorrenze significative per la vita culturale della città. Oggi niente di ciò è possibile. Con adeguato understatement, Patrizia Sandretto per ricordare l'anniversario si è limitata a inviare una lettera che a me è piaciuta, e che quindi pubblico integralmente. 

Care e cari tutti,
con questa lettera vorrei raggiungere tutte le amiche e tutti gli amici, gli artisti, i visitatori, gli insegnanti, gli studenti, le famiglie che conoscono e frequentano la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Oggi compie 25 anni. Il 6 aprile del 1995, con mio marito Agostino e i miei genitori, firmavamo a Torino l’atto costitutivo di una nuova istituzione che univa i nostri nomi all’arte, a una serie di responsabilità, missioni e propositi assunti “per l’arte”. Ero felice. Avevo fortemente voluto quel passaggio dalla collezione privata alla dimensione aperta e condivisa della Fondazione.
Di questi 25 anni, ho in mente un personale album di istantanee, di immagini mentali che ora, in un momento di sovrabbondanza visiva e informativa, mi sembrano persino più nitide delle fotografie. Non seguono una cronologia. Sono opere, mostre, persone che raccontano una storia e, insieme, direzioni e modi di intendere la progettualità, la produzione artistica, la curatela, l’educazione, il rapporto con il pubblico. L’accessibilità, come esperienza fisica e democratica della cultura contemporanea. Alcune si caricano ora di nuovi significati.
2019. Settembre. Sulla collina di San Licerio, a Guarene, poco distante da Palazzo Re Rebaudengo, sede della Fondazione dal 1997, ci sono le grandi sculture di Paul Kneale. Hanno la forma delle antenne paraboliche, il disco rivolto verso il cielo, i profili illuminati dalla luce rossa dei tubi al neon. In mezzo a una vigna, messa a dimora da poco, l’installazione appare come una specie di coltivazione. Flat Earth Visa, questo il titolo, è l’inizio di un programma dedicato al paesaggio del Roero e delle Langhe, patrimonio Unesco, nel quale l’arte pubblica si prefigge di declinare, con equilibrio e attenzione, la delicata relazione natura-cultura.
1995. Campo. È il titolo di una delle prime mostre della Fondazione, curata da Francesco Bonami alle Corderie dell’Arsenale a Venezia, itinerante in uno spazio industriale a Sant’Antonino di Susa, vicino a Torino, e al Konstmuseum di Malmö, in Svezia. 27 artisti – tra i quali Vanessa Beecroft, James Casebere, Olafur Eliasson, Shirin Neshat, Catherine Opie, Wolfgang Tillmans – al lavoro con la fotografia, riuniti intorno a un’idea di spazio fisico, il campo: «come luogo veneziano di incontro e di sosta, come cornice dello sguardo». Una mostra-seme che Francesco, con il suo talento e la sua professionalità, ha fatto crescere nella nostra storia e dalla quale sono nati Campo 6, l’anno dopo alla GAM di Torino e nel 2012, Campo, il nostro corso per curatori italiani.
2016. Reboot The Planet! Auditorium della Fondazione a Torino. Febbraio. Gli studenti della IVD del Liceo Artistico Cottini, raccontano l’incontro con Adrián Villar Rojas, avvenuto qualche tempo prima, in mezzo all’installazione intitolata Rinascimento. Nella sala priva di luce artificiale, tra le grandi pietre corrose da acqua e vento, i ragazzi e le ragazze hanno chiesto ad Adrian di come si sceglie il titolo di una mostra, del suo primo studio, nella cucina della madre. Hanno parlato delle passioni, della musica, dei film, dei Radiohead e di Star Wars. L’intervista è diventata un video, il primo del progetto Easy Pieces, concepito dal nostro Dipartimento educativo. Anno dopo anno si è arricchito delle domande di altri giovani e delle risposte di altre artiste e artisti: Ed Atkins, Rachel Rose, Monster Chetwynd, Berlinde De Bruyckere.
