La finestra sul futuro. Uno dei membri del Comitato d'Indirizzo spiega al nuovo direttore che tipo di Salone dovrà fare |
Posso persino credere che davvero i biglietti staccati siano stati più o meno quelli dell'anno passato: 126 mila contro 122 mila, ha detto Milella sventolando i tabulati dei biglietti venduti. Per la precisione, nel 2015 i paganti furono 106 mila, come si scoprì dalla lettura del prospetto pubblicato sul sito della Fondazione, il resto omaggi. Ieri Milella non ha precisato se i 126 mila del 2016 comprendono gli omaggi, ma pare di sì: i paganti sarebbero 118 mila.
Ma preferisco fidarmi del direttore uscente Ernesto Ferrero e del responsabile di "Officina" Giuseppe Culicchia quando affermano con orgoglio la soddisfazione degli editori; perché quella soddisfazione è la ragione prima e l'unico autentico termometro della salute del Salone. Per questo motivo più che per ogni altro sono convinto che ce l'abbia fatta. Anche se non sarei disposto a giurare sulla verità rappresentata dai numeri di Giovanna Milella. Più che altro perché sono parziali: non danno l'esatto quadro del presenze al Salone, che lo scorso anno furono - dato definitivo al netto dei taroccamenti - 276 mila, considerando ogni ingresso che, ovviamente, può essere plurimo con abbonamenti e tessere.
Però non ha importanza. Considerate le condizioni, il Salone 2016 è comunque un miracolo, e tale resterebbe anche se avesse perduto il 20 per cento del pubblico.
La lezione di Ernesto Ferrero
Adesso, però, viene la parte davvero difficile. Andare avanti.Difficile perché, passato il dramma, sono di nuovo tutti apprendisti stregoni, tutti hanno la loro ricetta infallibile, e tutti ripetono che il Salone deve cambiare.
Il direttore se ne va. Ieri Ernesto Ferrero s'è congedato tra gli applausi |
L'unica frase davvero sensata l'ha
pronunciata Ernesto Ferrero. Il solo che non avrà più voce in
capitolo. “Questa necessità assoluta del cambiamento per il
cambiamento stento a capirla – ha detto. - La formula del Salone agli editori va benissimo, e difatti sono già molto preoccupati al
pensiero che vogliamo cambiarla. Io dico a chi verrà dopo di
riflettere bene, di studiare i dossier, di valutare ogni aspetto; e
di non decidere in un'ora, come si è fatto in passato”. Ferrero è uscito dai giochi subissato di applausi e ringraziamenti, e quindi può permettersi di sfanculare con perfida classe gli
apprendisti stregoni. Quegli scienziati della mutua che un anno fa
partorirono la bella pensata di sostituire in un battibaleno lui e
Picchioni con Giulia Cogoli e Giovanna Milella. La coppia peggio
assortita della storia. Con i disastri che ne seguirono, portando il
Salone sull'orlo del baratro.
Ma gli apprendisti stregoni adesso sono
di nuovo in cattedra, perché la regola è sempre quella: chi sa fa
(se lo lasciano fare) e chi non sa decide.
Nell'eterna vexata quaestio se si debba
prima scegliere il carro, o prima i buoi, un anno fa gli apprendisti
stregoni avevano optato per i buoi. Resi guardinghi dalla dura lezione, ora propendono per il carro. E difatti dichiarano: “Prima dobbiamo capire quale Salone vogliamo, come dovrà essere, in che direzione dovrà andare, come dovrà cambiare – sì, cambiare, dolcemente senza strappi al motore... - e poi, soltanto poi, si sceglierà il nuovo direttore”.
La grande idea del borgomastro di Koenisberg
Il volonteroso prof di Koenisberg |
Con un illustre precedente storico.
E' noto infatti che nella seconda metà del Settecento il borgomastro di Koenisberg decise che, per dare lustro alla città, era necessario fondare un nuovo, possente e rivoluzionario sistema filosofico.
Il bravo borgomastro si consultò con alcuni amici suoi - il birraio di Preston, Fanfan La Tulipe e il Gobbo di Notre Dame - e i quattro eletti partorirono un'intuizione destinata a fare molta strada: mettere su una bella critica della ragion pura, magari con un paio di sequel a proposito della ragion pratica e del giudizio.
Trovata l'idea, il più era fatto: al borgomastro non restò che scovare un oscuro e volonteroso professore d'università, tale Immanuel Kant, incaricarlo di scrivere i libri, et voilà, cambiarono i destini del pensiero occidentale e del turismo a Koenisberg.
Dal birraio di Preston al manager bancario
La Torino del 2016 non è la Koenisberg del tardo Settecento: è assai meglio.Luigi Ricci (Il birraio di Preston) |
Michele Coppola con il presidente del Circolo, Beatrice |
Aggiungeteci le Fondazioni bancarie, che dicono sempre la loro, e il consesso dei saggi è al completo.
Qualcuno potrebbe obiettare che, nella
variegata compagnia, gli unici a possedere una certa esperienza in
materia di libri (e non solo per averne sfogliato qualcuno) sono
Antonella Parigi, che nella sua vita precedente dirigeva (bene) il
Circolo dei Lettori; e Roberto Moisio che addirittura ha scritto un
libro, e quel ch'è peggio proprio sulla storia del Salone. Ciò
costituisce, ammettiamolo pure senza ipocrisia, un grave handicap; e
forse sarebbe bene che Parigi e Moisio si astenessero per non
influenzare con la loro fastidiosa competenza la libera espressione della feconda e sbarazzina creatività degli altri maîtres-à-penser.
