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E ADESSO CHE NE FACCIAMO DEL FESTIVAL? PENSIERINI DEL GIORNO DOPO

 Una premessa: io sono il massimo sostenitore di Emanuela Martini alla direzione del Tff. Dipendesse da me, resterebbe a vita. E non  sono un tifoso della cultura pop, o "inclusiva" che dir si voglia: sono una bruttissima persona e non me ne frega niente di includere chi non vuol farsi includere. 
Emanuela Martini, direttrice uscente del Tff
Precisato quanto sopra, io analizzo le politiche culturali della città e mi appare evidente che il tema del giorno, all'indomani di un'eccellente trentasettesima edizione del Tff, non è (o almeno non soltanto) se confermare o meno Emanuela Martini alla direzione del Festival, essendo lei giunta al termine del suo mandato, e dei due anni di proroga.

Martini direttrice

Come la penso sulla questione del direttore l'ho detto: e mi pare che la pensi come me una significativa porzione del pubblico del Festival, che ieri alla cerimonia di chiusura ha salutato la Martini con applausi, urla di "brava!" e fischi all'americana. Analoghe manifestazioni di giubilo e approvazione hanno accompagnato gli endorsement pro-Martini (sul registro "resta con noi, nun ce lassà") da parte del regista Davide Ferrario la sera dell'inagurazione e di Patrizia Sandretto ieri al Reposi.
Tuttavia, se i referenti del Festival - in primis i soci, il presidente e il direttore del Museo del Cinema - ritengono utile per il Festival un cambio di mano, possono avere le loro buone ragioni. Il rischio, per chiunque resti troppo tempo alla guida di un qualsiasi progetto, è la sclerotizzazione: o almeno la caduta inconsapevole nel tran tran, nella ripetitività, nell'abitudine che uccide o intorpidisce. Capita alle squadre di calcio - altrimenti perché cambierebbero certi allenatori vincenti? - e non si vede perché non dovrebbe capitare a un festival cinematografico. Semmai tremo alla prospettiva del cambiamento per il cambiamento, o peggio per piazzare una poltrona sotto il culo di qualche disoccupato fedele al partito.
Enzo Ghigo e Mimmo De Gaetano, presidente e direttore del Museo del Cinema
Ad ogni modo, dei possibili sbocchi della vicenda ho già scritto. Ghigo ha detto chiaro e tondo che non si piegherà a diktat, né acconsetirà a decisioni affrettate. I nomi che girano con maggiore insistenza sono, oltre a una Martini riconfermata, quelli di Davide Oberto e di Jacopo Chessa, e se restiamo su questi parametri non vedo perché lamentarsi.

Il destino di un Festival 

Il problema vero quindi, non è il direttore: è il Festival. O meglio, che cosa vogliamo che sia, oggi e soprattutto domani, il Torino Film Festival. La scelta del direttore seguirà: perché è ovvio che se ti sei dato un indirizzo, devi poi scegliere un direttore che non remi contro. Affronto la questione sul Corriere di oggi, in un articolo che potete leggere a questo link.

Il red carpet è un falso problema

E' stato il presidente Ghigo a riaprire la vexata quaestio "red carpet sì-red carpet no": se non sia il caso di immaginare uno stile più "pop" per il Tff per attrarre nuovo pubblico e soprattutto, esibendo qualche star hollywoodiana, per avere maggiore attenzione dai media.
Ghigo ha pure lanciato qualche suggestione, nell'intervista che abbiamo fatto per il Corriere. Ma sgombriamo subito il campo da un equivoco: qui non si tratta di decidere se vogliamo portare Brad Pitt alla Mole. Messa così, abbiamo già perso. Intanto non abbiamo neppure lontanamente i soldi che hanno Roma e Venezia, per non parlar di Cannes: e comunque, se anche di soldi ne avessimo e li spendessimo per riempire un aereo di star hollywoodiane, faremmo tutt'al più una copia di Roma, Venezia e Cannes, e i media (come il pubblico) tra la copia e l'originale preferirebbero l'originale. Più realisticamente, sputando sangue e dollari riusciremmo anche a permetterci un nome di fama mondiale: ma una star su un tappeto rosso non fa notizia, quando gli altri ne fanno sfilare a carrettate. In passato ci siamo cavati qualche sfizio di quel genere - ricordate Penelope Cruz? - e non è successo un bel niente. Mi permetto di rimandarvi, sull'argomento, a questo vecchio post.

