Ripubblico qui l'articolo uscito ieri sul Corriere.
Mi scrive un lettore: “Scusate, ma questo Exposed è pervenuto a qualcuno? Non ne ha parlato nessuno... l'ennesimo flop?”.
La domanda, per quanto maliziosa, ci sta. Caso mai non l'aveste notato, si è concluso lo scorso 2 giugno, dopo un mese esatto di dichiarati “eventi”, quello che era stato presentato come “il nuovo festival internazionale di fotografia di Torino, che ogni anno porterà nel capoluogo piemontese mostre temporanee, una fiera specializzata, attività didattiche, incontri, committenze artistiche ed eventi off declinati attorno a un tema... per rinsaldare il profondo legame tra Torino e la fotografia... presenza all’avanguardia nel panorama internazionale... approccio inclusivo per attrarre un pubblico eterogeneo, sia locale che internazionale...”.
Pare logico, a cose fatte, chiedersi se e dove si sia visto quel “pubblico eterogeneo sia locale che internazionale” e così via. Sicché lo scorso 5 giugno chiamo Alessandro Isaia, segretario generale di quella Fondazione Cultura cui era affidata l'organizzazione di Exposed, e lo prego di farmi avere un report, un bilancio del festival, qualche dato sui visitatori e sugli incassi, una rassegna stampa degli articoli usciti su giornali e siti non soltanto locali ma anche nazionali e internazionali, come da succitate ambizioni. Isaia mi risponde gentilmente che tale documentazione sarà pronta entro il martedì successivo, quindi entro l'11 giugno. Siamo a mercoledì 19 giugno e nulla mi è pervenuto. Ho sentito pure l'ufficio stampa: sono rimasti sul vago, e non si sono più fatti vivi. E ho cercato lumi in rete: nulla. Quello di Exposed si va configurando come un caso per “Chi l'ha visto?”: è arrivato e se n'è andato senza apparentemente lasciar traccia, neppure un misero catalogo.
Non per mia cattiva volontà, quindi, mi mancano i dati statistici per un giudizio incontrovertibile: ma personalmente tra il 2 maggio e il 2 giugno non ho avvertito in città il clima frizzante e cosmopolita generato (cito la supercazzolosa comunicazione) da “visioni, approcci, idee e progetti diversi” che “rendono il festival – e di conseguenza Torino – un punto d’incontro inclusivo e aperto al mondo”. Anzi, mi sono imbattuto in pochissimi torinesi (figurarsi i foresti...) in grado di dire cosa fosse Exposed: ma forse frequento le persone sbagliate. O forse era sbagliata la supercazzola.
L'unico fatto assodato è che anche il mese scorso – come sempre - ci sono state a Torino delle mostre di fotografia; alcune belle, altre fatte tanto per fare; molte nei luoghi che ospitano abitualmente mostre di fotografia a prescindere da Exposed. Ciò vi pare sufficiente per gloriarsi di una “presenza all’avanguardia nel panorama internazionale”? Sento puzza di quella che, parafrasando Hobsbawm, definirei “l'invenzione del festival”: prendi un tot di manifestazioni che accadrebbero comunque, ci appiccichi un'etichetta a tema che sta bene su tutto, adorni la confezione con abbondante fuffa, e annunci al popolo il “Grande Evento”. Talora funziona, altre volte il popolo neppure se ne accorge.
Se poi le mostre del “Grande Evento” sono sparpagliate per i 130 chilometri quadrati della superficie di Torino, senza un filo logico, senza neppure un orario unico, descritte in italiano ermetico ed emetico (“ecologie nascoste ma metafisicamente presenti...”) e in inglese da fighetti (siamo o non siamo internescionàl?), beh, hai voglia che s'inveri ciò che le istituzioni promotrici (le solite: Comune, Regione, fondazioni bancarie, Intesa, Camera di Commercio...) descrivevano nei loro velleitari proclami come “un appuntamento di rilievo... con un cartellone complessivo e univoco... tale da creare valore culturale e ottenere al contempo ricadute e benefici economici e sociali nell’ambito della valorizzazione e della promozione turistica”.
![](https://ssl.gstatic.com/ui/v1/icons/mail/images/cleardot.gif)
Oh già, le famose “ricadute” e “valorizzazioni turistiche”. C'è qualcuno in grado di dirmi se per Exposed sono arrivate frotte di foto-turisti dall'Italia e dall'estero? E “al contempo” – poiché l'argomento l'hanno tirato in ballo loro – di certificare quanto ha reso l'investimento di 600 mila euro (dichiarati, ma s'era parlato pure di 800 mila) per Exposed 2024? Qual è, in termini tecnici, il ROI (return on investiment) dell'operazione? Qualcuno può calcolarlo in maniera attendibile? E farcelo sapere?
Certo, i soldi non sono tutto, non sono la misura della cultura: ma se sono soldi pubblici parlarne non è vergogna.