2002. Estate. La sede di Torino, progettata dall’architetto Claudio Silvestrin, sarebbe stata inaugurata di lì a poco. C’è il sole. La luce filtra e si espande all’interno. Arriva in visita Harald Szeemann che ha appena curato due Biennali, a Venezia nel 2001 e nel 1999. Entriamo, attraversiamo le sale. Mi sembra che quell’uomo alto e sorridente, quel curatore leggendario, tenga a battesimo lo spazio, il nostro progetto.
2003. La Fondazione si fa committente e partecipa alla produzione della monografica di Doug Aitken, in collaborazione con Serpentine Galleries. A febbraio New Ocean trasforma lo spazio di Torino in un percorso immersivo, scandito da spettacolari video installazioni a scala ambientale. In questa fantasmagoria, i visitatori diventano viaggiatori, esploratori di terre di confine: i deserti argentini, il ghiaccio e l’acqua del Circolo Polare Artico. Una mostra azzurra. Un sogno.
1997-2001. Sulla terrazza di Guarene passiamo intere giornate a parlare di arte. Il piccolo paese tra le colline diventa un crocevia, un punto di incontro di artisti e curatori di tutto il mondo. Ogni anno, arrivano a Palazzo Re Rebaudengo per lavorare e partecipare a un doppio premio, il Premio della Fondazione e il Premio Regione Piemonte, assegnati a un’opera e a un progetto. Mi è sempre piaciuto dare fiducia e spazio alle idee. Su quella terrazza mi ricordo di Carlos Basualdo, di Daniel Birnbaum, di Iwona Blazwick, Richard Flood, Yuko Hasegawa, Lars Nittve, Hans Ulrich Obrist, Nancy Spector, Vicente Todolí. Mi ricordo soprattutto di Okwui Enwezor che a Guarene sarebbe poi tornato per la personale di Giuseppe Gabellone. Ci manca molto.
2012. Alla Whitechapel di Londra, il 25 settembre inaugura Think Twice, un progetto dedicato alla Collezione Sandretto Re Rebaudengo, a cura di Francesco Bonami e Achim Borchardt-Hume. 4 mostre, una di seguito all’altra, fino al settembre 2013. Per un anno la Collezione abita a Londra. Si inizia con Bidibidobidiboo di Maurizio Cattelan, il piccolo scoiattolo suicida del 1996. Poi verranno The Acquired Inability to Escape di Damien Hirst, Love Me di Sarah Lucas, la Bang Bang Room di Paul McCarthy e Viral Research di Charles Ray. È del 1986 e sembra parlarci di oggi. La Collezione è abituata a viaggiare. Mi ha insegnato a viaggiare, ospitata nei musei di Atene, Parigi, Quito, Berlino, Shangai.
2015. Emissary in the Squat of Gods, la personale di Ian Cheng, curata da Hans Ulrich Obrist, apre il 23 aprile a Torino. Possiamo sederci sulla grande pedana bianca e guardare la video proiezione a parete. È infinita. Se torniamo a rivederla, non sarà mai la stessa. Il video è un mondo, un ecosistema virtuale abitato da esseri, voci e suoni, animati da un algoritmo. Il lavoro è il primo capitolo di una trilogia, una co-produzione della Fondazione. Nel 2017 è stata presentata al MoMA di New York. Nel febbraio 2020, a Madrid, nelle sale storiche della Fundación Fernando de Castro, Emissaries ha inaugurato l’attività della Fundaciòn Sandretto Re Rebaudengo Madrid.
Ian Cheng è il nostro emissario dal futuro. Ci ha fatto sporgere sul futuro. È stata una vertigine. L’arte contemporanea ci allena alla complessità. L’intelligenza che riceviamo dagli artisti, dalle opere e dalle mostre, arricchita e restituita dai visitatori, ha tracciato il percorso di questi 25 anni. Da questo itinerario - condiviso giorno per giorno con ognuna delle persone che compongo il mio staff, alle quali va il mio grazie una ad una - proviamo oggi ad attingere l’energia per pensare, ripensare, figurarci, per quanto possibile, i cambiamenti del mondo che viene.
Torino, 6 aprile 2020

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo


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