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SALONE DEI TAFAZZI, LO SPETTACOLO RICOMINCIA

Il tafazzismo torinese s'esalta, garrisce e si sublima, al cospetto del Salone del Libro. Lo scrivevo un anno fa, dopo l'inatteso trionfo sul surrogato milanese. Gli stand non erano ancora smontati, e già gli industriosi topolini erano all'opera per preparare l'ennesima crisi estiva dal Salone. Quella sfociata, come ben sappiamo, nel naufragio della Fondazione per il Libro.

Una cessione di sovranità


Adesso ci risiamo. Eccoci di nuovo qui con i nostri martelloni in pugno, pronti a farci del male.
Il casus belli, stavolta, è la spartizione del Salone. La storia la sapete già. Il Circolo dei lettori - che dipende dalla Regione - in un primo tempo è stato estromesso senza tanti complimenti dal futuro del Salone, mentre alla comunale Fondazione Cultura veniva affidata la responsabilità editoriale. In altre parole, il controllo politico sul Salone.
Nulla di nuovo sotto il sole. Il Chiampa sa bene che la cultura non porta voti; quindi sta mollando a Chiarabella, senza colpo ferire e con gran scorno dell'impotente Parigi, il controllo su qualsiasi istituzione culturale ingolosisca la signora. Immagino che il manovriero Sergio otterrà contropartite che giudica più interessanti. Non è uomo da fare niente per niente.

La machiavellica del Chiampa


United colors of lorsignori: da sinistra, Parigi, Chiampa, Appe, Leon & Bray
Ma forse col Salone il Chiampa - che non è scemo - s'è studiato una bella machiavellica. S'è fatto da parte sul piano politico - tanto dall'anno prossimo comanderanno altri - ma ha impegnato la Regione a finanziare il Salone con una convenzione triennale. Così ha fregato quelli che verranno dopo di lui, obbligandoli a pagare comunque fino al 2021; pure nel caso, non troppo remoto, che alla prossima maggioranza in Regione del Salone gliene freghi meno che dei risultati del campionato bulgaro.

Contrordine compagni!


Messa così, però, la cessione di sovranità al Comune appariva fin troppo sfacciata, e i primi a scatenarsi sono stati gli stessi piddini. Sicché pochi giorni dopo lo stesso Chiampa fa rientrare il Circolo dalla finestra, per placare l'incazzo dei suoi sempre-meno-compagni-di-partito, tipo i consiglieri regionali Valle e Cassiani: in base alle nuove disposizioni, la Fondazione Cultura (cioé Chiarabella) si terrà ben stretto il palinsesto del Salone, ma sarà il Circolo a gestire i bandi per affidare ai privati la gestione tecnica e commerciale dell'evento.
Poche idee, ma ben confuse, sono l'immancabile premessa per nuovi e più clamorosi disastri.

Luca Beatrice

Beatrice non le manda a dire


Intanto l'altro ieri il presidente del Circolo, Luca Beatrice, si rompe di 'sto balletto di ordini e contrordini. Con un'intervista alla Stampa chiede "rispetto e risposte" da parte dei politici. E rivendica l'ottimo lavoro svolto quest'anno dal Circolo. Un lavoro, dice, che oltre al successo di pubblico ha fruttato al Salone un consistente risparmio sul budget preventivo: è avanzato quasi un milione di euro, risultato strabiliante se confrontato al passivo di 600 mila euro del 2017. Il perfido Beatrice aggiunge che loro hanno semplicemente fatto le cose giuste, mentre "quelli di prima" non erano tanto bravi. Dice senza tanti giri di parole che la gestione pre-Circolo tendeva a spendere con una certa qual spensieratezza.

D'amore e d'accordo. Ma anche no

Di sicuro quest'anno sia Beatrice, sia la direttrice del Circolo Maurizia Rebola sono stati sparagnini e piuttosto ossessivi sui conti e sull'ineccepibilità formale di ogni bando, incarico o atto amministrativo. Tanto che, mi dicono, un esasperato Bray è arrivato al punto di lamentarsene con il Chiampa.
In generale, nella famosa "cabina di regia", come in tutte le cabine troppo affollate, devono essere volate alcune madonne. O, come le chiamano loro, "franche e aperte discussioni".
Nic Lagioia però mi assicura che i suoi rapporti con il Circolo sono sempre ottimi. Aggiunge che, per l'anno prossimo, dal suo punto di vista lavorare con il Circolo o con la Fondazione Cultura fa lo stesso: purché si sappia subito come funzionerà la governance, e ci si metta al lavoro.

