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E CONTINUAVANO A CASCARE DAL PERO

E' ancora vacanza. Ho cercato, in questi giorni, di scrivere poco. Lo stretto indispensabile. Ma oggi proprio non mi tengo: sono due giorni che mi passa sotto gli occhi una tale infilata di minchiate che se non mi sfogo esplodo. 
E premetto che non prendo neppure in considerazione la superminchiata della Meloni sulla promozione filoaraba del Museo Egizio: storia vecchia e ricicciata, non vale la pena di cagarla manco di pezza. L'aveva tirata fuori un anno fa il prode Ricca, e quantomeno aveva il pregio dell'originalità. La Meloni lo scopre adesso. Quando si dice cascare dal pero.

Ogni vecchia storia è nuova per chi non la conosce

Mi ha sfrucugliato invece il can can incolpevolmente innescato da un bell'articolo di Ernesto Ferrero su Repubblica del 4 gennaio nel quale l'ex direttore del Salone del Libro conferma ancora una volta quanto già detto, ripetuto e scritto (pure su questo blog), e cioé che il disastro economico della Fondazione per il Libro fu causato più che dalle presunte "spese incontrollate" del cattivone Picchioni - come ci raccontano lorsignori - soprattutto dalle inadempienze di lorsignori medesimi. Ovvero dai debiti che Regione e Comune non hanno onorato e dai contributi che i due enti pagavano con ritardi abissali: la Fondazione risultava così creditrice di somme ingenti nei confronti degli enti pubblici (per esempio, circa due milioni di euro nel 2014) ma nell'attesa di incassare era costretta a farsi anticipare i soldi dalle banche
Quegli  anticipi servivano alla Fondazione per far fronte alle necessità di cassa (come ho scritto più volte, gli stipendi e le bollette non li paghi con le promesse della politica), ma l'hanno gravata di interessi passivi crescenti, fino a strangolarla. Ora quegli interessi, vale la pena di ricordarlo, in sede di liquidazione dovranno essere comunque onorati. 
L'articolo di Ferrero è ottimo. Racconta però una storia purtroppo ben nota, ripetuta fino alla nausea. 
E invece, voilà: anche qui, cascano tutti dal pero. Oh basta là. Chi l'avrebbe mai immaginato? 
All'inattesa "rivelazione" di Ferrero i media si eccitano e arrivano a un'altra fondamentale scoperta: i contributi pubblici vengono versati in ritardo a tutti gli enti culturali, per cui tutti gli enti culturali sono strozzati dagli interessi passivi verso le banche. Ma va'? Benvenuti nel mondo reale
E' una vita che funziona così. Un paio d'anni fa si parlava ancora di "piani di rientro" per sanare gli arretrati: ma i ritardi continuano. A naso, mi pare che si siano un po' ridotti, ma continuano. E le banche non perdonano.
La notizia, semmai, è quando un ente pubblico paga puntalmente: lo ha fatto di recente il Comune con lo Stabile, e io stentavo a crederci quando Fonsatti me l'ha detto.
Fin qui le cadute dal pero. Ma il meglio viene dai commenti. Già, ci si mettono pure i commenti.

I commenti: Parigi e gli errori

Intanto, la Parigi in un'intervista ammette, bontà sua, che "nel passato del Salone ci sono stati molti errori", ma si affretta a precisare che "è ingeneroso attribuirli solo ai soci fondatori". Oh beh, Antonellina, sarò pure ingeneroso: però ben ricordo che nel settembre 2016, durante la penultima crisi della Fondazione (quando vi baloccavate con Milano e le proposte indecenti di Franceschini) stilai un chilometrico elenco di errori commessi nell'arco di tre anni dai soci fondatori. Errori che sarebbero bastati, da soli, ad abbattere l'Impero Romano, figurarsi il Salone del Libro. Non escludo assolutamente che altri errori siano stati commessi da altri soggetti. Ma non sminuitevi: bastavano i vostri, senza aiutini.

I commenti: Oliva e le spese eccessive

Poi ci si mette pure Gianni Oliva: l'ex assessore regionale alla Cultura dichiara che "per anni abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità: tutti abbiamo speso più soldi di quelli che avevamo a disposizione. In questo senso c’è la responsabilità collettiva di non aver capito che quel sistema non era più sostenibile".
Ecco, raga, adesso con 'sta storia della vita al di sopra delle possibilità mi avete sfranto i coglioni. Non dico che non sia vero. Io sono frugale, ma vassapere, magari voi vivete al di sopra. Beati. Però attaccarvi alla cultura no, eh? 
Mi permetto di ricordare qualche dato sparso. Ai tempi di Giampiero Leo assessore - tempi d'oro, ricordate?, tempi di "vacche grasse", come dite voi - ma anche in anni successivi, la Regione era arrivata a destinare alla cultura fino all'1 per cento (dicesi l'uno per cento) del suo bilancio complessivo. Dire che si spendeva troppo per la cultura sarebbe come sostenere che Tanzi ha portato la Parmalat al disastro perché scialava i suoi capitali per comperarsi le sigarette. Oggi comunque stiamo attorno allo 0,25 per cento. E già pare un miracoloPer la precisione, la spesa culturale rappresentava lo 0,28 per cento del bilancio regionale nel 2015, quando la media nazionale era lo 0,68% e meno del Piemonte spendevano, percentualmente, soltanto Lombardia, Veneto, Umbria e Abruzzo. Su questa storia degli sprechi di denaro per la cultura voglio però tornarci con calma: intanto raccolgo un po' di dati.

