I Musei Reali macinano record di presenze: nel 2018 hanno messo a segno un +28% di visitatori, uno dei migliori risultati fra tutti i musei statali d'Italia; e i primi dati di quest'anno fanno prevedere che la crescita continuerà. Ha interpretato molto bene il concetto di "autonomia", la direttrice Enrica Pagella, il cui mandato quadriennale termina a dicembre ma potrà essere confermato per altri quattro anni. Ma adesso, per fare il definitivo balzo in avanti e superare la soglia psicologica del mezzo milione di visitatori annui, servirebbero risorse aggiuntive per ampliare e migliorare l'offerta. Il punto dolente è la carenza di personale: al momento ai Musei Reali la pianta organica è coperta solo al 67 per cento. E mancano anche figure professionali in settori strategici quali il marketing e il management, oggi irrinunciabili per un museo che si voglia affermare ai massimi livelli; così come irrinunciabile è l'efficientamento della biglietteria on line e il potenziamento della presenza social.
In un'azienda normale, rimediare a quelle carenze verrebbe considerato un investimento produttivo, tale da generare maggiori introiti, e quindi da finanziare con l'accesso al credito. Peccato che per legge un museo statale non possa ricorrere a mutui o prestiti bancari. E dunque, con le risorse a disposizione, addio sogni di gloria per Enrica Pagella e i suoi Musei Reali.
E invece nei prossimi giorni la Pagella potrà aprire ai visitatori ambienti di Palazzo Reale finora inaccessibili come gli Appartamenti dei quadri moderni; e soprattutto realizzare il suo vecchio sogno di aprire il Palazzo sette giorni su sette, abbandonando la tradizionale chiusura del lunedì. Per farlo verrà reclutato del personale aggiuntivo, tramite un'agenzia in house del Mibac, sperimentalmente per dieci mesi. Il tempo per capire se le nuove aperture frutteranno, come si spera, un ulteriore aumento dei visitatori.
Quindi Enrica Pagella ha trovato i soldi necessari per la crescita. E no, non è andata a svaligiare una banca. I soldi glieli ha dati la Compagnia di San Paolo. Cinquecentomila euro. Ma attenzione: non è un regalo. Quei soldi sono destinati a finanziare un progetto preciso: per l'appunto, le nuove aperture a Palazzo. Se l'investimento darà i risultati sperati, ovvero più visitatori e di conseguenza più incassi, il guadagno che ne deriverà andrà a un fondo che reintegri la cifra iniziale; cifra che, così reintegrata, si dovrà destinare a un altro investimento produttivo, i cui proventi torneranno al fondo per essere destinati a un altro investimento, e così via virtuosamente."Un sistema da start up", lo ha definito il presidente di Compagnia, Profumo. Una sorta di prestito d'onore, direi io: che non si chiama prestito, perché non si può e tecnicamente non lo è; ma che per i Musei Reali ha lo stesso effetto, procurare il denaro per far partire un nuovo progetto che, una volta attuato, si ripaghi da solo. Mentre la Compagnia diventa una sorta di socio-finanziatore del progetto: un "facilitatore", eufemizza il diplomatico Profumo.
Tutto questo - è evidente, e Profumo lo dice neppur troppo fra le righe - è un ennesimo sintomo della volontà delle fondazioni bancarie, più volte manifestata, di cambiare impostazione: da semplice e comodo bancomat degli enti locali e delle istituzioni culturali, vogliono prendersi il ruolo che la politica oggi non è più in grado di assolvere per mancanza di denaro e, soprattutto, per evidente inadeguatezza mentale. L'obiettivo è condividere i progetti, indirizzare, partecipare. “Vogliamo - ha detto qualche tempo fa il presidente di Fondazione Crt - essere chiamati non ex post, ma ex ante, quando si costruisce un percorso e si definisce un budget". Insomma, i nuovi assessori alla cultura sono, e saranno sempre di più, le fondazioni bancarie. E la politica resta a guardare.
In un'azienda normale, rimediare a quelle carenze verrebbe considerato un investimento produttivo, tale da generare maggiori introiti, e quindi da finanziare con l'accesso al credito. Peccato che per legge un museo statale non possa ricorrere a mutui o prestiti bancari. E dunque, con le risorse a disposizione, addio sogni di gloria per Enrica Pagella e i suoi Musei Reali.
E invece nei prossimi giorni la Pagella potrà aprire ai visitatori ambienti di Palazzo Reale finora inaccessibili come gli Appartamenti dei quadri moderni; e soprattutto realizzare il suo vecchio sogno di aprire il Palazzo sette giorni su sette, abbandonando la tradizionale chiusura del lunedì. Per farlo verrà reclutato del personale aggiuntivo, tramite un'agenzia in house del Mibac, sperimentalmente per dieci mesi. Il tempo per capire se le nuove aperture frutteranno, come si spera, un ulteriore aumento dei visitatori.
Quindi Enrica Pagella ha trovato i soldi necessari per la crescita. E no, non è andata a svaligiare una banca. I soldi glieli ha dati la Compagnia di San Paolo. Cinquecentomila euro. Ma attenzione: non è un regalo. Quei soldi sono destinati a finanziare un progetto preciso: per l'appunto, le nuove aperture a Palazzo. Se l'investimento darà i risultati sperati, ovvero più visitatori e di conseguenza più incassi, il guadagno che ne deriverà andrà a un fondo che reintegri la cifra iniziale; cifra che, così reintegrata, si dovrà destinare a un altro investimento produttivo, i cui proventi torneranno al fondo per essere destinati a un altro investimento, e così via virtuosamente."Un sistema da start up", lo ha definito il presidente di Compagnia, Profumo. Una sorta di prestito d'onore, direi io: che non si chiama prestito, perché non si può e tecnicamente non lo è; ma che per i Musei Reali ha lo stesso effetto, procurare il denaro per far partire un nuovo progetto che, una volta attuato, si ripaghi da solo. Mentre la Compagnia diventa una sorta di socio-finanziatore del progetto: un "facilitatore", eufemizza il diplomatico Profumo.
Tutto questo - è evidente, e Profumo lo dice neppur troppo fra le righe - è un ennesimo sintomo della volontà delle fondazioni bancarie, più volte manifestata, di cambiare impostazione: da semplice e comodo bancomat degli enti locali e delle istituzioni culturali, vogliono prendersi il ruolo che la politica oggi non è più in grado di assolvere per mancanza di denaro e, soprattutto, per evidente inadeguatezza mentale. L'obiettivo è condividere i progetti, indirizzare, partecipare. “Vogliamo - ha detto qualche tempo fa il presidente di Fondazione Crt - essere chiamati non ex post, ma ex ante, quando si costruisce un percorso e si definisce un budget". Insomma, i nuovi assessori alla cultura sono, e saranno sempre di più, le fondazioni bancarie. E la politica resta a guardare.
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