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LA SCELTA DELL'OMONE

Steve Della Casa presenta il suo Festival
Una smilza concione, 25 minuti netti, punteggiata di classicissime facezie dell'oratoria dellacasiana, dallo sbarazzino ringraziamento al partner Cassa Depositi Prestiti “...soprattutto prestiti” all'inevitabile menzione della pelata di Paolo Manera “la testa più lucida del cinema torinese”, per concludere in gloria con l'iconica “avete delle domande da porci?”. Ridotti allo stretto indispensabile pure i saluti istituzionali - presidente e direttore del Museo, e la Purchia unico assessore presente - è stata breve e felice e indolore, la presentazione del Tff numero 40: così diversa dalle soporifere e interminabili messe cantate del passato, e dagli omologhi rituali del Salone e grandi eventi affini, fachiristiche maratone di due ore che prima ti annoiano, poi ti indispettiscono e alla fine ti stremano.
Se il buon Festival si vede dalla presentazione, il Tff40 sarà il “Festival di Steve”, il tipo di Festival che Della Casa ai tempi delle sue prime direzioni definiva “serio ma allegro”. Un festival che, dumasianamente vent'anni dopo, ritrova la formula-ottovolante alto e basso, cinefilia e divertimento, genere e autorialità. Il Festival della città, per la città, nella città. Una festa di tutti e per tutti. Festa che ritrova finalmente un suo punto di gravità permanente – una casa alla Cavallerizza, e mi spendo subito il calembour Casa Della Casa per sollevare altri dalla vergogna di partorirlo. Una Casa Della Casa aperta a pubblico, autori, attori, per incontrarsi, ritrovarsi, tornare ad essere comunità, “popolo del Festival”. Con al centro la Sala, il pubblico che torna in sala e della sala ritrova la magia che è poi la magia del cinema. Perché questo è un Festival del Cinema, e senza la fisicità della sala un Festival non ha ragion d'essere. Senza la sala non ha più ragion d'essere neppure il cinema. Qualcuno mi spieghi dove diavolo sta la differenza fra vedere un film con lo streaming di un festival e vedere un film o una serie con una piattaforma tipo Sky. Capisco con il covid, ma adesso anche basta.
Così Torino si lascia alle spalle l'esasperazione tecnologica e riscopre la fisicità del reale, le biglietterie vere, i biglietti veri, le persone vere, per vivere un Festival fatto di film da commentare all'uscita e di code da affrontare con la gioia di stare insieme, accomunati dalla magnifica ossessione.
Questa è la scelta di Steve, la sfida spericolata ma non negoziabile: “Solo se le sale saranno piene potrò dire di aver fatto un bel Festival”. Sul punto l'Omone è stato irremovibile: niente film in streaming, niente incontri in streaming, neppure la conferenza stampa in streaming: chi c'è c'è.
Parole sante, benché destabilizzanti per me, che mi sono sentito in dovere di assistere alla conferenza stampa e di conseguenza ho patito le mie più sinistre nemesi: prendere un treno, andare a Roma – a Roma! - e poi prendere un altro treno per rincasare e perdermi la puntata serale di Ncis e ritrovarmi alle sei di sera a scrivere questo pezzo a bordo di un vagone ferroviario lanciato a 200 all'ora nel buio della Maremma o quel che è.
Però ne valeva la pena, per affermare il principio di un Torino Film Festival streaming free.

P.S. Programma, concorsi, giurie, ospiti, è tutta cronaca, la trovate dove volete. Ma lasciatemi dire che per me il top sarà l'inaugurazione al Regio, il 25 novembre: tema della serata, i Beatles e i Rolling Stones nel cinema; a parlarne, il mio attore-feticcio Malcolm Mc Dowell e il mio cantautore d'elezione De Gregori. What else? 

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