Scadenze non rinviabili, Lagioia ha fretta

Precari. Lagioia è ancora senza contratto, Bray è ancora senza presidenza
Il tempo stringe: a fine giugno scade il contratto dei dodici dipendenti dell'ex Fondazione per il Libro e nessuno si è degnato di far sapere ai tapini, e manco a Lagioia, che fine faranno: quali e quanti continueranno a lavorare per il Salone, e quanti saranno sistemati in altre strutture comunali.
Poi, a luglio, Lagioia gradirebbe indire la prima riunione operativa dei consulenti, e incontrare un tot di editori: ma a quale titolo? Anche il contratto di Lagioia scade a fine giugno, e finora il rinnovo non c'è.
E vorranno lorsignori decidere che fare con Bray? Tutti a ripetere che Bray non si tocca, come presidente. Ma presidente de che? La Fondazione per il Libro è morta e sepolta; la Fondazione Cultura ha già un presidente nella persona di Chiarabella; e dell'ennesima "cabina di regia" si blatera assai ma non si sa quasi nulla. Vagolano ipotesi fantasiose. Lo statuto della Fondazione Cultura potrebbe cambiare. Si potrebbe creare un sotto-ente "Salone" nell'ambito della Fondazione stessa, da far presiedere a Bray.
Insomma, ci siamo capiti: ciance tante e nessuna certezza.

Macchepalle l'emergenza permanente

Lagioia al momento mi sembra tranquillo, ma prima o poi - metti due o tre settimane - è capace che s'incazza pure lui, se non arrivano indicazioni concrete. Di sicuro Nic non ha nessuna voglia di arrabattarsi un altro anno per costruire il terzo "Salone d'emergenza" consecutivo. L'emergenza è tale se emerge in maniera improvvisa e imprevedibile. Quando l'emergenza emerge regolarmente ogni anno non si chiama più emergenza, bensì inettitudine e faciloneria. Non più maledetta sfiga, ma logica conseguenza delle gabole dei cretini e/o dei politici.

L'ora degli espertoni: "proposte e critiche" della politica


I quali politici, poveri innocenti, si sono assai risentiti delle parole di Beatrice. Un tal Nino Boeti, fresco presidente del Consiglio regionale, sguaina la bacchetta della domenica per farci sapere che il Salone si fa con i soldi pubblici: e dunque, soggiunge con piglio da costituzionalista consumato, "visto che i consiglieri sono i rappresentanti dei cittadini, hanno il diritto e il dovere di esprimere il loro pensiero (sì, ha detto proprio "pensiero", NdG) e di avanzare critiche e proposte". Forti, come ciascuno ben può immaginare, della loro nota esperienza in materia di libri e fiere dell'editoria. 
Mi auguro che almeno nel campo della sanità le "critiche e proposte" di quei genii universali non oltrepassino le soglie delle camere operatorie.

"Non è una questione politica": e c'è chi ci crede


La tenera Leon è invece graniticamente certa che quella del Salone "non è una questione politica"; e ci tiene ad assicurarci che "la scelta di individuare nella Fondazione Cultura il soggetto che si occuperà della parte culturale ed editoriale non è politica, ma tecnica e operativa, valutata con la cabina di regia". E come no! Io son faccia di velluto, e quindi ci ho creduto.
Aggiungo, col nobile fine di arricchire la panoplia delle certezze di Maiunagioia, che i bambini li porta la cicogna e che Keith Richards non s'è mai fatto neanche una canna.

Un altro anno di passione

Morale: il Salone - salvo improbabili rinsavimenti - si avvia spensierato sulla solita pista che conduce ai disastri estivi, al panico autunnale, all'affanno invernale, e si conclude a primavera con l'ennesimo miracolo - se il cul ci assiste... - affinché i pomposi belinoni tornino a contendersi il merito di aver salvato il Salone dopo essersi prodigati per affossarlo.

Chi salverà Tempo di Libri? Ma noi boccaloni, è ovvio


Il pittoresco caravanserraglio dà spettacolo sotto gli occhi increduli dei milanesi di Tempo di Libri, due volte nella polvere e due volte resuscitati dall'autolesionismo di un Salone di Torino inetto a vincere la pace dopo avere vinto la guerra.
Stavolta ci vorrà uno sforzo eccezionale da parte dei boccaloni torinesi per rianimare ancora Tempo di Libri, i cui organizzatori - l'Aie in primis - ormai non sanno più che fare. Probabile che lo pilotino verso un pietoso suicidio assistito: ipotesi di cui ormai parlano apertamente anche gli editori che guidarono la fallita secessione. A meno che il Salone di Torino non si esibisca in un clamoroso harakiri, eventualità che non mi sento mai di escludere.

E anche gli editori, nel loro piccolo, si guardano in cagnesco

In compenso, la secessione fallita di Tempo di Libri lascia in eredità all'Aie la riuscita secessione dell'Adei, il gruppo dei piccoli editori che proprio in difesa del Salone torinese si sono staccati dal corpaccione della vecchia e ansimante Associazione Italiana Editori. A punizione della protervia dei più grossi che in quanto più grossi si credono anche più furbi, adesso l'Adei pretende un posto nella futura "cabina di regia" del Salone, con lo stesso peso dell'Aie; e si augura che i grossi, tornati a Canossa dopo la loro brancaleonesca ribellione, non pretendano di dettare legge. Augurio che qualsiasi persona per bene non può che fare suo.

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