Un suggestivo scorcio di Berlin, New Hampshire |
Ora, esistono nel mondo 71 città chiamate Berlin, di cui 26 negli Usa, 17 in Colombia, e solo 5 in Europa di cui 2 in Germania. Chissà a quale Berlino si riferiva la consigliera Ciampolini parlando di "Torino, la Berlino d'Europa", essendo Torino (almeno, la nostra Torino e non la Torino dell'Illinois) in Europa. Io propendo per Berlin, graziosa località della contea di Coos nel New Hampshire: novemila abitanti, civettuole casette in legno "old America", fitte foreste di conifere, e - stando al racconto di Stephen King - l'orgoglio di essere la città natale di Jack Torrance, il virtuoso dell'ascia di "Shining"
In effetti, Torino me la vedo bene come Berlin d'Europa.
Ok, tutta quella roba lì. Negli anni ne ho sentiti a decine, di grandi progetti per "coinvolgere le periferie" (anche se tutti i propugnatori di grandi progetti giuravano di non amare il termine "periferie") e siamo ancora qui a parlare di "coinvolgere le periferie" nello sviluppo . Ho l'impressione che alcune periferie si accontenterebbero di non venire coinvolte di continuo in fatti di cronaca nera. Per dire, io abito in periferia, mi trovo benissimo, non ho nessuna voglia di andare al teatrino di quartiere, se mi colgono uzzoli culturali ho mille posti dove andare, dal Regio all'Egizio al Carignano, che stanno in centro e così intanto mi faccio anche due vasche. E se il trasporto pubblico non fosse nello stato che è, per chi abita in certe periferie sarebbe anche più facile andarci, in centro.
Aggiungerei inoltre, sommessamente, che la famosa "scena underground" della Torino anni Novanta è nata in centro (i Murazzi erano in centro, lo Studio 2 era in centro, pure Hiroshima all'epoca era in centro) perché quei posti attraevano tutti, anche chi in centro non ci abitava, e proprio uscendo dal recinto sotto casa la gente poteva incontrarsi, scambiare idee, confrontare esperienze. Era una situazione spontanea, non pianificata da un assessore o da un consiglio di Circoscrizione che ti spiegava dove e come e quando si "faceva cultura". Ma vabbè, qui il discorso diventa lungo e complicato, magari ne parliamo un'altra volta (aggiornamento: ne parlo nell'intervista alla Purchia che potete leggere a questo link).
Nell'attesa che le Circoscrizioni diventino otto piccole Atene, però, io ieri mi sono illuminato d'immenso quando Capatosta ha affrontato il tema delle grandi istituzioni e delle grandi manifestazioni culturali. "Non c'è nulla da inventare, chi ci ha preceduti ha inventato tutto, noi dobbiamo mantenere, migliorare, far crescere le nostre eccellenze" è un'affermazione tanto umile quanto realistica. Eppure mai m'era capitato di ascoltarla dalla bocca di un neo-assessore alla Cultura. In genere arrivano con la scienza in tasca, convinti che tutti quelli di prima erano coglioni e che loro cambieranno l'universo mondo: ambizione anche fondata in un Perone o in un Alfieri, che in effetti hanno cambiato, se non l'universo mondo, di sicuro la città; molto meno nei loro successori. E così abbiamo sprecato anni e soldi a escogitare stravaganti minchiate e genialate da fiera di paese. Mi sembra giusto lasciar perdere.
Parlando invece di cose serie, alcuni propositi purchieschi mi paiono più che logici: tipo alternare le due Biennali, Democrazia e Tecnologia, così da averne una ogni anno. Meno condivisibili altri: sulla carta avrebbe anche senso coordinare il calendario degli eventi così da creare un "palinsesto" più ordinato, ma i tentativi maldestri del passato - ricordate quando abbinarono il Jazz Festival al Salone del Libro? - mi rendono assai sospettoso. Ok, l'idea di riunire e coordinare più rassegne per creare un "superfestival" è affascinante: Purchia immagina ad esempio un "SuperMito" che includa teatro e danza, un festival "pari ad Avignone o al Festival dei Due Mondi". Peccato che l'effetto-minestrone sia sempre in agguato.
In compenso mi rassicura l'impegno a farla finita una volta per tutte con quelle ridicole pseudo-manifestazioni che ci hanno martirizzato gli attributi (e le casse pubbliche) per anni: quelle che Purchia ha definito "polvere di stelle", baracconi raffazzonati alla boia d'un giuda per raggranellare consensi fra gli sfigati e conquistare una manciata di titoli sui giornali a lode e gloria dell'assessore di turno. Sono certo che nessuno ne sentirà la mancanza.
Non so: almeno nelle intenzioni, almeno al momento, l'assessore mi sembra animata da un apprezzabile pragmatismo. Perlomeno, non mi son dovuto sucare gli sproloqui pieni di parole in libertà e aperture di tavoli e "stiamo lavorando" che tanto a lungo m'hanno ammorbato l'esistenza. Niente di trascendentale, per carità, ma un po' di concretezza è un balsamo di Gerusalemme dopo gli anni del vaniloquio. E poi tutto va parametrato al contesto: e, considerato il contesto, quello dell'assessore Purchia pare un discorso di Winston Churchill.
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