I commenti: Leon e la soglia di sopravvivenza

E proseguiamo con i commenti in libertà. Ecco che scende in campo l'assessore Leon con una fondamentale intervista nella quale ripete che "se fossimo andati in predissesto avremmo dovuto tagliare in modo lineare a tutti gli enti il 25%. Invece si è scelta una strada diversa, più complicata, con un assestamento e un bilanciamento dei budget". Ottima motivazione. Peccato che tradotto in italiano "assestamento e bilanciamento dei budget" significhi ridurre di un terzo i finanziamenti agli enti culturali anno su anno: e allora a 'sto punto un bel predissestino no? 
Così facendo si è imboccata una strada certo diversa, ma senza ritorno. Leon ammette che "esiste un livello sotto il quale non si può andare. Quel livello lo abbiamo raggiunto". Io aggiungerei "e superato". 
Leon pensa infatti di essere rassicurante affermando che "non ci saranno altri tagli": invece non rassicura nessuno per il semplice motivo che i tagli già inferti bastano e avanzano ad affossare, ad esempio, la Fondazione Musei. 
Voglio dire: ai livelli attuali, che Leon sembra considerare "minimali" ma sufficienti, la Fondazione Musei per sopravvivere deve dismettere il Borgo Medievale e la Biblioteca della Gam, e liberarsi di 28 dipendenti. Quindi, cara Leon, il tuo non è "il livello sotto il quale non si può andare": è già il livello al quale si muore. Perché quando un museo come la Gam chiude la sua biblioteca è bell'e morto. Per non dir del Borgo, che chiude e basta. 
Eppure l'assessore Maiunagioia insiste a sostenere che "la riorganizzazione dei fondi per la cultura (diomio, "riorganizzazione"... spero che non mi riorganizzino così la pensione, altrimenti finisco sotto un ponte, NdG) era un nodo da sciogliere. Lo abbiamo fatto subito, togliendoci il dente (ma che espressione... ti pare il caso? NdG), e stabilizzando da qui al 2021 le risorse. Ora si progettino i cambiamenti".

Di cosa parliamo quando parliamo di "stabilizzazione"

Allora, sulla "stabilizzazione" aspetto di saperne di più. Ho dato un'occhiata al bilancio di previsione triennale 2017-2019 del Comune e alla voce "Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali" (spesa complessiva, quindi non soltanto i finanziamenti agli enti culturali, sia chiaro) trovo alla pagina 31 una previsione di competenza di 45,8 milioni nel 2017, che scendono a 34,1 nel 2018 e a 31,6 nel 2019. Io non capisco un belino di conti, quindi gradirei che Leon mi spiegasse se sono io che non so leggere il bilancio (probabilissimo: non sono un ragioniere); o se quelle cifre sono state modificate; oppure se passare da 45,8 a 31,6 in tre anni è ciò che si definisce una "stabilizzazione". Aspetto cortesi delucidazioni. Il cittadino dev'essere aiutato a capire, no?

Cambiamento e perculamento

Quanto a "progettare i cambiamenti", posso dire che 'sta frase comincia a suonarmi come un perculamento? Insomma, France', è un anno e mezzo che progetti i cambiamenti, forse a questo punto era meglio arrivarci con un progetto già pronto: altrimenti, a casa mia, 'sta roba si chiama navigare a vista. 
Parliamo dei musei civici. Sono gli unici che vanno di schifo a Torino: gli altri, pur senza enormi "cambiamenti", quest'anno sono andati discretamente bene. Quelli della Fondazione Musei no. Secondo te è perché manca il cambiamento? O non sarà perché mancano i soldi? E poi, vogliamo dire una volta per tutte che cosa si intende per "cambiamento"? Il cambiamento sarebbe dar via il Borgo e chiudere la Biblioteca della Gam? Perdere, su tre musei civici, duecentomila visitatori nel giro di un anno? O fronteggiare la minaccia di 28 licenziamenti ciancicando vaghe promesse di "riassorbimenti" chissà dove e chissà quando? Beh, guarda, a programmare cambiamenti così ci riesco anch'io che sono un cretino, mica un assessore.
La Leon nell'intervista parla di "un nuovo modello di autoproduzioni" per le mostre. Ci crede talmente, alle "autoproduzioni", che spiega il crollo dei visitatori aggrappandosi alla mancanza di una mostra come Monet, e si dimentica dell'esistenza dell'autoprodotta "Colori", che lo scorso aprile, in un'altra intervista, additava ad esempio dell'epoca nuova: "C’è una mostra straordinaria come ‘Colori’ alla Gam e a Rivoli e si continua a dire che abbiamo perso Manet", sosteneva allora.
Adesso, a quanto pare, la palingenesi è rinviata al riallestimento della Gam, alla "costituzione di un nuovo rapporto tra visitatori e musei" (questa è lampantemente una classica supercazzola "à la Leon" buttata lì per vedere l'effetto che fa, ma la riporto per dovere di cronaca) e alle "grandi mostre del 2018" sulle quali al momento ho poche notizie. Quelle che mi risultano al momento non saranno organizzate dalla Fondazione Musei, quindi non vedo quale beneficio ne potrebbe venire ai musei civici. L'unica eccezione è Guttuso, alla Gam da febbraio: credo che Francesca Leon ci faccia grande assegnamento. In bocca al lupo.

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