Mi capita ogni volta, quando arrivo nella casa sulla scogliera: sprofondo per qualche giorno in un abulico fancazzismo, poi mi prende la voglia di scrivere e finisce che scrivo tutti i giorni. Verrebbe da dire "lavoro tutti i giorni" - autentica eresia per uno come me, oltretutto in vacanza - se non fossi ormai ben convinto che scrivere, almeno per quanto mi riguarda, è una terapia dell'anima, e io semplicemente ho avuto la fortuna di trovare sempre qualcuno disposto a pagarmi per farlo.
Ad ogni modo: la casa sulla scogliera mi attizza la voglia di scrivere, per cui ho concluso che il mare è per me una delle due più potenti fonti d'ispirazione; l'altra, manco a dirlo, sono le minchiate, che per fortuna non mancano mai e in certi periodi dell'anno (guarda caso, sempre quando sto qui) sembrano moltiplicarsi come conigli infoiati.
Sicché anche stamane, primis lucibus, ho scritto un altro pezzo per il Corriere: dovrebbe uscire domenica (ecco il link) e ripercorre in chiave contemporanea e torinese l'epopea medioevale del Roman de Renart, con l'astuta volpe Renart che rifila al povero lupo Ysengrin le peggio fregature. Indovinate un po' chi è Renart e chi Ysengrin?
Intanto, però, ripubblico qui l'articolo del Corriere di ieri (non reperibile on line), con alcune modeste considerazioni sull'avventurosa nomina del prossimo direttore del Torino Film Festival, tema già più volte trattato anche sul blog ma che presenta innumeri sfaccettature tutte degne di istruttivi e sollazzevoli approfondimenti.
Ecco quindi a voi:
La nomina del regista e attore Giulio Base alla direzione del Torino Film Festival senz'altro rassicura chiunque – dentro e fuori il Museo del Cinema – paventava l'arrivo di una forte personalità che mettesse in ombra ruoli e cariche già da altri mediocremente occupati.
Ma tale nomina, largamente prevista in quanto voluta dalle autorità governative, è innovativa per come viene annunciata, con un comunicato stampa nel quale si precisa che “il presidente Enzo Ghigo ci tiene ad affermare con assoluta determinazione che questa scelta è avvenuta esclusivamente valutando i meriti del candidato e non è stata in alcun modo condizionata da valutazioni esterne”. Siamo alla smentita preventiva, excusatio non petita stravagante (tipo annunciare il risultato di una partita di calcio premettendo nero su bianco che “l'arbitro era imparziale”) e inoppugnabile: se lo dice Ghigo, e per di più “con assoluta determinazione”, chi siamo noi per dubitare? E chi mai sarà mia nonna, che diceva “la prima gallina che canta è quella che ha fatto l'uovo”?
È pur vero che da settimane i soliti malpensanti affermavano che Base era il prescelto in quanto assai caro al centrodestra, e financo a Giorgia; e facevano al contempo notare che lo stesso Base non ha all'attivo né significative pubblicazioni a tema cinematografico, né specifiche esperienze nell'organizzazione di festival, ovvero due dei quattro requisti espressamente richiesti dal bando. Ben venga dunque “l'assoluta determinanzione” di Ghigo: senza di essa, qualcuno potrebbe infatti scorgere nella vicenda l'ennesima conferma che i bandi sono farlocchi, e che le nomine gira e gira sono decise nelle segrete stanze da chi sta al potere. Manco considero, invece, la malevola ipotesi di una nomina imposta in cambio dei 25 milioni statali necessari per ristrutturare il Museo del Cinema: capisco l'inflazione, ma con una cifra simile, ai tempi di Bonifacio VIII e degli altri papi simoniaci, la nobiltà romana si comperava almeno un seggio da cardinale.
Qualcuno piuttosto ricorderà che anche in passato si succedettero alla direzione del Tff ben tre registi – Nanni Moretti, Paolo Virzì e Gianni Amelio – tra i cui talenti non spiccavano le esperienze organizzative. Quella era, però, una strategia d'immagine: i nomi celebri del cinema italiano garantivano al Festival un'attenzione mediatica, un'evidente autorevolezza e una marcia in più di creatività; supportati tuttavia dalla solidità della squadra capitanata da Emanuela Martini, vera direttrice esecutiva del Tff.
Ora, non penso di offendere nessuno se affermo che non regge - in termini di visibilità e autorevolezza (creatività non so) - il paragone fra tre autori acclamati in Italia e all'estero, osannati dalla critica e amati dal pubblico, e Giulio Base, onesto professionista i cui principali successi di pubblico sono fiction e film tv come “Don Matteo”, “Padre Pio”, “Maria Goretti” o “San Pietro”. Oltretutto, Base manco dispone di un vice sperimentato come la Martini, e di sicuro non potrà – per ovvi limiti personali - essere un direttore-factotum come Steve Della Casa. Né mi parrebbe una gran soluzione affiancargli – come caldeggiato da taluni - un vice scelto tra gli altri volonterosi che hanno risposto al bando: chi non è stato valutato idoneo per la direzione può forse supplire a eventuali inadeguatezze del direttore? È quel che si dice unire la fame con la sete. A meno che tra i candidati non ce ne fosse uno più meritevole: ma in tal caso il puzzo d'inghippo sarebbe così forte da far arrossire persino qualche faccia di bronzo.
Devo tuttavia riconoscere che il Museo del Cinema, scegliendo o lasciandosi imporre Giulio Base, non mi sembra abbia escluso chissà quali talenti. Una rosa di candidature mediocri non poteva comunque portare a una nomina eccellente. Il che ci obbliga a interrogarci sul male oscuro di una città un tempo considerata un punto d'arrivo per l'élite del lavoro culturale, e oggi ridotta a ripiego, o al limite parcheggio in attesa di migliori opportunità. Nello specifico del Tff il bando (pardon, la “manifestazione d'interesse”) era senz'altro mal congegnato e peggio scritto; le condizioni economiche poco allettanti; i precedenti scoraggianti; l'ambiente insidioso e irto d'ostacoli. Ma soprattutto è la logica – anzi, il banale buon senso - a tenere i fuoriclasse alla larga da Torino. Chi mai al mondo, avendo una professionalità da spendere, una fama da onorare, un prestigio da difendere, sarebbe così sconsiderato da partecipare a una gara, tanto più se già decisa in partenza o comunque condizionata da valutazioni e calcoli che nulla hanno a che vedere con professionalità, fama e prestigio? Candidarsi, in simili circostanze, è accettabile solo per il vincitore predestinato; o per chi, perdente in partenza, in fondo non ha un granché da perdere.
Ridiamo amaro ora, ma come rideremo quando sarà il momento di "nominare" i direttori di GAM, Castello di Rivoli, MAUTO, Museo di Scienze naturali (se mai aprirà....)? Inoltre mi risulta che i musei nazionali, che tra l'altro sono tenuti ad indire un bando internazionale e non una nomina "a caso", dovrebbero avere anche un comitato scientifico. Come mai a Torino non se ne è visto mai uno? (a parte l'Egizio). Siamo a corto di sapienti? Sono finite le eccellenze di Fassiniana memoria? Oppure non si fanno perchè non è nemmeno previsto un misero gettone? Mala tempora currunt et peiora premunt.....
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