Non mi appassiona il canaio che si è puntualmente scatenato appena finito il Salone del Libro. Appartiene al folklore torinese - come il bicerin, la bagna caoda e, una volta, i fuochi di San Giovanni - anche quel tafazzismo autodistruttivo che da anni e anni appesta il Salone - come altre eccellenze nostre - e che prima o poi porterà alla rovina questa città di lemming.
Quel che c'era da dire sui nuovi destini comunali della manifestazione l'ho scritto in tempi non sospetti. Quindi mi bastano le mie minchiate: quelle altrui non mi interessano.
approfitto dello spazio che vorrai concedermi per offrire una prospettiva diversa sul dibattito in corso sul futuro del Salone del Libro.
(Segue un paragrafo che non mi interessa, quindi lo casso. NdG)
Mi aiuta l'intervento di oggi di Bray e Lagioia (si riferisce a un articolo dei due uscito su La Stampa. NdG) in cui, difendendo la proposta della cabina di regia, puntano il dito sulla principale debolezza di quella proposta: la necessaria autonomia della manifestazione. Una autonomia già violata in questi due anni con l'imposizione dei direttori di Comune e Regione a turno, con evitabilissime conseguenze.
Una fondazione strumentale del Comune non offre queste garanzie proprio per la sua natura legittimamente strumentale alle politiche culturali della Città; inoltre non indica, come invece ritengo giusto fare, una specificità del libro e del suo ecosistema, anche in termini di priorità politica. Chi non legge, non ricerca neanche altri prodotti culturali.
Io penso che un soggetto organizzatore guidato dai protagonisti di quella comunità del libro che tutti invocano, indipendentemente dalle risorse con cui contribuiscono, sarebbe preferibile e garantirebbe quel pluralismo e quell'autonomia così necessari alla riuscita della manifestazione: Sindaca e Presidente, Città e Regione, sono pronti a sedersi allo stesso tavolo di editori, librai, biblioteche, scuole, rappresentanti dei territori, Circoscrizioni e Comuni, coinvolti dal Salone Off? Possibile che fra fondazioni, banche, imprese, Camera di Commercio non si trovi chi voglia investire e partecipare ad un evento che ha – anche – ricadute economiche pazzesche? Qualche mese fa alcuni di questi erano già pronti a intervenire o sbaglio?
[Nota bene: guidare per me vuol dire farlo formalmente, in un consiglio di amministrazione. Le cabine di regia e i comitati di conciliazione lasciano il tempo che trovano].
Insomma, non mi piace se paga la Regione e decide il Comune; mi piace se paga la Regione e non decide la Regione ma i rappresentanti di una comunità culturale, territoriale ed economica, con la Regione stessa e il Comune di Torino.
Non è dunque così peregrino immaginare che sul soggetto che organizzerà il prossimo Salone si apra una discussione pubblica, anche se a molti l'esito parrà scontato.
Tuttavia, oggi ho ricevuto da Daniele Valle, il presidente della Commissione cultura regionale (quella segretissima che neanche la Spectre), una mail che mi ha incuriosito, perché contiene qualche elemento originale. Insolito: in genere i politici mi scrivono per lamentarsi, per polemizzare o per sparare cazzate.
In particolare, Valle propone di aprire una "discussione pubblica" sulla governance del Salone: seppure aliena al mio sentire antiassembleare, l'idea potrebbe essere interessante, se non addirittura utile. E mal che vada un dibbbattito ampio e condiviso e partecipato e diffuso mi regalerebbe momenti di vero spasso. Quindi ho deciso, in via del tutto eccezionale, di pubblicare la lettera di Valle.
La proposta di Valle
Caro Gabo,approfitto dello spazio che vorrai concedermi per offrire una prospettiva diversa sul dibattito in corso sul futuro del Salone del Libro.
(Segue un paragrafo che non mi interessa, quindi lo casso. NdG)
Mi aiuta l'intervento di oggi di Bray e Lagioia (si riferisce a un articolo dei due uscito su La Stampa. NdG) in cui, difendendo la proposta della cabina di regia, puntano il dito sulla principale debolezza di quella proposta: la necessaria autonomia della manifestazione. Una autonomia già violata in questi due anni con l'imposizione dei direttori di Comune e Regione a turno, con evitabilissime conseguenze.
Una fondazione strumentale del Comune non offre queste garanzie proprio per la sua natura legittimamente strumentale alle politiche culturali della Città; inoltre non indica, come invece ritengo giusto fare, una specificità del libro e del suo ecosistema, anche in termini di priorità politica. Chi non legge, non ricerca neanche altri prodotti culturali.
Io penso che un soggetto organizzatore guidato dai protagonisti di quella comunità del libro che tutti invocano, indipendentemente dalle risorse con cui contribuiscono, sarebbe preferibile e garantirebbe quel pluralismo e quell'autonomia così necessari alla riuscita della manifestazione: Sindaca e Presidente, Città e Regione, sono pronti a sedersi allo stesso tavolo di editori, librai, biblioteche, scuole, rappresentanti dei territori, Circoscrizioni e Comuni, coinvolti dal Salone Off? Possibile che fra fondazioni, banche, imprese, Camera di Commercio non si trovi chi voglia investire e partecipare ad un evento che ha – anche – ricadute economiche pazzesche? Qualche mese fa alcuni di questi erano già pronti a intervenire o sbaglio?
[Nota bene: guidare per me vuol dire farlo formalmente, in un consiglio di amministrazione. Le cabine di regia e i comitati di conciliazione lasciano il tempo che trovano].
Insomma, non mi piace se paga la Regione e decide il Comune; mi piace se paga la Regione e non decide la Regione ma i rappresentanti di una comunità culturale, territoriale ed economica, con la Regione stessa e il Comune di Torino.
Non è dunque così peregrino immaginare che sul soggetto che organizzerà il prossimo Salone si apra una discussione pubblica, anche se a molti l'esito parrà scontato.
Questo è il nocciolo della lettera di Valle. Non mi sembra banale.
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