Dovremmo esserci: terminati i colloqui con i cinque candidati finalisti (Giuseppe Culicchia, Elena Loewenthal, Pierdomenico Baccalario, Domenico De Gaetano e Mauro Baronchelli), oggi il Comitato di gestione del Circolo dei Lettori dovrebbe annunciare il nome del nuovo direttore. Dico «dovrebbe» perché ormai, quando si tratta di bandi, siamo abituati alle più stravaganti sorprese. E nel caso specifico non mancano, tra le candidature, le presenze singolari: tipo lo scrittore Pierdomenico Baccalario che fece parte del comitato editoriale di Tempo di Libri, ovvero il penoso tentivo milanese di scipparci il Salone del Libro; o Domenico De Gaetano, che dopo la mancata riconferma alla direzione del Museo del Cinema è all'ostinata ricerca di una nuova poltrona; quanto a Baronchelli, ha diretto due musei veneziani - Palazzo Grassi e Punta della Dogana - cioé realtà diversissime dal Circolo, che è invece ben conosciuto dalla direttrice uscente Elena Loewenthal e dallo scrittore Giuseppe Culicchia, che con il Circolo (nonché con il Salone) collabora da molti anni.
E proprio guardando al caso di Culicchia si può ammirare tutta l'imbecillità burocratica del sistema bandistico. Com'è noto, il bando (o meglio, l'«avviso di selezione») prevede per il direttore il requisito della laurea. In realtà, si è detto che tale requisito non sarebbe cogente: farebbe semplicemente punteggio. Ma non posso escludere che il timore di eventuali ricorsi dei candidati esclusi influenzi i decisori cuor di leone, inducendoli a scelte scansagrane. In tal caso sarebbe inutile sottolineare che Culicchia non è laureato perché ha seguito un percorso diverso, da commesso di libreria a scrittore che pubblica con i maggiori editori italiani e stranieri, traduce, scrive sui giornali, ha curato diverse attività del Salone del Libro e dirige un festival letterario. Tutti elementi che ne farebbero un eccellente candidato alla direzione del Circolo. Ma non è laureato: a differenza – per ipotesi – di un laureato in Scienze motorie che un romanzo non l'ha mai scritto, e magari non l'ha mai letto, ma secondo il bando sarebbe più adeguato al ruolo di quanto non lo sia un affermato scrittore.
Ok, avevano ragione le mamme che ripetevano figlio mio, prenditi 'sto pezzo di carta che non si sa mai. Però la logica mi impone qualche domanda. Se è vero che l'assessore Marrone premeva per Culicchia alla direzione del Circolo, chi ha scritto il bando ha inserito il requisito della laurea per far dispetto a Marrone, e Culicchia è il fregato collaterale di uno scontro politico? In altre e più generali parole, non conta – in negativo come in positivo - il valore del candidato, ma chi lo sponsorizza? Sai che scoperta, direte voi. Ma lasciatemi credere che non sia così, e che la politica non c'entri. In tal caso si deve dedurre che il requisito è stato inserito di default, senza pensarci? Che hanno ricopiato un «bando standard» giusto per andare sul sicuro e scansare ogni contestazione? O, peggio ancora, per la convinzione piccoloborghese che sia il «pezzo di carta» a fare la differenza fra chi vale e chi no, fra uomini e caporali? Qualsiasi risposta si dia a queste domande, è avvilente.
Non intendo qui sostenere che Giuseppe Culicchia sarebbe un buon direttore del Circolo dei lettori. Non lo so, non è affar mio saperlo, e comunque non è questo il punto. Il punto è l'idiozia profonda insita nel ricorrere a un bando, al greve pragmatismo di uno strumento burocratico buono per selezionare impiegati del catasto, quando in ballo c'è la direzione di un'istituzione culturale di altissimo profilo qual è il Circolo, un ruolo che implica credibilità e autorevolezza, nonché esperienze e competenze speciali che prescindono da qualunque «pezzo di carta».
Il bando – obietterà qualcuno – amplia la partecipazione, sollecita l'innovazione e i contributi originali. Boh, non è che tra i candidati pulluli il nuovo che avanza. Tipi originali sì, quelli sì.
Ricordo che, quando nel 2014 il Comune prescrisse il ricorso ai bandi anche per le nomine negli enti culturali, un politico di buon senso mi confidò: «Per combattere la discrezionalità più folle, per cui piazzavano anche l'ultimo dei cretini su qualsiasi poltrona, si è creato un sistema tanto rigido che pure Umberto Eco avrebbe dovuto fare un concorso per dirigere il Salone del Libro».
Purtroppo gli Umberto Eco li abbiamo finiti: ma non so quanti intellettuali italiani d'alto livello (gli stranieri manco ci calcolano) accetterebbero di sottoporsi al mortificante vaglio di una misteriosa commissione giudicatrice, come aspiranti popstar a «X Factor». Semmai si aspettano che li chiamino per chiara fama.
E alla fine della fiera, davvero era inevitabile ricorrere al bando?Nello Statuto del Circolo, all'articolo 15, sta scritto «Il Comitato di gestione nomina il direttore», senza cenno a bandi. Potrei citare svariati direttori di fondazioni, teatri e musei nominati per chiamata diretta: molti per evidenti meriti, certuni non si sa perché. Ma mi basta ricordare Nicola Lagioia alla direzione del Salone del Libro: mai scelta fu più azzeccata. Al momento di trovargli un successore, però, si decise di ricorrere al bando, anzi, alla «manifestazione d'interesse», che fa fine e giuridicamente non impegna: così, a riprova che sono sempre lorsignori a decidere, sui nomi di candidati si scatenò un marasma fenomenale e ridicolo, con fazioni l'una contro l'altra schierata. Dopo mille baruffe lorsignori la piantarono con l'ignobile pantomima, lasciarono perdere il bando e i relativi candidati, e convocarono Annalena Benini.
E chi può dire che non finirà così pure al Circolo? Il bando per il direttore s'intitola in realtà «avviso di selezione» e all'articolo 7 sta scritto che «la presente selezione non costituisce impegno vincolante ad affidare l'incarico da parte della Fondazione che pertanto si riserva la facoltà di non dare corso alla copertura della posizione in assenza di candidati ritenuti idonei». Quindi ogni soluzione è possibile. Ma per il bene del Circolo mi auguro che stavolta lorsignori scelgano adesso, e scelgano bene. Non possimo permetterci altri errori.
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