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SALONE DEL LIBRO: GIOIE E DOLORI DELLA MESSA CANTATA

Cirio (a sinistra) contempla il manifesto dell'edizione 2021

La Messa Cantata della presentazione del Salone del Libro mi è mancata, come in quest'anno e mezzo ci sono mancate tante piccole abitudini, futili epperò preziose, della vita "di prima". Come i pranzi di Natale di una volta, quando vedevi i parenti che non vedevi mai e magari alcuni preferivi continuare a non vederli e ti alzavi dalla mensa stordito di cibo e vino e ciance e bramavi soltanto il letto, eppure era impossibile sottrarti e d'altronde neanche avresti voluto sottrarti, perché il pranzo di Natale segnava una stazione nell'annuale ciclo dell'esistenza e ti dava un piacevole senso di continuità e sicurezza.
E insomma, la temibile "Prima conferenza stampa del Salone del Libro" è da sempre la Messa Cantata interminabile fatta di prolusioni ore rotundo (memorabili e insuperati saggi oratorii restano quelle di Rolando Picchioni), ringraziamenti e saluti, sequele di nomi e progetti e collaborazioni e esortazioni e auspici che ti si accavallano in testa e debordano e dopo un po' anche i giornalisti più scrupolosi rinunciano al generoso tentativo di prendere appunti e si abbandonano allo stream of consciousness lasciando che i propri pensieri si mescolino con il tappeto sonoro delle parole che dal podio calano sulla platea in dormiveglia.
Eppure non ci rinunceresti, perché, come al pranzo di Natale, alla Messa Cantata rivedi anche persone care che per l'anno intero ti riprometti di rivedere e non rivedi mai; ed è tutto uno scambiarsi abbracci e baci e come stai e cosa fai; e quest'anno ancor più, perché era davvero un rivedersi e far festa d'augelli dopo la tempesta, ciascuno con la sua storia di pandemia, e poi di vaccino, da raccontare.
Questo per dire che ieri sono stato felice di andare alla presentazione del prossimo Salone del Libro, di nuovo tutti in presenza, e di nuovo al Lingotto dove non mettevo piede dal Salone del 2019; e rivedere così le persone che mi stanno simpatiche e pure quelle che mi stanno un po' meno simpatiche. 
Ho però rischiato di pagarla cara, quella felicità. Non avevo tenuto contro del cambio di date di questa trentatreesima edizione, posticipata dal solito inizio di maggio alla metà d'ottobre - per la precisione dal 14 al 18 ottobre - e che dunque la presentazione, che in genere si celebrava ai primi incerti tepori di primavera, se non addirittura ancora nei rigori di fine inverno, stavolta è stata fissata alle ore 15 di un afoso 23 giugno. Nell'immenso Padiglione 1 del Lingotto, dove sedevamo ben distanziati, l'umidità da giungla vietnamita - aggravata dalla mascherina e dall'abito quasi formale imposto dalla lieta circostanza - mi ha provocato capogiri, sudori freddi, scariche colitiche, azzeramento della pressione, sonnolenza, nausee, palpitazioni, e quasi tutti i sintomi normalmente imputati al vaccino.
Sarà per questo motivo che ho particolarmente patito l'inumana prolissità (circa un'ora e mezza) della Messa Cantata, con tutto che ho anche ascoltato parole intelligenti e di buon senso e speranza e volontà positiva. Una citazione e un grazie particolari vanno a due interventi ai quali sono debitore di alcuni spunti che ho impudentemente saccheggiato per l'alato commento pubblicato stamattina sul Corriere (questo il link): mi riferisco agli interventi di Giulio Biino, presidente del Circolo dei Lettori e di conseguenza anche del Salone, e di un Alberto Cirio che mi è sembrato sinceramente commosso, o almeno splendidamente in parte.
Il fatto è che sul palco i relatori sono sempre numerosi, essendo il Salone frutto di uno sforzo e di una volontà collettive, e per poco che uno parli, sommandoli tutti si fa inevitabilmente una certa. Aggiungi che adesso impera anche la vigilanza sulla parità di genere, e se i principali players del Salone quattro sono maschi (Nicola Lagioia, Giulio Biino, Silvio Viale e Alberto Cirio) non basta la presenza istituzionale di Chiara Appendino a equilibrare il panel, e dunque occorre aggiungerci almeno un paio di scrittrici del Comitato editoriale, nel caso Valeria Parrella e Ilda Carmignani. Mi pare giusto, ma spero pure che non sia apparso irriguardoso il mio alzarmi e abbandonare la sala durante lo speech dell'ultima relatrice: ben più irriguardoso sarebbe stato svenire lì sul posto. Per cui ho trascinato la mia carcassa all'aperto, a cercare qualche raro refolo d'aria sotto il cielo temporalesco.

P.S. Mi pare del tutto superfluo riferire le notizie (pochine, per la verità) emerse dalla conferenza di ieri. Le trovate su qualsiasi giornale, ripeterle qui sarebbe per me una fatica inutile, e per voi tempo perso.

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