CONSTABLE ALLA VENARIA: CONSIGLI PER L'USO DELLA GRANDE BELLEZZA (MA C'È ANCHE UNA STORIA TRISTE...)
John Constable, "La brughiera di Hampstead con l'arcobaleno" (1836)
John Constable non ha bisogno di spiegazioni. La pura bellezza non si spiega, si contempla. Tuttavia, se cercate quella che oggi si definisce "un'esperienza immersiva" nella mostra che sarà esposta fino al 5 febbraio alla Reggia di Venaria - location che è già di per sé "esperienza immersiva" nell'arte di Constable - vi suggerisco di andare a visitarla dopo esservi letti, o riletti, uno di quei bei romanzoni inglesi di Sette-Ottocento: che so, un Fielding tipo "Tom Jones", o "La fiera delle vanità" di Thackeray, o un'altra qualsiasi storia dove ci sia un baronetto gretto e bilioso con un figlio scapestrato - perlopiù un tenentino con baffi arricciati e debiti a non finire - che scialacqua i beni di famiglia al tavolo da gioco mentre l'altra figlia, virtuosa e infelice, si strugge per un giovanotto bello e onesto ma senza mezzi né titoli, e nessuno prende mai in considerazione, manco a morire, l'idea di cavarsi dai guai andando a lavorare; il tutto ambientato nell'immancabile manor sperduto nella campagna inglese, tra cavalli, diligenze, cacce alla volpe, birra tiepida e servi cialtroni. È la Vecchia Inghilterra, quella che ha avuto in John Constable il cantore visivo che ne ha fissato per sempre l'immagine, proprio mentre quell'immagine cominciava a farsi tremolante, pian piano offuscata non più dalle brume autunnali bensì dai fumi dell'incombente rivoluzione industriale.
Era un vulnus inspiegabile per la cultura italiana che mai, prima di oggi, un museo del nostro Paese avesse dedicato una mostra monografica il genio pittorico di Constable, solitario precursore dell'Impressionismo, inventore - come da titolo dell'esposizione in Reggia - di "paesaggi dell'anima", maestro del colore e della luce (ah, la luce dei cieli inglesi dopo la pioggia...). A Venaria il vulnus viene splendidamente sanato con la sessantina di opere provenienti dalla londinese Tate Gallery, arrivate alle nostre latitudini - dopo essere state esposte in Giappone e Lussemburgo - in virtù di un accordo-quadro fra la Fondazione Torino Musei e la Tate. E qui, proprio come nei succitati romanzi inglesi del Sette-Ottocento, dietro a una storia di splendore e successo (per la Venaria) ce n'è un'altra, triste, di miseria e nobiltà decaduta. Già: perchè qualcuno, a questo punto, si domanderà per qual motivo, se l'accordo-quadro è con la Fondazione Torino Musei, le opere di Constable non sono esposte alla Gam (che tanto bisogno avrebbe di mostre di prestigio) o al limite a Palazzo Madama (anziché ingombrarlo con la deprecabile Margherita di Savoia). La storia triste, ovvero la risposta a tale ragionevole interrogativo, la potete leggere sul Corriere di oggi, oppure a questo link https://torino.corriere.it/cultura/22_ottobre_25/mostra-constable-povera-gam-quella-grande-occasione-persa-5be44056-5431-11ed-a58a-ad027d5a5146.shtml. Come dicono i siti acchiappa-click, la risposta vi sorprenderà. O, più probabilmente, vi desolerà.
John Constable, "La brughiera di Hampstead con la casa Saltbox" (1819-20)
John Constable, "La cattedrale di Salisbury vista dai prati" (1831) |
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