Ambrogio Lorenzetti, "Allegoria del cattivo governo" |
Scusatemi, so che l'argomento vi esce
ormai dalle orecchie. Ma vorrei tornare con calma sulla macchinosa e stravagante trovata del non-ancora-presidente Bray (o di chi per esso) di
rinunciare a un direttore unico del futuro Salone del Libro, e di
creare ex novo una struttura complessa con una serie di “direttorini”
- o responsabili di area, o petali della margherita per dirla alla
Chiampa – capitanati da un coordinatore, o “caporedattore”, o
capo dei capi, o Napo Orso Capo, o come diavolo vorranno altrimenti
chiamarlo.
Qualcuno parla di "direttorio": un termine assai di moda, oggi, con gli esiti a tutti ben noti.
Qualcuno parla di "direttorio": un termine assai di moda, oggi, con gli esiti a tutti ben noti.
Verso il ministero
Il progetto è macchinoso e
stravagante, dicevo.
Macchinoso perché appesantirà il
processo decisionale: il Salone del futuro assume sempre più i
contorni del ministero. Il responsabile di area dovrà confrontarsi
con gli altri capi e con il capo dei capi; poi bisognerà sentire che
cosa ne pensa il Mibact, che cosa ha da dire il Miur; e vuoi che
Intesa non ci voglia mettere il peperone, dato che paga? E gli
editori? E gli enti locali? Ma figurarsi. Ogni decisione sarà molto
partecipata, non ne dubito. Anche comperare la carta igienica
diventerà una questione di democratica trasparenza.
Ma va bene così. Ciò che mi preoccupa
è la stravaganza.
Una struttura che funziona(va)
Il progetto è stravagante perché chi
lo ha concepito non ha la pur minima idea di come il Salone abbia
funzionato finora, sotto l'aspetto operativo. Riassumo quindi ad usum
Bray.
C'era un presidente della Fondazione per il Libro: Rolando Picchioni. Signore assoluto (anche troppo), timoniere dalla politica del Salone, con responsabilità anche gestionali e amministrative. Non esisterà più, con il nuovo Statuto: le responsabilità di quel ruolo saranno spartite fra il presidente e il segretario generale. Un sistema che il Salone ha già conosciuto in passato: poi le due figure vennero unificate. Ora si torna all'antico.
Al fianco del presidente c'era un direttore, unico e riconosciuto: Ernesto Ferrero. Autorevole e rispettato. Teneva i rapporti con gli editori e gli autori; dettava le linee guida della manifestazione; curava gli incontri più importanti; insomma, dava la propria impronta al Salone del Libro. Poi c'erano (e ancora ci sono, ma uso il passato a scopo preventivo) i diversi settori, o aree, e per ciascuno di essi c'era (e c'è tuttora, fino a nuove e magnifiche ristrutturazioni), un responsabile. Uno che se ne occupa, per dirla semplice. Marco Pautasso, il motore, materialmente costruisce il palinsesto e l'intero Salone Off; Maria Giulia Brizio e Daniela Icardi curano la scuola, i giovani, Bookstock, insomma la parte che oggi si chiama “educational”; a Giuseppe Culicchia è affidata “Officina”, il programma per gli editori indipendenti – perché c'è già, il famoso "programma per gli editori indipendenti", anche se i nuovi genii sembrano ignorarlo, forse perché non hanno avuto il tempo di leggersi un qualsiasi programma del Salone.
Al fianco del presidente c'era un direttore, unico e riconosciuto: Ernesto Ferrero. Autorevole e rispettato. Teneva i rapporti con gli editori e gli autori; dettava le linee guida della manifestazione; curava gli incontri più importanti; insomma, dava la propria impronta al Salone del Libro. Poi c'erano (e ancora ci sono, ma uso il passato a scopo preventivo) i diversi settori, o aree, e per ciascuno di essi c'era (e c'è tuttora, fino a nuove e magnifiche ristrutturazioni), un responsabile. Uno che se ne occupa, per dirla semplice. Marco Pautasso, il motore, materialmente costruisce il palinsesto e l'intero Salone Off; Maria Giulia Brizio e Daniela Icardi curano la scuola, i giovani, Bookstock, insomma la parte che oggi si chiama “educational”; a Giuseppe Culicchia è affidata “Officina”, il programma per gli editori indipendenti – perché c'è già, il famoso "programma per gli editori indipendenti", anche se i nuovi genii sembrano ignorarlo, forse perché non hanno avuto il tempo di leggersi un qualsiasi programma del Salone.
