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DA LOVERS AL TJF, FESTIVAL A PIOGGIA

E' questione di visibilità: la Mole con il logo del Tjf sovrasta
il cinema Massimo che ospita le proiezioni di Lovers Festival
Si va di festival in festival: Lovers finisce domenica, e oggi già comincia il Tjf, e d'accordo che cinema e jazz non sono necessariamente concorrenziali, ma domani pomeriggio, per dire, mi tocca di scegliere se andare al Massimo per l'incontro con Helmut Berger - confesso la curiosità un po' morbosa i rivedere il bello e dannato di Visconti mezzo secolo dopo "La caduta degli dei"... - oppure dirigere le mie stanche ossa verso il Piccolo Regio per ascoltare l'ICP Trio come mi ha caldamente raccomandato il direttore Licalzi. 

Il buon lavoro di Licalzi

Giorgio Licalzi l'ho incrociato ieri sera uscendo per l'appunto dalla serata di Lovers al Massimo: mi è sembrato stanco ma contento, mi dice d'aver lavorato duro per un anno e di essere soddisfatto del risultato, e in effetti Licalzi è una persona seria e questa edizione del suo Tjf ha un programma solido e vario, con alcune eccellenze, molti nomi interessanti e non banali, e l'ormai consueta apertura ai territori della sperimentazione. Mi sembra che anche sul piano della visibilità extracittadina il Festival stia guadagnando posizioni: in questi giorni ho letto articoli per nulla scontati sui quotidiani non torinesi. Scontato - e un cicinin stucchevole - è invece l'entusiasmo dei coboldi comunali adesso che, dopo averlo ferocemente osteggiato, da un paio d'anni hanno adottato il Tjf come cosa loro, un fiore all'occhiello dell'amministrazione. E' lo stesso slancio autocelebrativo che tanto mi infastidiva ai tempi del festival di Fassino.
Ed è altrettanto scontato - oggi come allora - che gli altri, quelli che stanno all'opposizione, prendano la palla al balzo per andare in culo al sindaco di turno: ieri c'erano le intemerate di Appendino, adesso quelle di Ricca.

Ma va bene anche così: per fortuna la musica è di tutti. E la suonano i musicisti, non i politicanti.

Sì, ma il ROI...

Così la penso io. Però, per amore della coerenza, sono tenuto a citare le parole pronunciate dall'assessore Leon in Consiglio comunale il 17 ottobre 2016; parole con le quali condannava senza appello il Torino Jazz Festival (quello di Fassino, s'intende) imputandogli la "rilevanza locale" e una "scarsa capacità di attrarre pubblico da fuori". Disse testualmente Maiunagioia: "L’indagine sul pubblico realizzata dall’Osservatorio Culturale del Piemonte e mai comunicata all’esterno mette in luce la rilevanza locale dell’evento e una scarsa capacità di attrarre pubblico da fuori. La partecipazione è tra 75% e l’85% rappresentata da pubblico locale e solo il 18% dei partecipanti ha scelto di visitare Torino per il festival, determinando un ROI (ritorno economico dell'investimento) corrispondente alle spese per realizzarlo".
A meno che quel giorno in Consiglio comunale si parlasse tanto per dare aria ai denti, io deduco da quella dichiarazione che l'amministrazione civica considera fondamentale il ritorno economico del Festival - insomma, quanto ci costa e quanto ci rende. Ieri sera, chiacchierando con Licalzi, ci siamo trovati d'accordo sul fatto che un evento artistico dovrebbe essere valutato con criteri che non siano soltanto quello bottegaio del "quanto rende". Ma, visto che lorsignori ci tengono tanto, mi auguro per la loro soddisfazione che il nuovo Torino Jazz Festival attiri una marea di pubblico "da fuori" e produca di conseguenza un ROI altissimo per la città in termini di fatturato turistico. E mi auguro pure che lorsignori ce lo facciano sapere. Presto e senza inganni. Com'è loro preciso dovere. Giusto per essere precisini. Io non ho ancora visto il ROI dell'edizione 2018: qualora mi fosse sfuggito, sarò grato a lorsignori se vorranno ricordarmelo. Grazie.

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