Eh sì, cari miei, c'è un fil rouge che collega le due storie che condenso in questo post: sono entrambe storie da "Chi l'ha visto?".
Sul Corriere di oggi racconto infatti il misterioso caso della breve (due mesi!) permanenza di Elena Usilla in Fondazione Torino Musei come responsabile della comunicazione e marketing: potete leggere l'articolo a questo link.
Qui invece ricopio l'articolo - uscito ieri sul Corriere e non disponibile on line - che racconta il mesto redde rationem di Exposed:
L'altra sera, al summit della “cabina di regia” che doveva fare un bilancio della prima edizione di Exposed, tirava una cert'aria di misurato ottimismo, tipo quando le becchi quattro a zero in casa ma l'allenatore dice che “la squadra ha risposto bene”. I promotori del festival “internazionale” della fotografia svoltosi all'insaputa della masse dal 2 maggio al 2 giugno - Camera di Commercio, Comune, Regione, Intesa e fondazioni bancarie - dopo un paio d'ore di private recriminazioni hanno dato il via libera alla pubblica assoluzione, tramite il rituale “comunicato stampa finale” che dopo un mesetto di reticente ritardo favoleggia inevitabili trionfi. Ma al netto dei contorsionismi lessicali (“alto profilo marcatamente internazionale... logica di sistema e di ottimizzazione delle risorse e delle competenze... confronto dinamico tra artisti e pubblico”) le 46 mila presenze dichiarate con bella generosità, se divise per 32 giorni e 23 sedi, paiono pochine. E poi c'è la frase chiave (“la prima edizione ha consentito di individuare i fattori positivi e gli interventi di miglioramento necessari”) che conferma a denti stretti l'imbarazzo per quella che, benevolmente, potremmo definire un'occasione mancata.
Detta con maggior brutalità, nel mondo reale pochi si sono accorti dell'esistenza di Exposed. All'estero forse soltanto qualche addetto ai lavori: lo conferma la rassegna stampa assai “local”. Né si sono viste frotte di visitatori accorrere da oltre Ticino. Manco i piemontesi – torinesi inclusi - sembrano aver colto l'importanza dell'evento. I più proprio non hanno notato che era in corso un evento.
Isolato passo falso? Beh, pure al Festival dell'Economia non si rischiava di venir schiacciati dalla folla... Certi “Grandi Eventi” putativi alla prova dei fatti non risultano né grandi, e neppure eventi: sono esperimenti di laboratorio generati non dall'humus creativo della città bensì da qualche potentato locale, senza valutare – o ignorando del tutto – le condizioni ambientali, il quadro generale, i delicati meccanismi che regolano determinati mondi.
Un Festival dell'Economia a Torino una settimana dopo il Festival dell'Economia per antonomasia, che da sempre si fa a Trento? Eddài... Un Festival di Fotografia a Torino praticamente in contemporanea a quello, radicato da un ventennio, di Reggio Emilia? Senza un nome di richiamo, né un'identità e una sede espositiva riconoscibili, una direzione artistica forte, una promozione adeguata? Ma che ci dice la testa?
La prima edizione di Exposed sconta le conseguenze di improvvisazione, supponenza, piccole rivalità e ansie di protagonismo. Un Grande Evento si costruisce invece da umili fondamenta, lasciando che ciascuno faccia il suo – il finanziatore finanzia, il direttore dirige - con idee chiare e competenza. Non sorge d'incanto per volontà di qualche capataz che vuole lasciare indelebile orma del suo transitorio potere.
Però, quando assisto a simili fiere della faciloneria, non riesco a comprendere il ruolo delle fondazioni bancarie. Com'è possibile che quegli accorti maneggiatori di patrimoni si lascino coinvolgere in imprese tanto improbabili? Che ancora accettino il ruolo di “bancomat della politica”? Scusatemi, care fondazioni: vi vengono a proporre una genialata senza capo né coda e voi pronte cacciate i soldi, senza fiatare?
Chi ha buon senso lo metta, diceva mia nonna. Continuo a sperare – benché gli ultimi malestri in Crt m'inducano a dubitarne – che il buon senso stia ancora di casa nelle nostre fondazioni bancarie. E allora, se un po' di buon senso gli è rimasto, lo usino: anche nell'interesse di coloro che non ce l'hanno. Prima di finanziare, valutino la fattibilità e la congruità dei progetti, e a fronte di patenti dissennatezze chiudano il bancomat.
Gli strumenti per giudicare li hanno. In seno al Consiglio d'indirizzo della Fondazione Crt c'è un'apposita commissione “arte e cultura”: il coodinatore è Giampiero Leo, l'immarcescibile highlander, e tra i componenti ritrovo l'imprenditrice e mecenate Roberta Ceretto, il cattedratico Paolo Luciano Garbarino, la direttrice artistica del Gran Paradiso Film Festival Luisa Vuillermoz, nonché gli ex assessori Elide Tisi e Claudio Lubatti. Tutt'altro che degli sprovveduti, e senz'altro in grado di valutare le effettive potenzialità – e utilità – di un progetto culturale. Altrettanto posso dire del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo: senza manco citare i vari docenti universitari, a certificarne la competenza in materia bastano i nomi del regista Davide Livermore e dell'ex direttrice dei Musei Reali Enrica Pagella.
Almeno chi di queste cose capisce metta una parola di saggezza per arginare l'improvvisazione che foraggia l'inutile a scapito di ciò che davvero utile è, azzoppando la Cultura per inseguire un inconsistente consenso.
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