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TFF, LA MIGLIORE DELLE INAUGURAZIONI POSSIBILI

Il direttore Emanuela Martini e la madrina Lucia Mascino
Quella di ieri è stata la migliore serata inaugurale del Festival almeno dai tempi di Virzì che ci faceva scassare dalle risate. Esentati dai discorsetti di sindaci e assessori; salamelecchi ridotti al minimo indispensabile; una madrina, Lucia Mascino, che non tenta di fare la fenomena e copre il ruolo con sobria emozione e definisce - in perfetta sintesi - il Tff  "un festival libero ed eclettico" e passa la parola a Emanuela Martini chiamandola "il direttore del Torino Film Festival". Serata di gloria pure per il buon senso lessicale, insomma: subito dopo il neopresidente del Museo del Cinema Sergio Toffetti ringrazia "il sindaco di Torino Chiara Appendino e l'assessore alla Cultura della Regione Piemonte Antonella Parigi". Toffetti fa anche di meglio: limita la citazione dei politici ai più alti in grado dei due enti, sorvola sulla presenza in sala a scopo ornamentale di un paio d'altri assessori comunali, e saluta invece - segnale di gratitudine insolito nella Città Smemorata - Fiorenzo Alfieri che da assessore alla Gioventù di Novelli fece nascere l'allora Cinema Giovani. E lì Toffetti si cava la soddisfazione di ricordare che nell'82 lui era "uno del gruppo che fa la prima edizione del Festival; alla seconda edizione mi avevano già cacciato per insubordinazione". Com'è già quella cosa di Venditti su certi amori che fanno dei giri immensi e poi ritornano?
Anche il "gala" alla Mole, dopo la proiezione del film d'apertura, è stato d'apprezzabile understatement. Io ho girellato un po' nell'Aula del Tempio dove - fra sobrie tartine e autarchico Asti Secco - Emanuela Martini faceva gli onori di casa alla contenuta folla di glorie cinematografiche glocal, giornalisti, gente del festival, direttori degli altri festival, imbucati assortiti e ridotte autorità: del Comune ho visto Leon, Sacco e un consigliere di maggioranza; della Regione ho avvistato solo il consigliere Cassiani - l'Antonellina se l'era filata subito dopo il film.
La ciccia però stava al piano di sotto, alla caffetteria di Eataly, dove avevano concentrato presidenti vari e in genere quelli che contano: difatti ci ho trovato il presidente di Film Commission Damilano, il presidente dello Stabile Vallarino Gancia, la Patrizietta Sandretto eccetera eccetera eccetera. 
Jason Reitman, il regista del film d'apertura, era di sopra, nell'Aula del Tempio, al gala allargato: nessuno gli riservava particolari attenzioni, ma aveva lo stesso l'aria molto felice perché stava nel cuore del Museo del Cinema che lui, entusiasta neofita di Torino, ha definito "gorgeous".
Il suo film, "The Front Runner", a me è piaciuto davvero tanto: racconta la storia della catastrofe politico-sessuale di Gary Hart, l'uomo che nell'88 si giocò la candidatura alla Casa Bianca per quello per cui gli uomini spesso sono disposti a giocarsi qualsiasi cosa. Il film mi ha ricordato "Tutti gli uomini del presidente", ma senza i giornalisti buoni e il Nixon cattivo; in "The Front Runner" ci sono soltanto piccoli uomini un po' buoni e un po' cattivi che tentano di sfangarsela in un mondo di merda. Toffetti - a conferma che le cose bisogna sempre farsele spiegare da chi le sa - mi ha detto: "Nelle scuole di cinema in America vedono i film di Francesco Rosi; invece da noi vedono soltanto Tarantino...". E questa mi pare una spiegazione definitiva. 
Io - Marvel dipendente - sulle prime ho faticato ad accettare il fatto che Wolverine si candidasse alla presidenza degli Stati Uniti: ma Hugh Jackman è talmente bravo che dopo meno di mezz'ora ho smesso di chiedermi quando avrebbe tirato fuori gli artigli di adamantio per affettare i suoi nemici. E mi sono goduto un gran film. 

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