Cinema e contemporaneità

Piuttosto, sarebbe davvero utile (e rivoluzionario, in linea con il Dna del Tff teso all'innovazione e alla sperimentazione) ripensare ciò che un festival cinematografico dev'essere, cosa diventerà. A questo punto, faccio che citare quanto scrivo oggi sul Corriere: "Oggi l'idea di "festival" è ancora quella, novecentesca, della rassegna dove si vedono film altrimenti invisibili, che fa scoprire cinematografie e autori fuori dai grandi circuiti, che mostra nelle sale, a un pubblico di cinefili, le nuove tendenze e i nuovi talenti. Ma 37 anni fa, quando nacque Cinema Giovani - l'attuale Torino Film Festival - il mondo era diverso, e diversissimo il mondo della celluloide - come si diceva allora, quando ancora si usava la pellicola di celluloide: pensa te... Da allora è cambiato tutto: il pubblico, la fruizione, il prodotto. Se oggi voglio vedere l'ultimo film del regista tailandese non aspetto il Tff, me lo scarico da internet. Oggi lo schermo di certi televisori casalinghi è grande e definito quanto quello di tante sale. Oggi il cinema è seriale, e le serie tv sono cinema".

Sostiene Emanuela 

Queste considerazioni non sono del tutto condivise da Emanuela Martini: ieri sera ci siamo visti e mi ha ripetuto che la funzione di un festival è la scoperta e la proposta, perché, sostiene Emanuela, se non è il festival a proporre certi lavori, il pubblico non li vede, anche se magari sarebbero disponibili in rete, per il semplice fatto che non li conosce. Sensata obiezione; se non fosse che anche la scena cinematografica mondiale, come quella musicale, oggi brulica di "fenomeni della rete", film e serie che nascono per essere veicolate su internet, e raccolgono paccatedi visualizzazioni sono con il passaparola. Anche il pubblico, insomma, sta cambiando. 
E mi si permetta di aggiungere che sarebbe ora che al Festival se ne accorgessero pure per ciò che riguarda la comunicazione: su quel piano il Tff è davvero novecentesco, e punta su manifesti e giornali cartacei, trascurando o peggio gestendo in maniera dilettantesca i canali social. Media di nicchia (quali sono purtroppo oggi i giornali cartacei) portano a un pubblico di nicchia: questo è matematico.
Ma allora, tra red carpet pacchiano e austerità cinefila e un po' spocchiosa, quale può essere la terza via del Tff?

Il fattore umano, i barbudos e Checco Zalone

Azzardo una riflessione: ciò che oggi un festival può dare di più rispetto alla fruizione domestica e alla rete, è il fattore umano. La presenza fisica di chi il cinema lo fa. L'attore che racconta il suo lavoro, il regista che - come Verdone quest'anno - parla dei film della sua vita. Voglio dire: alla gente piace vedere la gente che piace. Virzì, che ci sapeva fare, è ricordato ancora adesso come il più simpatico dei direttori. Ma pure lo scontroso Moretti funziona: basta che arrivi incognito ospite del Festival, e diventa automaticamente l'uomo del giorno. 
Insomma, uno sforzo in più almeno sulle celebrities italiane si potrebbe tentare. Va bene il regista indonesiano presente in sala: ma ammetterete che è difficile che susciti gli entusiasmi popolaari. E la gente mica pretende Brad Pitt: le basterebbe Checco Zalone.
Apriti cielo, ho detto Checco Zalone! Già sento lo stridor di denti dei barbudos da cineforum che rabbrividiscono alla sola idea che arrivi un degenerato regista e attore di successo popolare a violar la sacralità del Tff. 
Allora: nessun dice che il Tff debba diventare il festival dei cinepanettoni, o dedicare una retrospettiva a Massimo Boldi (benché, a ben pensarci, sarebbe divertente: se non altro per le facce dei barbudos). Sto semplicemente suggerendo che, salve le caratteristiche genetiche del Tff, si potrebbe animare e rendere "pop" quella settimana portando al Festival, o nei suoi dintorni, personaggi - italiani, e quindi non troppo costosi e molto popolari - per incontrare la gente sfruttando al meglio anche la lounge della Mole, oppure per presentare dei film in sala (magari Zalone, che è un uomo assai colto, ama tantissimo Bergman), ma basterebbe anche che se ne stesse a prendere il caffé nel baretto di fianco al Massimo. Chissà, magari si creerebbe finalmente un clima da "città del cinema", coinvolgendo anche chi nei cinema del Festival non ci va perché gli piacciono i film dei supereroi.

