Gabriele Vacis e Marco Paolini con i giovani attori palestinesi durante le prove |
Se nei prossimi giorni vi va di andare
a teatro, andate alle Fonderie Limone; ma fatelo presto, andateci entro il 10 aprile, finché è in scena “Amleto a Gerusalemme”. Io non sono un critico teatrale,
e spesso a teatro m'addormento. Resto sveglio quando c'è
qualcosa che vale; oppure quando c'è Shakespeare, che vale sempre. A parte un certo “Macbeth” che mi sono beccato anni fa e
che ancora ricordo con dolore.
Beh, l'altra sera alle Fonderie Limone
non mi sono addormentato. Non potevo. Stavo assistendo a uno spettacolo fuori da ogni ordinario teatrale. Era bello. Commovente. Appassionante.
Fate voi.
“Amleto a Gerusalemme” è un lavoro
di Gabriele Vacis, e ammetto che in genere sono propenso a considerare belli i lavori di Gabriele Vacis. Almeno, a me piacciono. Però questo di più.
Poi sul palco c'è
Marco Paolini, e anche lì: ti voglio vedere, addormentarti quando
sul palco c'è Marco Paolini. Se ti addormenti, hai un problema tu.
Ma grosso grosso.
E comunque la cosa straordinaria di
“Amleto a Gerusalemme” non sono le firme di Gabriele Vacis
e Marco Paolini. Sono gli attori. Ragazzi di Gerusalemme. Che hanno
partecipato a un seminario teatrale che Marco Paolini ha tenuto a
Gerusalemme. Loro sono palestinesi, e ce n'è uno che non è di
Gerusalemme ma di Hebron, e per andare al seminario teatrale a
Gerusalemme passava nei tunnel sotterranei. Vita difficile, a
Gerusalemme. Difatti c'è un altro dei ragazzi, figlio di un armeno e una palestinese che
vivevano in California e sono tornati a Gerusalemme perché alla
mamma non andava di vivere in California; così lui è nato a
Gerusalemme e non in California, e nascendo lì s'è fumato il passaporto americano; e lui racconta questa
storia durante lo spettacolo ed è chiaro che ancora non l'ha
perdonata, alla mamma.
Vabbé, adesso non vi dico altro dello
spettacolo e di com'è nato, anche se è una storia fantastica: la potete leggere qui. Voi andate a vederlo. La cosa più
straordinaria è che ti rivela una cosa molto
ordinaria e proprio per questo straordinaria. Una cosa molto ovvia, che peràò facciamo fatica a vedere, nel tempo sbandato e terribile che ci è toccato: quei ragazzi di
Gerusalemme sono come noi. Sono i nostri figli. Sbruffoni e ingenui,
generosi e spaventati, rabbiosi e sognatori come qualsiasi ragazzo
di vent'anni. Con la differenza che vivono una vita di merda in un
posto dove anche le cose più semplici sono molto complicate. Però
sono ragazzi come i nostri. Non sono diversi, fanatici, integralisti,
terroristi o altri isti. E' una cosa molto logica, lo sappiamo
benissimo, ma qui li vedi, ascolti le loro storie così simili a
quelle dei nostri figli (a parte la vita di merda in un posto dove le
cose più semplici sono molto complicate), e non so, a me ha fatto
un gran bene. E così spero di voi.
E lasciatemi dire ancora che
Shakespeare aiuta. Sentire un ragazzo di Gerusalemme
pronunciare i versi dell'Amleto ti sbatte sotto gli
occhi e nel cuore una semplice e rivoluzionaria verità: prima di
tutto ciò che crediamo di essere e prima di tutto ciò che il mondo
ci impone di essere, noi siamo umani. E le parole dei poeti sono l'unica alternativa seria al filo del pugnale, per sfuggire alle brutture del mondo. Ed è un'alternativa credibile perché le parole dei poeti sono
state scritte per noi. Per ciascuno di noi, e per tutti noi. E almeno
su questo punto fermo non dovrebbero esserci discussioni e da questo
punto fermo potremmo cominciare a discutere.
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