Potrei continuare, ma non voglio
tediare i lettori che, al contrario di Bray, queste cose già le
sanno: e comunque, se vi interessa approfondire, andate a leggere
l'organigramma riportato nel sito.
Stessi strapuntini, nuovi culi
Non è stata quella struttura a causare
la crisi e il crollo del “vecchio” Salone. E' stata messa
duramente in crisi da un anno di sconnessa presidenza Milella; però
ha retto, e ha portato a casa anche in questo 2016 un'edizione
all'onor del mondo.
La rovina del Salone è invece il
frutto perverso delle ingerenze e delle inadempienze della politica;
di una successione al vertice malata, autolesionista e devastante; di
maneggi economici e patti scellerati con Gl.
Le cause del tracollo sono molte, i responsabili tanti e bene individuabili. Ma tra i responsabili non
c'è di sicuro la struttura; alla quale va il merito di aver
continuato a lavorare seriamente pur in tempi calamitosi.
E adesso arriva questo ex ministro che
siede al vertice del carrozzone Treccani, e che a quanto si evince
dalle sue prime mosse nulla sa del Salone e degli uomini e delle
donne che lo hanno fatto vivere nonostante tutto e tutti. E
pontifica, affermando in sostanza che bisogna cambiare proprio
l'unica cosa che funziona: la struttura.
Cambiare come? Alla Gattopardo,
ovviamente: cambiare tutto perché tutto resti come prima, salvo i
culi di chi siede su poltrone e strapuntini. E' la famosa formula
Italia: stessi strapuntini, nuovi culi. Culi amici.
Come nasce una congiura di palazzo
Goya, "Il sonno della ragione genera mostri" |
Ma la genialata della "direzione collegiale" ha l'incommensurabile pregio di appagare democristianamente le aspettative non di uno
(colui che verrebbe nominato direttore) ma di molti (i “responsabili
di area”). E poi oggi fa figo, parlare di direzione collegiale:
dà un profumo di democrazia, partecipazione, responsabilità
diffusa, che tanto piace alla gggente.
Purtroppo, però, un Salone del
Libro non è una repubblica democratica. Non funziona così. Non
funziona così nemmeno nei giornali, alla cui struttura Bray sembra
ispirarsi. Nei giornali, certo, c'è una catena di comando, come in
ogni struttura complessa: ci sono i redattori e i capiservizio e i
capiredattori, c'è il confronto delle idee eccetera eccetera. Ma
attenzione: alla fine c'è un direttore che decide. E la sua parola è
legge.
Se al Salone si rinuncia ad affermare
anche formalmente l'unicità della direzione, ciascuno dei
“responsabili di area” sarà portato a considerarsi in cuor suo
un “direttorino”, pronto a lottare per prevalere sugli altri, e
magari anche sull'inane coordinatore. La rinuncia al direttore unico,
sostituito dall'ambigua figura del “coordinatore”, consente
opacità ed equivoci, lascia spazio alle ambizioni e ai rodimenti
personali, autorizza insubordinazioni e contrasti interni. Insomma, è
il brodo di coltura dell'anarchia e delle congiure di palazzo.
Fughe di notizie e lotte nel fango
Già ci siamo, alle congiure di
palazzo. Certe fughe di notizie, ad esempio, sono proprio quello che
sembrano: manovre per bruciare questo o quel concorrente. Stiamo andando verso la meta predestinata degli stolti. La
prolungata inazione, lo stiracchiamento delle decisioni, le ambiguità
di questi mesi, le parole vuote e le azioni insensate hanno scatenato
la Bestia dell'Apocalisse.
Fu così, si parva licet, che l'Impero
Romano si sfasciò: con la moltiplicazione degli Augusti e dei Cesari
che si scontravano in battaglia, mentre i barbari facevano
il comodo loro.
Segnatevelo, a futura memoria: quando
si lotta nel fango non prevalgono i migliori, ma i più furbi. E
certo, la furbizia in questo paese è una virtù. Ma non salva i
Saloni.
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