Effetti speciali, il modello di View

E a proposito di supereroi. Il cinema del futuro sarà sempre più cinema di effetti speciali, e che ormai tanti film che se ne avvalgono a iosa hanno una propria dignità artistica (devo ricordarvi la trilogia del Cavaliere Oscuro di Nolan?). Non so se tale affermazone sia condivisa dai cinefili. Di sicuro molti fra quelli che discettano su ciò che dovrebbe diventare il Tff ignorano, e se non ignorano se ne sbattono, che a Torino c'è View, una delle rassegne più importanti al mondo sul cinema degli effetti speciali, che ogni anno porta in città un carico industriale di Premi Oscar. Beh, guardare a View, e guardando a View guardare alle nuove strade della cinematografia, vi parrebbe indegno di un festival come il Tff, votato per ragione sociale a "esplorare le nuove strade della cinematografia"?

Dove si vedono le serie

Stesso discorso vale per le serie tv. Ieri sera Emanuela mi diceva: "Ma se ci abbiamo già provato, a programmare delle serie! La gente non viene a vederle in sala, se le guarda a casa". Oh, già. Chi l'avrebbe mai immaginato, che le serie tv, nate per essere viste in tv e non in sala, la gente se le guarda in tv e non in sala? Ma non è lo stesso per il cinema, allora, che - proclamano i cinefili - nasce per le sale e andrebbe visto nelle sale e non in tivù? 
Questo però non toglie che, se si parla di cinema alla tivù (e persino alla radio, come insegna "Hollywood Party"), ci si potrà pure occupare di serie tv in un festival cinematografico al passo coi tempi. Magari invitando a incontrare il pubblico i protagonisti delle serie italiane più popolari. Certo che se tu hai in città Raul Bova, e non ti viene in mente altro che invitarlo all'inaugurazione per far la bella statuina, o se ingaggi Carolina Crescentini come madrina per la chiusura e la lasci tutto il tempo in disparte sul palco a reggere i microfoni che manco le vallette del Mike Bongiorno d'antan... Beh, ammetterai che si può far di meglio, a pensarci un attimo.

Esortazione finale

Insomma, scusate se ho debordato, ma visto che tutti ne discutono, volevo fare il punto sulla questione. Ho scritto ciò che penso, ma io non sono un esperto di cinema, non capisco un cazzo e non sono qualificato per dare consigli al prossimo. Visto però che spesso in questa città alcuni farfarelli decidono cosa si deve fare in ambiti nei quali godono delle mie stesse credenziali - cioé nessuna - mi sono concesso la libertà di sparare anch'io le mie cazzate. Perché soltanto loro?
Invece mi ardisco a suggerire - in primis alla politica - che, prima di prendere decisioni a capocchia, si ascolti con attenzione l'opinione chi davvero il cinema lo fa, chi ne conosce segreti e meccanismi, chi ha esperienza e saggezza. Da Renzo Ventavoli in giù, la Torino del cinema almeno di questo è ancora ricca: di intelligenze. Che lorsignori provassero a sfruttarle, una buona volta, anziché umiliarle e cacciarle. Capisco che il confronto dei neuroni possa mortificare qualcuno, ma suvvìa: è per il bene della città. 

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