Un'installazione di Ali Cherri esposta al Museo Egizio |
E' evidente che è di grande attualità una mostra nella quale artisti contemporanei riflettono sul tema della distruzione e della perdita, e d'altra parte della conservazione e della protezione, del patrimonio artistico. E non pensate soltanto ai bruti dell'Isis che spianano col bulldozer i resti del palazzo di Sennacherib a Ninive. Gli oltraggi sono infiniti, e d'infinite nature: compresa la musealizzazione decontestualizzante, compresa l'archeologia predatoria d'epoca e istinto coloniale, compresi i pregiudizi culturali e ideologici.
Ma non aspettatevi una mostra a tesi, didascalica, un po' saputella e un po' moraleggiante, che si mette in cattedra e t'insegna quanto sia bestia l'uomo. Quello, già si sapeva. "Anche le statue muoiono" è una riflessione. Che usa il linguaggio della contemporaneità. Arte contemporanea che si confronta e si incontra con le testimonianze - e le macerie - del passato.
La ragion d'essere della mostra sta nelle diverse e complementari nature delle quattro istituzioni che l'hanno concepita e organizzata: due musei - l'Egizio e i Musei Reali - che conservano e raccontano l'antico; un centro universitario, il Crast, oggi impegnato principalmente nella ricerca, lo studio e la tutela del pericolante patrimonio culturale iracheno; e una fondazione, la Sandretto, che esplora da oltre vent'anni la contemporaneità.
Ma non sono queste pur validissime ragioni a convincermi della stringente "necessità" della mostra che si è aperta ieri al Museo Egizio, ai Musei Reali e alla Fondazione Sandretto. "Anche le statue muoiono" è necessaria perché è la risposta concreta a un'emergenza che ci investe direttamente, qui e ora.
Le "statue" - intese come metafora del patrimonio artistico e culturale, nostro retaggio di esseri senzienti - non muoiono soltanto sotto le ruspe di miliziani fanatici in contrade lontane. Muoiono anche attorno a noi, ogni giorno. Lentamente muoiono per disinteresse, abbandono, superficialità, ignoranza.
L'esaurimento delle risorse pubbliche, l'inadeguatezza e la supponenza dei governanti, la latitanza e la disattenzione della società, hanno conseguenze gravi e infinite: non ultimo il progressivo, triste abbandono di un "patrimonio" che pensavamo ormai acquisito e irrinunciabile. Le "statue" che stanno morendo tutt'attorno a noi sono i musei senza soldi, le istituzioni in declino, le biblioteche trascurate, la scuola svilita, il lavoro culturale disprezzato e insolentito dalle prepotenze del potere.
"Anche le statue muoiono" non è soltanto una splendida mostra che va assolutamente vista (in tutte e tre le sedi, mi raccomando), ma anche e soprattutto una risposta dignitosa e civile a quelle minacce. Quattro istituzioni scelgono di non abdicare al proprio ruolo, e si coalizzano per fronteggiare i tempi grami con le sole armi che possiedono: la visione, la preparazione, la competenza.
Spiace ricorrere a un termine abusato, ma questo è davvero un esempio di resilienza, di adattamento virtuoso alle circostanze avverse. Ciò che un tempo, quando eravamo serii, definivamo "far di necessità virtù".
Quanto ai soldi, ciascuno ha pagato la sua mostra, e i costi sono di gran lunga inferiori ai risultati. Per la sua parte l'Egizio ha speso 96 mila euro, di cui 40 mila offerti da Intesa San Paolo e il resto di fondi propri: come si sa, l'Egizio si auto-finanzia grazie agli incassi della biglietteria. I Musei Reali hanno speso 40 mila euro, la Fondazione Sandretto 56.300. Tre sedi, un unico progetto, per dare vita a una mostra importante, di respiro e di prospettive, ma di costo contenuto; una mostra che "mette in rete" - per usare il linguaggio di lorsignori - tre musei della città, e ne "valorizza" le collezioni, con una "produzione propria" d'eccellenza. Insomma, proprio ciò che lorsignori desiderano: "Il dialogo tra le istituzioni museali della città per mettere a fattor comune le collezioni, le idee e le capacità progettuali". Cito testualmente una Leon d'annata 2016.
Le amministrazioni locali non ci hanno messo quattrini, in questa mostra. Già mi vedo i furbetti che alla prima occasione faranno gli splendidi raccontando che è tutta farina del loro sacco: ma almeno ieri, alla conferenza stampa, dignitosamente non si sono appalesati, meritandosi la mia gratitudine.
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