Arrivo buon ultimo - nei giorni scorsi ho avuto altri impegni - a riconoscere i molti pregi della prossima, dodicesima, edizione del Torino Jazz Festival: un programma equilibrato che coniuga sapientemente le tante declinazioni del jazz, una manciata di fuoriclasse (John Zorn, Dave Holland, Gonzalo Rubalcaba, Roscoe Mitchell, Paolo Fresu, Roberto Gatto...) bastevoli di soli a fare il "grande festival", il coinvolgimento del Premio Carlo U. Rossi che quest'anno sarà presentato da Rocco Papaleo, la collaborazione da tempo auspicata fra il Tjf e Jazz Is Dead...
Tutto perfetto dunque? Ahimè no, manca ancora qualcosa: mancano i soldi per comunicare al mondo esterno, il vasto mondo oltre la cinta daziaria di Torino, che in città abbiamo adesso un vero jazz festival e quindi varrebbe la pena di venirci.
Ecco cosa scrivevo venerdì scorso sul Corriere:
Un cast stellare, produzioni geniali, ospiti esclusivi: stavolta sì, ci sono le premesse perché il Tjf sia davvero il “festival jazz di richiamo internazionale” che aspettiamo da dodici anni. Purtroppo fuori dalla cinta daziaria lo sapranno in pochi: su 800 mila euro di budget totale, si prevede di destinarne appena 50, massimo 60 mila, alla comunicazione, ivi compresa la stampa dei programmi. La regola aurea delle manifestazioni meno ambiziose è di investire in promozione almeno il 10 per cento del budget, senza voler strafare. E pensate che nel 2014 Fassino spese 200 mila euro extra per pubblicizzare una terza edizione del Tjf già di per sé costosissima (840 mila euro) benché non strabiliante. Altrettanto costò la promozione nel 2015, mentre nel 2016 ci si accontentò di 120 mila euro, e scusate se è poco.
Un cast stellare, produzioni geniali, ospiti esclusivi: stavolta sì, ci sono le premesse perché il Tjf sia davvero il “festival jazz di richiamo internazionale” che aspettiamo da dodici anni. Purtroppo fuori dalla cinta daziaria lo sapranno in pochi: su 800 mila euro di budget totale, si prevede di destinarne appena 50, massimo 60 mila, alla comunicazione, ivi compresa la stampa dei programmi. La regola aurea delle manifestazioni meno ambiziose è di investire in promozione almeno il 10 per cento del budget, senza voler strafare. E pensate che nel 2014 Fassino spese 200 mila euro extra per pubblicizzare una terza edizione del Tjf già di per sé costosissima (840 mila euro) benché non strabiliante. Altrettanto costò la promozione nel 2015, mentre nel 2016 ci si accontentò di 120 mila euro, e scusate se è poco.
Siamo precipitati da un eccesso all'altro, riducendoci ai fichi secchi. Cinquantamila euro? Con simili miserie non si va lontano, per quanta buona volontà ci si possa mettere. Certo, a pensarci per tempo si poteva risparmiare qualcosa sui costi artistici (con 105 concerti ed eventi, ce ne sarà pur qualcuno non indispensabile) e spendere di più per raggiungere l'agognato pubblico dall'Italia e dall'estero che farebbe davvero la differenza.
Il direttore di Fondazione Cultura Alessandro Isaia mi assicura che tenterà di recuperare ancora qualcosa, almeno ventimila euro. Ma se non vogliamo sprecare l'occasione di un Tjf davvero scintillante – qualcuno dovrebbe mettere mano al portafogli. Magari la Camera di Commercio, visto e considerato che sarebbero alberghi, ristoranti e negozi a trarre i maggiori benefici dall'arrivo di molti spettatori da fuori Torino. Oppure uno sponsor (figurarsi...). A meno che il Comune squattrinato non scovi qualche spicciolo dimenticato in cassa. Non spetta a me a dire, ma per carità, fate qualcosa perché stavolta anche a Cuneo, magari a Milano e – sogniamo in grande - persino in Francia si accorgano che qui a Torino abbiamo finalmente un grande jazz festival. Sta infatti scritto: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?” (Luca 4,21).
Il direttore di Fondazione Cultura Alessandro Isaia mi assicura che tenterà di recuperare ancora qualcosa, almeno ventimila euro. Ma se non vogliamo sprecare l'occasione di un Tjf davvero scintillante – qualcuno dovrebbe mettere mano al portafogli. Magari la Camera di Commercio, visto e considerato che sarebbero alberghi, ristoranti e negozi a trarre i maggiori benefici dall'arrivo di molti spettatori da fuori Torino. Oppure uno sponsor (figurarsi...). A meno che il Comune squattrinato non scovi qualche spicciolo dimenticato in cassa. Non spetta a me a dire, ma per carità, fate qualcosa perché stavolta anche a Cuneo, magari a Milano e – sogniamo in grande - persino in Francia si accorgano che qui a Torino abbiamo finalmente un grande jazz festival. Sta infatti scritto: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?” (Luca 4,21).
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