Non ci sarei andato comunque, alla conferenza stampa del Salone. Tanto, sono pronto a scommetterci, chi ci andrà non ci andrà per scoprire come sarà il prossimo Salone del Libro, fortunatamente ancora diretto da Nic Lagioia: magari faranno pure finta - ipocriti - di interessarsene, ma in realtà tutti saranno lì a domandare e domandarsi chi minchia sarà il prossimo direttore, e tenteranno di cogliere il gesto, il silenzio, la mezza parola da interpretare come gli aruspici interpretavano le trippe dei capretti per coglier segni per improbabili pronostici. In pratica, rimestare nella merda. Un'attività che non mi alletta. Come non mi alletta farmi rompere il cazzo dagli orchioclasti della politica, che hanno fatto dello sfrantumamento delle palle altrui il leit motiv dell'affannosa ricerca direttoriale. Ricerca onanistica, se considerate che dopo due mesi di puttanate siamo al punto di partenza, sempre a rimestare gli stessi nomi e le stesse putride rivendicazioni.
Già, le rivendicazioni. Fateci caso: dacché s'è alzato il sipario sulla malaminchiata pantomima, al centro del dibbbattito negli ambulacri del potere non c'è mai stato quello che, per un cervello normodotato, dovrebbe essere l'unico punto in discussione; ovvero quale dei candidati abbia le capacità, l'esperienza, la statura, la visione, o detto modernamente "sia skillato", per dirigere il Salone del Libro. Macché. Fregasega. Per 'ste testacce di minchia il problema vero è il posizionamento - a destra o a sinistra? - dei candidati.
La destra da saecula saeculorum vede nel Salone un covo di pericolosi sovversivi estremisti sinistroidi. Con esiti talora ameni: volendo dimostrare che finora il Salone è stato un feudo sinistrorso chiuso agli intellettuali di destra, ieri "Libero" ricordava che tra coloro mai invitati al Lingotto c'è l'attuale ministro Gennaro Sangiuliano. Quello che chi si loda s'imbroda, e Dante era di destra ma è solo per provocazione, e comunque la Rai non ha mai prodotto una fiction sulla Fallaci. E certo, se non lo invitavano ci sarà stato un motivo, ma sospetto che non fosse perché è di destra.
Dal canto suo la sinistra nega tale predominio marxista - eh beh, però un cicinin... - ed è pronta a stracciarsi le vesti qualora la direzione non sia affidata a un "comunista col Rolex", per usare l'elegante definizione che quelli di destra amano appioppare a chiunque non la pensi come loro e ciononostante non sia ridotto a mendicare per strada.
Mentre i babbei si baloccano con simili frescacce, nessuno s'interessa al Salone in sé, a com'è e a come potrebbe diventare; se ne sbattono, 'sti sfessati, di come il futuro direttore potrebbe cambiarlo, rinnovarlo, o mantenerlo così com'è. S'incaponiscono sul nome, invece. Nome, badate bene, inteso come garanzia di appartenenza al branco. Non vogliono un direttore bravo: vogliono un direttore loro. E lo dicono a chiare lettere.
E io, allora, posso dire che sono stronzi?
Ieri - prima che la notizia triste della morte di Alberto Vanelli mi raggiungesse quaggiù, a ricordarmi che i Grandi se ne vanno ma i pigmei non si estinguono mai - ho scritto per il Corriere un commento, uscito stamattina (questo il link), per descrivere l'ignobile mercato del bestiame allestito dai bottegai a danno degli intellettuali, di destra o di sinistra, imparzialmente. E chiudo così: "Oggi, o domani, o fra una settimana o un mese, in qualche maniera il Salone avrà un direttore, o una direttrice; e lo avrà pure il Circolo dei Lettori. Se saranno buoni o pessimi è ignoto a tutti, tranne che agli dei. Ma se pur dovessimo trovare i migliori direttori, o direttrici, di ogni tempo e salone, ci saremo comunque arrivati per la strada peggiore".
Penosi. Semplicemente penosi.
"Non vogliono un direttore bravo: vogliono un direttore loro. E lo dicono a chiare lettere."
RispondiEliminae purtroppo vale per TUTTO: consiglieri scientifici, dirigenti di ospedali, presidenti di tribunali.... dal 1924 circa la fedeltà alla linea è la prima se non l'unica metrica con cui vengono misurati i candidati a questo o quel posto di potere, soprattutto, si vbadi, se posto "tecnico" e non squisitamente politico. l'unica cosa diversa dal dopoguerra è ce le linee politiche in apparenza sono più di una....