Ripubblico qui il commento uscito ieri sul Corriere cartaceo (e non reperibile on line) a proposito del nuovo presidente del Teatro Stabile, Alessandro Bianchi (foto). I dati sul 2023 del Tst sono invece visibili a questo link.
Le logiche delle nomine sono ben note, e di conseguenza la decisione di Lo Russo di nominare Alessandro Bianchi alla presidenza dello Stabile non poteva non farmi pensare a un risarcimento per lo scippo della direzione del Museo del Cinema. La vicenda è nota, e risale al 2016: Bianchi aveva vinto un regolare bando per la direzione, ma venne stoppato senza tanti complimenti da Appendino & Co perché - dissero con mirabile improntitudine - "troppo vicino al pd". All'epoca, per i cinquestelle il pd era il grande Satana; oggi non si sa.
Alessandro Bianchi, che peraltro nel 2009 era stato chiamato al Maxxi di Roma dal ministro forzista Sandro Bondi, si beccò l'etichetta di "pidiota" e se ne fece una ragione, continuando altrove la sua carriera di manager della cultura fino alla direzione generale dell'Hangar Bicocca, impiego che è intenzionato a tenersi ben stretto dividendosi fra il lavoro a Milano e la presidenza a Torino (con un emolumento annuo di 36 mila euro più 270 euro a seduta).
Bianchi lo conosco fin dai suoi esordi alla Fondazione Sandretto nel lontano 2002, ma l'avevo un po' perso di vista. Di conseguenza l'altro ieri, quando ha incontrato i giornalisti per una prima presa di contatto in occasione della presentazione dei risultati operativi dello Stabile nel 2023, lo aspettavo al varco per capire l'aria che d'ora in poi tirerà allo Stabile.
Devo dire che la prima impressione è stata buona: anche ammesso che l'intento risarcitorio abbia influito sulla scelta di Lo Russo, per una sorta di eterogenesi dei fini il sindaco potrebbe aver fatto comunque la cosa giusta. Bianchi è senz'altro preparato, il suo master in organizzazione culturale e le esperienze in svariati e primari enti pubblici e privati ne garantiscono la competenza, e le sue prime dichiarazioni lasciano sperare in una collaborazione non competitiva con il direttore del Tst Filippo Fonsatti, un altro che di competenza ne ha da vendere. Sono due manager scafati, e le affinità sono molte: dall'attenzione ossessiva ai bilanci alla fiducia incondizionata nella direzione artistica di Valerio Binasco. Se non diventeranno due galli nel pollaio, potranno funzionare.
Intanto mi rassicura la cautela che entrambi manifestano alla prospettiva che lo Stabile si faccia in futuro carico della gestione del Teatro Nuovo nel rinnovato compound di To Expo. Intravvedono il bagno di sangue e mi paiono saggiamente intenzionati a starne alla larga, o quantomeno a pensarci molto, ma molto bene prima di gettarsi in un'impresa ad altissimo rischio. Moltiplicare i teatri non garantisce automaticamente la moltiplicazione del pubblico e dello sbigliettamento, ma la moltiplicazione dei costi sì: lezione che lo Stabile ha già duramente imparato quando si vide costretto a frettolose ritirate dal Vittoria, dall'Astra e infine dalla Cavallerizza.
Il bilancio florido, l'incremento del contributo statale, la soddisfazione del pubblico, anche di quello più giovane, e la conseguente crescita degli incassi (dai quattro milioni del 2019 ai cinque di quest'anno) sono oggi una confortante realtà; ma basterebbe un passo falso per polverizzare in un soffio anni di serio lavoro e di prudente amministrazione.
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