Trovata l'idea, cerchiamo il manovale
Quelli trarran le sorti. E quando le avranno tratte, e avranno concepito il possente disegno dell'innovativo Salone che verrà, faranno come il borgomastro di Koenisberg: cercheranno il manovale incaricato di concretizzare il parto di tante menti. Il nuovo direttore.
Adesso, se permettete, vorrei giocare
anch'io. Ho le carte in regola: non ho mai scritto un libro, non sono
un editore, non ho una cattedra universitaria, non ho mai diretto una
fiera o un salone (e neppure una bocciofila), e non sono un genio. Quindi, credo di potere a buon diritto dire la mia su chi dovrebbe essere il nuovo direttore del Salone del Libro.
Qui, rispetto a Koenisberg, Torino
parte svantaggiata perché non abbiamo sottomano Immanuel Kant.
Dunque non si può scegliere a colpo sicuro, e il toto-nomi già
impazza: la lista dei papabili è spessa all'incirca come l'elenco
telefonico della provincia di Oristano. Mi limito a quelli che
più mi ispirano.
Procedo in ordine alfabetico:
Giulia Cogoli. A volte ritornano |
Prove di dialogo. Culicchia (dx) parla con il boss della Gl Events |
Giuseppe Culicchia. E' la mia prima
scelta. E non perché è un amico, ma per una serie di considerazioni
sensate. E' uno scrittore italiano affermato; conosce Torino come le
sue tasche, la ama e ne è riamato; collabora da tempo con il Salone,
con compiti organizzativi importanti e sempre assolti nel migliore
dei modi (la sua "Officina" è un gioiellino), ed è pratico della struttura; ha buoni rapporti
interni; è intelligente, ha idee e le sa concretizzare. E poi ha
sempre rifiutato di recensire i libri di altri scrittori italiani,
tenendosi fuori dalla ragnatela perversa di amicizie e inimicizie che
azzopperebbe qualsiasi altro scrittore italiano che dovesse diventare
direttore del Salone del Libro. Insomma: il candidato ideale. Quindi
ha scarsissime probabilità di venire preso in considerazione dal
borgomastro di Koenisberg e dal resto della compagnia.
Marco Pautasso. L'altro candidato
perfetto. Da anni, la macchina del Salone è lui. Peccato che i rapporti con Milella non siano idilliaci. Sarebbe il direttore esecutivo per eccellenza. Come direttore artistico manca di appeal, lo
ammetto: bisognerebbe affiancargli qualche fenomeno che faccia da
specchietto per le allodole a beneficio delle masse e dei
giornalisti. Un po' come Nanni Moretti o Virzì quando diressero il
Torino Film Festival: Emanuela Martini si smazzava il lavoro mentre il
regista di grido occupava le prime pagine con le sue piacevolezze. E tutti erano felici. Non mi sembra un problema insormontabile: la scena letteraria
nazionale pullula di fenomeni disoccupati e scintillanti quanto basta
per imbonire i media. Controindicazione: l'eccesso di idoneità al ruolo mette fuori gioco pure Pautasso.
Le frequentazioni pop di Maurizia Rebola |
Maurizia Rebola. Brava è brava. Colta e pop, come si richiede oggi. Ma non è matta; non abbastanza, almeno, da lasciare il Circolo dei Lettori, dove si trova benissimo e va d'amore e d'accordo con il presidente Luca Beatrice, per infilarsi nel ginepraio del Salone. A sucarsi ben altra presidenza. Però, se non fosse tramontata o tornasse d'attualità l'ipotesi di fusione Salone-Circolo, sarebbe la persona giusta: ha lavorato a lungo al Salone, al Circolo sta facendo bene, e sarebbe il trait d'union perfetto fra due realtà difficili da conciliare. L'ipotesi è remota: quello che solo pochi mesi fa sembrava un progetto ineludibile, oggi è finito nel dimenticatoio. Qualcosa potrebbe muoversi se Circolo e Salone si ritrovassero sotto lo stesso tetto a Palazzo Cisterna, ma anche lì le cose vanno per le lunghe e le prospettive si sfarinano. Quando la partita del Salone sarà chiusa, è probabile però che qualcosa succeda al Circolo: dicono che il Chiampa abbia delle ideuzze in merito. Diciamo così: se Maurizia Rebola, contro ogni previsione, diventasse subito direttrice del Salone del Libro, per il Circolo sarebbe un brutto segnale.
Alberto Sinigaglia. E' il candidato per tutte le stagioni. Giornalista culturale di lungo corso, oggi presidente dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte, è noto per le sue doti diplomatiche. Affabile, colto e assai compìto, sconta però l'età non verdissima. Lo inserisco tra i papabili perché rappresenterebbe la classica soluzione-ponte, casomai si dovesse creare una situazione di stallo tra gli apprendisti stregoni.
Segue il gruppo dei candidati eterni, quelli di cui già si parlava un anno fa, Vittorio Bo in primis. Mantengono le stesse chance. Poche. Ma il big game è appena cominciato.
Analisi"monster", veramente " full". E non lo dico per una sorta di adulazione.
RispondiEliminaTrovo molto debole la posizione dell'autore di Un romanzo di carta, a meno di voli pindarici dell'ultima ora.
Inoltre, credo che esista una variabile sostanziale: al di là dell'esistenza di un" sistema Torino" che alcuni sostengono, la conferma o meno dell'attuale Sindaco potrebbe aprire scenari inimagginabili.
inimmaginabili: errore di battitura!
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