Mi scrive un lettore: “Scusate, ma questo Exposed è pervenuto a qualcuno? Non ne ha parlato nessuno... l'ennesimo flop?”.
La domanda, per quanto maliziosa, ci sta. Caso mai non l'aveste notato, si è concluso lo scorso 2 giugno, dopo un mese esatto di dichiarati “eventi”, quello che era stato presentato come “il nuovo festival internazionale di fotografia di Torino, che ogni anno porterà nel capoluogo piemontese mostre temporanee, una fiera specializzata, attività didattiche, incontri, committenze artistiche ed eventi off declinati attorno a un tema... per rinsaldare il profondo legame tra Torino e la fotografia... presenza all’avanguardia nel panorama internazionale... approccio inclusivo per attrarre un pubblico eterogeneo, sia locale che internazionale...”.
Pare logico, a cose fatte, chiedersi se e dove si sia visto quel “pubblico eterogeneo sia locale che internazionale” e così via. Sicché lo scorso 5 giugno chiamo Alessandro Isaia, segretario generale di quella Fondazione Cultura cui era affidata l'organizzazione di Exposed, e lo prego di farmi avere un report, un bilancio del festival, qualche dato sui visitatori e sugli incassi, una rassegna stampa degli articoli usciti su giornali e siti non soltanto locali ma anche nazionali e internazionali, come da succitate ambizioni. Isaia mi risponde gentilmente che tale documentazione sarà pronta entro il martedì successivo, quindi entro l'11 giugno. Siamo a mercoledì 19 giugno e nulla mi è pervenuto. Ho sentito pure l'ufficio stampa: sono rimasti sul vago, e non si sono più fatti vivi. E ho cercato lumi in rete: nulla. Quello di Exposed si va configurando come un caso per “Chi l'ha visto?”: è arrivato e se n'è andato senza apparentemente lasciar traccia, neppure un misero catalogo.
Non per mia cattiva volontà, quindi, mi mancano i dati statistici per un giudizio incontrovertibile: ma personalmente tra il 2 maggio e il 2 giugno non ho avvertito in città il clima frizzante e cosmopolita generato (cito la supercazzolosa comunicazione) da “visioni, approcci, idee e progetti diversi” che “rendono il festival – e di conseguenza Torino – un punto d’incontro inclusivo e aperto al mondo”. Anzi, mi sono imbattuto in pochissimi torinesi (figurarsi i foresti...) in grado di dire cosa fosse Exposed: ma forse frequento le persone sbagliate. O forse era sbagliata la supercazzola.
L'unico fatto assodato è che anche il mese scorso – come sempre - ci sono state a Torino delle mostre di fotografia; alcune belle, altre fatte tanto per fare; molte nei luoghi che ospitano abitualmente mostre di fotografia a prescindere da Exposed. Ciò vi pare sufficiente per gloriarsi di una “presenza all’avanguardia nel panorama internazionale”? Sento puzza di quella che, parafrasando Hobsbawm, definirei “l'invenzione del festival”: prendi un tot di manifestazioni che accadrebbero comunque, ci appiccichi un'etichetta a tema che sta bene su tutto, adorni la confezione con abbondante fuffa, e annunci al popolo il “Grande Evento”. Talora funziona, altre volte il popolo neppure se ne accorge.
Se poi le mostre del “Grande Evento” sono sparpagliate per i 130 chilometri quadrati della superficie di Torino, senza un filo logico, senza neppure un orario unico, descritte in italiano ermetico ed emetico (“ecologie nascoste ma metafisicamente presenti...”) e in inglese da fighetti (siamo o non siamo internescionàl?), beh, hai voglia che s'inveri ciò che le istituzioni promotrici (le solite: Comune, Regione, fondazioni bancarie, Intesa, Camera di Commercio...) descrivevano nei loro velleitari proclami come “un appuntamento di rilievo... con un cartellone complessivo e univoco... tale da creare valore culturale e ottenere al contempo ricadute e benefici economici e sociali nell’ambito della valorizzazione e della promozione turistica”.
![](https://ssl.gstatic.com/ui/v1/icons/mail/images/cleardot.gif)
Oh già, le famose “ricadute” e “valorizzazioni turistiche”. C'è qualcuno in grado di dirmi se per Exposed sono arrivate frotte di foto-turisti dall'Italia e dall'estero? E “al contempo” – poiché l'argomento l'hanno tirato in ballo loro – di certificare quanto ha reso l'investimento di 600 mila euro (dichiarati, ma s'era parlato pure di 800 mila) per Exposed 2024? Qual è, in termini tecnici, il ROI (return on investiment) dell'operazione? Qualcuno può calcolarlo in maniera attendibile? E farcelo sapere?
Certo, i soldi non sono tutto, non sono la misura della cultura: ma se sono soldi pubblici parlarne non è vergogna.
Condivido le domande su questa operazione fumosa, da grande appassionato di fotografia che sperava in qualcosa di solido. Il sito, per cominciare, era inestricabile.
RispondiElimina